La vecchiaia come peso
3 Maggio 2014 Share

La vecchiaia come peso

Sì lo so, la notizia è del 18 marzo ed è stata superata da altre polemiche, ma la riduzione delle pensioni, in generale e la messa in discussione dei tagli sulla disabilità non hanno fatto onore a Cotterelli ed hanno riproposto il problema della vecchiaia. Non più fonte di saggezza e trasferimento di questa saggezza storica e memoria agli altri, i vecchi e soprattutto le vecchie sono un peso per la nostra società (siamo). “Erano passati molti anni dalla prima volta in cui ero stata in una vecchia Casa di riposo per accompagnare mia madre a trovare un’amica. Ricordavo un certo disagio dovuto al non saper cosa fare e dire; sentivo il cattivo odore e guardavo le anziane sedute, lo sguardo fisso… inerti come burattini… La nostra conoscente invece, si era alzata dal letto contenta e parlava, si muoveva: non era più sola. Sentivo che i vecchi avevano bisogno di più delicatezza. Di attenzioni diverse” (da “vecchi da morire” di Silvia Pettarino ed. Alternativa ed. ora Feltrinelli su vecchi in strutture di riposo).

La solitudine psicologica uccide allora? C’è bisogno di una tutela maggiore, di un ripensamento sui rapporti figli-padri-madri? Dati gli umori del momento, i vecchi devono metaforicamente o no, morire. Basta ricordare “Diario della guerra del maiale” di Adolfo Bioy Casares: dove i giovani di Buenos Aires decidono di colpo che chiunque abbia più di cinquant’ anni è inutile alla società. Ma questo libro è un paradosso! su, ci vuole una ricetta, una frase seria.

Già negli anni settanta Simone de Beauvoir scrive “la terza età” dove analizza antropologicamente, storicamente, socialmente la vecchiaia e il sentirsi vecchi. “Se i vecchi manifestano gli stessi desideri, gli stessi sentimenti, le stesse rivendicazioni dei giovani, fanno scandalo; in loro, l’amore, la gelosia, sembrano odiosi o ridicoli, la sessualità ripugnante, la violenza irrisoria. Essi devono dar l’esempio di tutte le virtù (…) l’immagine sublimata di se stessi che si propone loro è quella del venerabile Saggio, aureolato di capelli bianchi e ricco d’esperienza, che guarda alla condizione umana da un’altissima cima. Se loro non ci vogliono stare, allora precipitano molto in basso: l’immagine che si contrappone alla prima è quella del vecchio pazzo farneticante, zimbello dei bambini. In ogni caso, per la loro virtù o per la loro abiezione, essi si pongono al di fuori dell’umanità, e pertanto gli si può rifiutare senza troppi scrupoli quel minimo che si ritiene necessario per menare una vita umana”.

I vecchi non meritano difesa, in una società, dove i figli sono più infelici dei padri e dei nonni, nonni che molto spesso sono proprio i garanti delle famiglie: secondo il rapporto Istat del luglio 2009, “soltanto le famiglie con almeno un componente anziano mostrano una diminuzione dell’incidenza di povertà (dal 13,5% al 12,5%) che è ancora più marcata in presenza di due anziani o più (dal 16,9% al 14, 7%)”.

Ma oggi i dati del 2009 sono stati superati c’è un milione in più di famiglie che non può fare la spesa, non può vivere. Che farne in conclusione di questi vecchi dolenti, girovaganti, ammonitivi, lietamente irriducibili, spesso ammalati, spesso infelici a volte perfino felici? Il signore delle mosche avrebbe stabilito: subito, da eliminare! Anche perché molti di questi vecchi (e scrivo volutamente vecchi e non anziani come il political correct propone) si deprimono e a volte provano anche a farsi fuori. Assurdo! Sono depressi loro che non hanno bisogno di nulla!

L’ISTAT ci comunica che, nel 2002 sono morte 472.200 persone di età uguale o superiore ai 65 anni, che rappresentano come è logico l’84,26% dei decessi totali; di queste morti 1.397, pari allo 0,3% del totale, vanno attribuite a suicidio o a gesti di autolesionismo. Potrebbe non essere un dato sconvolgente, ma lo diventa se si tiene presente che rappresenta il 34% del totale delle morti per suicidio o autolesionismo. Non a caso. Gli anziani, infatti, presentano percentuali superiori di suicidio rispetto ai più giovani. Potrebbe essere anche questa una soluzione! Ma se poi non muoiono e si fanno solo del male chi le paga le badanti o la casa di riposo?

I figli sono distratti e in crisi sociale e psicologica, spesso infelici e depressi perché non hanno più le tasche piene e la voglia di scalare il mondo, i nipoti non l’hanno mai avuta dovendo lottare con una società che li fagocita.

Che fare? Arriviamo a “L’ esame” di Richard Matheson, dove ogni anziano che non è più in grado di superare un test psicofisico deve venire ucciso. Il protagonista, un ottantenne, non si reca all’ esame per non subirne l’umiliazione, già sicuro dell’esito negativo che avrebbe avuto, nonostante gli allenamenti fatti la sera prima con suo figlio. Preferisce quindi andare in farmacia dove compra delle pillole e morire nel suo letto dopo aver salutato il figlio un’ultima volta (libera pillola in libero Stato igitur!). “La condizione del vecchio non è mai una sua conquista, ma essa è tale per concessione altrui… A seconda delle sue possibilità e dei suoi interessi, è la collettività che decide della sorte dei vecchi, e questi la subiscono anche quando si credono i più forti”.

PS. Lo so, esiste anche la com-passione, la compartecipazione cioè sociale e intellettuale fra esseri umani ma credetemi, miei pochi lettori, non è più tempo, ora, per noi vecchi di esigerla.☺

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