l’accento straniero     di Dario Carlone
4 Luglio 2013 Share

l’accento straniero di Dario Carlone

 

Foreigner, stranger, alien, non citizen, outlander, barbarian: tanti termini, un solo significato: straniero!

L’ampia gamma di traducenti che i parlanti anglofoni hanno a disposizione deriva, com’è noto,  dalla contaminazione con altre lingue e dall’influsso da esse esercitato sulla lingua inglese.

Il vocabolo outlander  (letteralmente: “al di fuori della terra”) può considerarsi un contributo lessicale del Sudafrica. La parola alien, che è di origine latina, è maggiormente usata nell’inglese americano; etimologicamente il vocabolo foreigner, di origine francese e risalente al XIII secolo, ha il significato di “fuori delle porte”. La costruzione negativa noncitizen (non + il sostantivo citizen), di matrice puramente anglosassone, sta ad indicare colui che non appartiene alla nazione, non ne è cittadino.

Una menzione particolare merita l’aggettivo di origine greca barbarian, che traduce letteralmente “barbaro”: esso si riferisce a “qualcosa o qualcuno che proviene da” o è caratteristico di un paese o una civiltà stranieri, ritenuti inferiori, ed ha pertanto una connotazione decisamente negativa. Nell’accezione più ampia il termine equivale infatti a “non civilizzato” o “incivile”.

Alcuni termini hanno assunto anche altri significati, del tipo estraneo, forestiero, immigrato, strano e ad esempio stranger e strange, pur partendo da una matrice etimologica e semantica comune, hanno significati diversi, rispettivamente “estraneo” e “strano”.

Paradossalmente – ma soltanto sul piano linguistico – la presenza di così tanti etimi che vanno a connotare l’altro da sé testimonia della molteplicità degli incontri che gli anglofoni hanno sperimentato nel corso della storia!

Sulla non neutralità del linguaggio ci siamo spesso soffermati. Quando parliamo siamo costretti ad adoperare le parole e, consciamente o in maniera del tutto inconsapevole, scegliamo quelle che “traducono” meglio il nostro pensiero. È accaduto poi, nel corso degli anni, che vocaboli nati in un determinato contesto siano poi passati ad altri ambiti, modificando il loro significato primario. Ed ancora che alcuni termini, che utilizziamo tuttora, conservino quell’accezione negativa che avevano in origine. Una sorta di assuefazione alle parole fa sì che il loro uso, pur non risultando spesso consapevole, veicoli messaggi involontariamente negativi.

Altra cosa è la teorizzazione del pregiudizio nei confronti dello straniero rappresentata ad esempio nel romanzo The Europeans (Gli Europei) di Henry James. Nel 1878, anno della pubblicazione, un qualsiasi americano avrebbe provato, a contatto con degli europei, sensazioni identiche a quelle descritte nel romanzo. Il protagonista, Mr. Wentworth, nutre una forte diffidenza verso i nipoti, Felix ed Eugenia, il cui padre è europeo e quindi portatore di valori diversi da quelli americani: un pregiudizio espresso prima ancora che lo zio li conosca personalmente. Quando Mr. Wentworth li incontra non riesce a non essere diffidente e sospettoso. Se Felix non lo convince perché c’è qualcosa di sfrontato e di negativo in lui, malgrado la positività di alcuni suoi tratti, la sorella Eugenia lo sconcerta, addirittura, per l’accento straniero, i modi inusuali, la sua situazione di donna in attesa di essere ripudiata da un nobile, anche questo straniero. Mr Wentworth è a disagio ed è assalito dalla paura che la propria progenie americana possa essere influenzata negativamente dagli europei.

La visione proposta da Henry James, con le reazioni di sconcerto, diffidenza, sospetto, paura di fronte a chi viene da un’altra cultura, anch’essa del mondo occidentale, sembra appartenere ad un’epoca ormai remota.

 La storia recente però ci insegna che i comportamenti aggressivi sono duri a morire e  vanno dal dileggio alla violenza fisica, al rifiuto di chi viene da un altro paese.☺

dario.carlone@tiscali.it

                                                                                                    

 

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