l’acqua bene comune
22 Marzo 2010 Share

l’acqua bene comune

 

Il 16 gennaio scorso si è tenuto a Campobasso un convegno regionale sull’acqua come bene comune, inalienabile e non soggetto a logiche commerciali, organizzato dal Forum Regionale dei movimenti per l’acqua pubblica, nonché dagli Uffici pastorali e sociali delle diocesi molisane e ad esso ha partecipato a pieno titolo anche l’associazione Libera Molise, che ha nel suo specimen anche quello di vigilare perché le risorse primarie “pubbliche” (l’energia, i trasporti, la ricerca scientifica, la scuola, la sanità, etc.), tra cui un posto di rilievo spetta all’acqua, non siano sottoposte alle leggi del mercato.

Noi vogliamo evitare ciò, perché come cittadini, civilmente coscienti, intendiamo vigilare e auspichiamo con fermezza che non solo per l’acqua ma anche per gli altri beni collettivi siano  evitati la minaccia e l’incubo della privatizzazione o più precisamente che tali servizi, “omnibus rebus confusis”, siano affidati a privati, i cui interessi non sono di certo quelli della collettività nel suo complesso.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sostiene che il pianeta Terra stia letteralmente precipitando in una vera e propria emergenza idrica: l’acqua per millenni è stata considerata come una risorsa illimitata; in effetti, non è più così per molteplici ragioni sia in relazione alla modificazione del clima sul globo sia anche al cattivo uso che si fa dell’acqua e ciò spinge le amministrazioni locali a cercare nuove strategie di controllo dell’uso delle risorse idriche.

La privatizzazione dell’acqua sarebbe dagli enti locali richiesta, in quanto essi non sarebbero più in grado di gestirne la proprietà collettiva e la sua distribuzione sul territorio (captazione delle acque dolci, loro erogazione, depurazione delle acque reflue).

Gli stessi ambiti territoriali – ATO – sembrano oscillare tra una proposta di gestione aziendalistica di S.p.A. ed un’altra nella quale la figura dell’imprenditore privato potrebbe primeggiare senza infingimenti. Così l’acqua potrebbe non essere più un bene di tutti, al quale ognuno dovrebbe accedere con immediata naturalità e direttamente, bensì un patrimonio inestimabile nelle mani di affaristi e profittatori, così come insegna molto bene la quotidiana filosofia del neoliberismo.

Così stando le cose, da diritto umano fondamentale l’accesso all’acqua potabile (dolce e pulita) rischia di diventare un affare nelle mani di poche persone.

La disponibilità di acqua dolce sta calando sensibilmente, come si arguisce dalle morti nel mondo per mancanza di acqua pulita e potabile: sono circa 6/8 milioni gli esseri umani che muoiono per mancanza di acqua in un anno.

Vogliamo, inoltre, ricordare che la superficie terrestre è coperta per circa il 70% di acqua, rappresentata per il  97,5% dall’acqua salata dei mari e degli oceani. La parte rimanente, quella di acqua dolce, è per il 70% contenuta nei ghiacciai e nelle nevi perenni, e per il 30% circa nel sottosuolo terrestre. Soltanto lo 0.3% dell’acqua dolce viene localizzata nei laghi e nei fiumi. Ciò vuol dire che, relativamente alla quota percentuale, la quantità di acqua dolce sul pianeta è molto modesta.

All’acqua, dunque, è legato il destino dell’uomo, tanto che le guerre che sconvolgono il pianeta sono in gran parte determinate, anche se non viene detto, dall’acqua. 

Nei paesi mediorientali, infatti, all’acqua è stato sempre legato il destino di quei paesi che hanno dato il “là” alla storia umana e che ora rischiano letteralmente l’agonia lenta ma inesorabile per “sete”. Pertanto, oggi assistiamo per un verso al pericolo incombente di vedere privata dell’acqua gran parte dell’umanità; per un altro constatiamo che nella parte opulenta del mondo, il nord industrializzato e l’Europa occidentale, l’acqua rischia di diventare un bene privato e quindi tale da spingere gran parte di questa piccola parte dell’umanità, “pur benestante”, verso un discriminato uso dell’acqua, in quanto essa potrebbe diventare merce “rara”, “costosa”, della quale solo pochi potrebbero godere e alla quale accedere…

Tale situazione è da scongiurare  con accanita durezza e con la disponibilità civile di quanti ad essa si contrappongono, imponendo alle amministrazioni locali di inserire nei loro statuti consiliari quel solenne e civile impegno a considerare l’acqua un bene di tutti e pertanto non soggetta ad affari  lucrosi per pochi.

In effetti, il peggioramento delle risorse idriche nei paesi in via di sviluppo determinerebbe nei prossimi decenni migrazioni ancora più consistenti ed invasive verso le nazioni industrializzate, tali da consigliare il Nord del mondo ricco e florido a mostrarsi molto meno avaro nei confronti di quanti premono sui paesi del Nord nei quali vorrebbero integrarsi per costruirsi una vita più dignitosa.

Per evitare la catastrofe – o  la migrazione biblica o l’utilizzazione dell’acqua dolce solo per pochi milioni di individui nel mondo – bisogna assolutamente preservare le risorse idriche e rendere possibile l’accesso all’acqua potabile a tutti gli uomini, senza colore e senza differenza di classe. In  realtà, sulla Terra ci sarebbe acqua potabile anche per 10 miliardi di abitanti, a condizione di applicare i principi civili ed etici nonché i principi dell’efficienza nella gestione di tale patrimonio dell’uomo (l’esperienza di Cologno Monzese ricordata dall’assessore di questa città nel corso del convegno potrebbe essere un punto di partenza condiviso anche per le altre realtà locali d’Italia).

La messa in discussione degli attuali principi dell’economia neoliberista (l’uomo al centro degli interessi e non le merci o la produzione che indirizzano al profitto ladronesco e criminale) e della gestione delle risorse idriche mondiali potrebbe essere così un primo passo ragionevole  per la soluzione del problema dell’emergenza “acqua”. ☺

bar.novelli@micso.net

 

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