La trovata di cavaliere
15 Giugno 2022
laFonteTV (3191 articles)
Share

La trovata di cavaliere

Ve la ricordate la legge Tremaglia, quella sul diritto di voto concesso ai cittadini residenti all’estero, sgradita a Silvio Berlusconi e approvata dall’intero Parlamento nel 2001? Mirko Tremaglia, politico di razza, nonostante il suo passato (aderì da subito alla Repubblica Sociale) e all’uso frequente del termine “culattone”, era sentimentalmente legato al popolo dei migranti sia a quelli che vanno che a quelli che vengono: il padre era morto in Eritrea e gl’italiani che erano rimasti a vivere lì, non facevano mai mancare i fiori freschi sulla sua tomba. Non condivise mai il reato di clandestinità e si batté per una sanatoria di tutti i migranti. Non guasta il fatto che, secondo la vulgata dell’epoca, gli emigranti italiani nel mondo fossero tutti rimasti legati alla figura del Duce di cui conservavano le fotografie. Il povero Tremaglia si batté giustamente per l’approvazione di una legge che avrebbe riconosciuto diritti e spazi di democrazia -valori che per un fascista non è poco sostenere – senza tuttavia comprendere che quei cittadini avrebbero avuto bisogno di più tutele lì, dove vivevano e non diritti qui, dove raramente tornavano. Per convincere i suoi, e soprattutto Berlusconi, circa la bontà della legge, non usò gli argomenti della democrazia ma quelli dell’interesse di bottega; sembra, ma non garantisco verità, che gli abbia mostrato le foto del cavaliere Mussolini in groppa al suo cavallo bianco, affrescati sulle volte delle chiese italiane. Per farla breve, alle elezioni politiche del 2006, vinse, per pochi voti di scarto, Romano Prodi: giusto quelli degli Italiani residenti all’estero. Indubbiamente Tremaglia vinse la sua battaglia e Berlusconi perse le elezioni.

È superfluo ricordare che il povero Tremaglia, padre della riforma, concluse così la sua carriera politica. Spesso i gruppi politici, sbagliando, si convincono che per combattere gli avversari basta modificare la legge elettorale e non si accorgono che all’interno del loro stesso schieramento c’è chi aderisce al progetto di riforma con obiettivi e finalità diverse da quelle dichiarate. Prendiamo per esempio il “Rosatellum”, che non è un vino, e neanche una legge elettorale, ma solo lo strumento per cristallizzare il dominio all’interno dei partiti: non è riuscito a mummificare neanche il partito del suo ispiratore. In buona sostanza, ogni volta che si fa una legge senza il coinvolgimento di tutti si rischia di realizzare quasi sempre il contrario di quanto si è desiderato, quello che – per fare più figo – si chiama eterogenesi dei fini: quando approvi una legge elettorale, nottetempo, senza confrontarti con i tuoi avversari che nell’ occasione dovrebbero avere i tuoi stessi interessi, rischi che chi ti frega è proprio il tuo compagno di partito.

La norma alla quale mi riferisco è quella che stabilisce lo sbarramento elettorale dal 3 al 5%, approvata alcuni giorni fa dal consiglio regionale del Molise e che ha sostanzialmente la pretesa di ridurre gli spazi della democrazia al fine di garantire la sopravvivenza dei partiti più grandi e, all’ interno di essi, dei politici più maneggioni. Il consigliere Cavaliere, ispiratore della norma, ci ha spiegato che è ora di avere una maggioranza, qualunque essa sia, più coesa e sopratutto priva di pretese personalistiche, quindi una scelta dettata da esigenza di stabilità e di economicità: in buona sostanza, un’equazione del tipo ‘meno democrazia uguale più stabi- lità’, che tradotta in pratica significherebbe che Cotugno, Niro, Micone e Iorio sono quelli che hanno fatto troppo casino in questa legislatura e che sarebbe il caso che stessero a casa. Questo l’obiettivo nobile di Cavaliere e dell’intera maggioranza che per l’occasione si è ricompattata. I 5Stelle, che per loro natura sono i meno interessati alla modifica legislativa, si sono astenuti, anzi non hanno partecipato al voto del Consiglio anche perché il loro dissenso si limita al metodo adottato dalle destre e non al merito; mentre il PD ha votato contro, ed è facile comprenderne i motivi: sia il campo largo di Facciolla che l’area progressista di Fanelli hanno bisogno, per vincere le elezioni regionali del 2023, di allearsi oltre che con i 5Stelle, anche con qualche lista padronale il primo o con le liste civiche la seconda.

Ciò che si comprende di meno è come mai i discoli della destra, i padroni delle liste padronali e l’inventore delle stesse, il neopatriota di Fratelli d’Italia, hanno convintamente sostenuto il progetto? Per quanto riguarda i Fratelli e le Sorelle d’Italia, qualcuno potrebbe pensare che, avendo gli stessi cambiato una casacca con un’altra, prevedibilmente più larga, la nuova norma non avrebbe nessuna influenza sul loro destino politico e poi, Iorio, solo pochi giorni orsono, si è offerto di guidare una coalizione che ricomprenda destra, centro e sinistra: l’uomo non si smentisce mai, si evolve, prima col centrosinistra, poi col centrodestra ora con tutti e tre.

Ma allora perché è stata approvata questa norma che apparentemente ha l’unico scopo di ridurre lo spazio della democrazia? Oltre alle piccole liste, come le chiama con fastidio l’assessore Cavaliere, chi viene danneggiato da questa decisione? Sicuramente i cittadini molisani che saranno sempre più incoraggiati a non andare a votare, e tra loro ce ne sarà uno, oggi più illustre degli altri, il quale quando si procederà alla scelta del nuovo candidato presidente per la regione e verrà accompagnato alla porta, non potrà minacciare di mettersi in proprio – raccogliere quasi novemila voti non è impresa facile neanche per quelli buoni, figuriamoci per un Toma qualsiasi – ma si limiterà a dire, come ha fatto in questi giorni, con tono intriso di misticismo “sia fatta la volontà della maggioranza”. Il povero Toma è andato per suonare ed è rimasto suonato.☺

 

laFonteTV

laFonteTV