la soglia della felicità   di Franco Novelli
30 Dicembre 2011 Share

la soglia della felicità di Franco Novelli

 

Nel mese di novembre scorso è apparso alle stampe La soglia della felicità, (Qulture Edizioni, Roma 2011) opera prima di Carmine Berardo, che in questo modo comincia a scoprire una passione latente da diversi anni, quella per la scrittura. Di qui, il 10 dicembre scorso, la presentazione del libro alla Biblioteca provinciale P. Albino di Campobasso.

Prima di entrare nella dinamica della sinossi e delle ragioni che riguardano la stesura del romanzo, vorrei percorrere un sentiero squisitamente letterario.

Nella scrittura di un romanzo occorre tenere presenti alcuni elementi canonici: innanzitutto la storia (nel caso del romanzo di Carmine Berardo la rappresentazione della malattia – l’epilessia – è cruda e molto fedele al modello proposto dalla realtà delle cose); i personaggi (Bianca è la ragazza attorno alla quale si snoda l’intera narrazione, ma ad essa si aggiungono la sua famiglia, i medici, gli altri malati); il tempo (è la primissima stagione degli anni Duemila); lo spazio (gli ospedali; la casa; i viaggi; la natura ri-visitata con occhi differenti, che sono quelli della malattia e della guarigione anche); il narratore (l’“io narrante”, senza nome, è tutto dentro la storia, che conosce, presenta; egli interviene nell’ambito della narrazione, chiarendo i movimenti dei personaggi ma anche le vicende e i casi che sono legati all’humus storico-sociale di quegli anni, nei quali appare in tutta evidenza l’affermarsi di quei disvalori che il mondo globalizzato tende – come ha teso – ad ampliare e che riguardano l’individualismo sfrenato, l’egoismo individuale e di classe, la solitudine estrema che si trova a vivere chi è colpito dalla sofferenza e quindi dall’emarginazione). Inoltre, vanno tenuti presenti il linguaggio sia di tipo connotativo (e in questo modo comunica le emozioni che si accompagnano via via alla rappresentazione della malattia di Bianca e alle sofferenze della sua famiglia), che di tipo denotativo (e così la narrazione invita il lettore ad una riflessione razionale sui meccanismi psicologici che tendono a dare una mano nel recupero del proprio passato); ed infine la lingua e lo stile, che appaiono semplici e immediatamente comunicativi.

Questi elementi caratterizzanti la stesura di un romanzo sono perseguiti con naturale attitudine da Carmine Berardo.

Il titolo La soglia della felicità sembra accordarsi immediatamente con il  prologo, intitolato Il viaggio, in quanto i sintagmi la soglia e il viaggio vogliono esprimere, secondo noi, lo stesso significato: il viaggio indica un cammino, lungo o breve, che può far raggiungere un luogo preciso ma anche può far immaginare un tragitto che non finisce mai, da cui si origina un sentimento di fobica insofferenza, per chi si è messo in viaggio. La soglia, poi, potrebbe indicare l’ingresso in una abitazione nella quale si può entrare, nella quale si possono incontrare amici ma sulla quale ci si potrebbe arrestare in modo indeterminato, soffocati dal dubbio se sia il caso di entrare, se si incontri effettivamente un clima di affettuosa accoglienza ed ospitalità. Pertanto, il dubbio alimenta l’angoscia e l’attesa insieme; di qui, l’insofferenza e la paura, elementi soffocanti per chiunque. Poi, il fatto che si sia sulla soglia di una abitazione fa pensare anche ad una condizione di soddisfacimento parziale, perché non si sta ancora dentro la casa, dove si gradirebbe volere entrare per incontrare amici o persone amate.

La sinossi è quella che narra il cammino della  malattia – l’epilessia il cosiddetto “male oscuro” – e della sofferenza di tutta intera una famiglia che si scopre all’improvviso sola e angosciata dal dolore per una fanciulla.

La malattia porta i protagonisti a scontrarsi con alcune evidenti contraddizioni: innanzitutto, essa appare come una forma di emarginazione sociale cui viene sottoposta la famiglia, perché sia l’ambiente di lavoro al quale la voce  narrante fa riferimento, sia le persone, che comunemente sono vicine ai protagonisti, si allontanano da loro, come se temessero che la malattia epilettica, ma in genere tutte le malattie, fosse contagiosa e dannosa nello stesso momento. La malattia fa scoprire, inoltre, l’imperizia latente e palese insieme dell’universo ospedaliero, con l’eccezione dell’ospedale “Il Bambin Gesù”, definito l’“isola felice”, perché lì la famiglia trova conforto psicologico e prospettive reali di guarigione di Bianca.

Infine, per limitarci soltanto a questi aspetti immediatamente evidenti, la malattia fa emergere la responsabilità del ceto politico incapace di far funzionare dinamicamente la “res publica”, cosa che mette in risalto un tema oggi scottante e cioè l’insignificanza e l’afasia complete del ceto politico o della politica tout court, inetto il primo o inidonea la seconda a dare risposte dignitosamente operative a quanti, appartenenti all’universo popolare, se le aspettano. Ma la malattia, proprio perché fa conoscere la sofferenza e il dolore, contribuisce ad un processo di maturazione personale che spinge l’io narrante, simbolo di una maturazione collettiva, a parlare della malattia senza vergogna e così contribuire ad abbattere quel muro di silente pudore che la sofferenza in genere contribuisce a costruire.

Il romanzo, dunque, raggruppa diverse caratteristiche del suo genere come l’elemento realistico (il romanzo si propone di cogliere la realtà così come essa comunemente viene percepita dai nostri sensi, descrivendola in modo preciso e obiettivo), quello sociale (il libro rappresenta la realtà, privilegiando gli aspetti contraddittori allo scopo di denunciare le grosse aporie che emergono dagli ambienti della sofferenza ma anche in quelli della società civile), la componente psicologica (il romanzo riguarda i meccanismi della psiche e intende rappresentare gli stati d’animo) e la memoria (e in questo caso il racconto lungo privilegia quei valori della memoria che costituiscono la ricchezza spirituale di un individuo, di una classe sociale, di un popolo).

In conclusione, però, non possiamo liberarci da una serie di domande del tipo A cosa serve la letteratura? La letteratura è ancora di moda oggi in un mondo dominato solo dal denaro e dai suoi Moloch? e infine Vale la pena di dedicare tempo e fatica a leggere un romanzo, una poesia, o ad ascoltare un brano di musica, etc.?

Ma a queste domande si potrà dare una convincente risposta in altre prossime occasioni.☺

bar.novelli@micso.net

 

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