La verità rende liberi
5 Maggio 2021
laFonteTV (3191 articles)
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La verità rende liberi

“Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32). Sono parole che nel Vangelo di Giovanni Gesù rivolge a “quei Giudei che gli avevano creduto”, cioè a chi aveva deciso di seguirlo; l’evangelista fa capire che non basta decidere una volta di seguire Gesù, ma è necessario restare in quella decisione, accogliendo la sua parola. In questo contesto viene formulato quello che diventerà uno slogan universale, in quanto usato anche in contesti che con la fede e la religione non hanno nulla a che fare: la verità rende liberi. Questa frase ha continuato a frullarmi nella mente dal momento in cui ho appreso la notizia della morte forse dell’ultimo grande teologo del XX secolo: Hans Kung. Non grande perché tutte le sue idee siano sempre condivisibili, ma perché ha costretto comunque a discutere e riflettere, perché ha trattato le grandi questioni teologiche con estrema chiarezza, senza nascondersi dietro giri di parole per non offendere il sistema. E lo ha fatto mentre era protagonista di una stagione di grandi fermenti, partecipando come giovane teologo al Concilio Vaticano II.

Mi sono preso la briga di leggermi il libro che maggiormente ha causato problemi a Kung, Infallibile?: titolo eloquente perché fa seguire un punto interrogativo ad uno dei dogmi che più ha suscitato polemiche, dal momento della sua proclamazione, nel 1870, durante il Concilio Vaticano I, affrettatamente chiuso in quanto l’esercito piemontese stava premendo alle mura di Roma. Un libro scritto nel centenario di quel Concilio, quindi 50 anni fa, in reazione all’ultima (definitivamen- te) enciclica di Paolo VI, l’Humanae Vitae, riguardo alla morale famigliare, in cui il punto più discusso dall’opinione pubblica del tempo (anche nella chiesa) fu la condanna dell’uso dei metodi contraccettivi non naturali. Dopo aver espresso grande ammirazione per Paolo VI e averne giustificato la presa di posizione, Kung porta la discussione sulla causa principale della scelta del papa di andare contro le indicazioni della Commissione di teologi e vescovi da lui stesso voluta: non contraddire il magistero degli ultimi papi che hanno parlato a riguardo, e dare così la sensazione che non avessero parlato in modo infallibile. Un vero e proprio cortocircuito teologico insomma. Da lì parte l’analisi delle cause storiche che portarono alla proclamazione del dogma da parte di Pio IX e del Concilio da lui voluto, le cui fonti teologiche, come fa capire Kung, sono basate su argomenti derivanti da documenti storici dimostratisi falsi a partire dall’Umanesimo, ma che avevano influenzato l’opinione di teologi del calibro di Tommaso d’Aquino.

La tesi di Kung è che le categorie usate per definire quel dogma sono distorte e soprattutto il modo di intendere il ruolo del servizio petrino del papa va reimpostato alla luce delle categorie del Vaticano II e della teologia attuale che vuole un maggiore riferimento alla Scrittura. Per i tempi in cui il libro fu scritto, per il clima rivoluzionario del ’68 che portò Paolo VI a serrare i ranghi (seguito anche da un ex collega di insegnamento dello stesso Kung, cioè J. Ratzinger), non poteva esserci altra conseguenza che il progressivo allontanamento di Kung dall’insegnamento, in nome della chiesa cattolica ed in effetti, nel 1979, gli fu proibito da Giovanni Paolo II. Tuttavia Kung è rimasto sempre fedele e prete cattolico, pur insegnando come “ospite” presso le facoltà protestanti. Come a dire: la sua libertà di esprimersi non partiva da un’ideologica presa di posizione nei confronti dell’istituzione, ma dall’ascolto della sua personale coscienza, formata da e fondata su uno studio non preconcetto della teologia, ricondotta ai diversi contesti storici.

Sarebbe significativo rileggere oggi quelle obiezioni fatte a Kung, in nome della Tradizione, da coloro che invece ora mettono in questione, in nome di quella stessa Tradizione, le scelte del papa attuale, successore (non dimentichiamolo) di quel Pio IX di cui si scriveva sull’allora Civiltà Cattolica: “Quando il Papa pensa è Dio che pensa in lui” e quello stesso Pio IX che, in un rimprovero adirato al vescovo di Bologna che cercava la mediazione in Concilio con la minoranza contraria al dogma, disse : “La Tradizione sono io!”. Tornando alle parole di Gesù mi chiedo: cosa significa rimanere nella sua Parola? Se guardiamo alla vita e alla morte del Maestro Galileo possiamo vedere la sintesi delle sue parole nel duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo che, proprio nel Vangelo di Giovanni, Gesù ha ridotto ad uno solo: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Che poi è lo stesso concetto espresso da Paolo di Tarso, colui che ha combattuto affinché si abbandonasse la pratica della legge che conduce alla morte e che tiene schiavi: “Voi, infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Gal 5,13-14).

La Verità che ci rende liberi, ci dicono Gesù e Paolo, è l’amore, mettere non la legge ma l’uomo con le sue fragilità al primo posto. Mi piace chiudere quindi con le parole di un altro grande frainteso nella storia cristiana, Agostino d’Ippona: “Ama, e fa quel che vuoi”. La verità rende liberi!☺

 

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