L’adesione vera a dio
19 Settembre 2018
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L’adesione vera a dio

Più o meno nello stesso periodo in cui Marcione elaborava la sua dottrina, secondo cui il Dio degli ebrei non era lo stesso di cui parlavano Gesù e Paolo, ci fu un anonimo scrittore che scelse la posizione opposta, seguendo gli scrittori del Nuovo Testamento. Conosciamo le sue idee attraverso la Lettera di Barnaba che ora figura nel gruppo dei Padri Apostolici. Probabilmente fu scritta nel periodo che va dalla prima rivolta giudaica, quando fu distrutto il tempio, nel 70 d. C. e la seconda rivolta, negli anni trenta del secondo secolo. Nei primi secoli alcuni la Lettera fu ritenuta un libro ispirato, al punto da essere posta, insieme al Pastore di Erma, nel famoso codice Sinaitico (bibbia greca completa del IV secolo, ritrovata nell’800 nel Monastero di S. Caterina sul Sinai), subito dopo l’Apocalisse di s. Giovanni.

La lettera è propriamente un trattato teologico, simile alla lettera agli Ebrei, con la quale condivide l’approccio alle Scritture d’Israele (cioè all’Antico Testamento), intese come profezia della venuta e della vita, morte e risurrezione di Gesù. A differenza di Marcione, quindi, l’anonimo autore vede nella venuta di Gesù il compimento di tutte le Scritture che, a volte in modo esplicito, altre volte in modo simbolico e allegorico, fanno riferimento a Gesù e alla nascita della comunità cristiana.

L’esempio più radicale ed estremo di interpretazione cristocentrica dell’Antico Testamento lo troviamo in 9,8: “Dice infatti la Scrittura: Abramo circoncise 18 e 300 uomini della sua casa. Qual era la conoscenza che gli era stata data? Notate che prima dice 18 e poi, fatta una separazione, aggiunge 300. Il numero 18 indica con iota per il 10 e con eta per l’otto (in greco i numeri erano indicati con le lettere dell’alfabeto). Hai le iniziali di Gesù. Poiché la croce è simboleggiata dal tau, aggiunge il numero 300. Dunque, il numero indica Gesù in due lettere e la croce in una”. Sembra, ed in effetti è, una interpretazione alquanto forzata e fantasiosa; questo tipo di lettura della Scrittura, tuttavia, non è distante dalla sensibilità ebraica che svilupperà l’interpretazione cabalistica, basata appunto sui simboli numerici delle parole sacre; inoltre, poco tempo prima (o forse nello stesso periodo) anche l’Apocalisse di Giovanni si riferiva alla bestia (probabilmente l’imperatore) indicandola con il numero 666. Lo scopo della rilettura nuova delle scritture ebraiche era quello di dimostrare che esse non erano false, ma andavano comprese in modo nuovo, a partire dall’esperienza che i cristiani avevano fatto di Gesù che era venuto a liberare da una fede basata su riti e usi che nulla avevano a che fare con ciò che Dio voleva davvero: praticare la giustizia e vivere il comandamento dell’amore.

Lo stesso Gesù ha voluto mostrare quanto amasse il popolo d’Israele: “Insegnando e compiendo tali prodigi e miracoli, non solo predicò ad Israele, ma anche l’amò immensamente” (5,8). I riti e i sacrifici a cui i giudei volevano tornare con la ricostruzione del tempio, in realtà, erano inutili perché l’unico sacrificio che ha ottenuto il perdono dei peccati è la morte di Gesù. Quindi anche tutte le leggi sui sacrifici vanno interpretate alla luce di ciò che è avvenuto in Gesù. Le leggi alimentari, poi, cioè quelle sui cibi proibiti, sono da leggere come una metafora: non mangiare maiale, ad esempio, significa non frequentare coloro che vivono come maiali: “Mosè parlò in senso spirituale: per quanto riguarda la carne di maiale egli parlò in questo senso: non unirti a quegli uomini che sono simili ai porci; nel senso che, quando gozzovigliano, si dimenticano del Signore, quando invece sono nel bisogno, si ricordano di lui proprio come il maiale, quando mangia non conosce il padrone, quando invece ha fame, grugnisce e si zittisce di nuovo quando ha ricevuto da mangiare” (10,3): un buon esempio di conoscenza delle dinamiche umane!

La novità di questa lettera sta nel fatto di insegnare una vita di fede basata sì, sull’ascolto della Parola di Dio, ma non ridotta ad una pratica vuota di riti staccata dalla vita e dall’impegno in favore del prossimo. Non a caso l’ultima parte della lettera (18-21) riprende la dottrina delle due vie già presente nella Didaché: nelle scelte concrete, non nel ritualismo vuoto si manifesta l’adesione vera a Dio.

Un’ultima nota che mostra la modernità della lettera: è l’unico autore che si rivolge a uomini e donne ponendoli sullo stesso piano: “Vi saluto nella pace, figli e figlie, nel nome del Signore che ci ha amati” (1,1). Nel primo cristianesimo, seguendo le orme del Paolo autentico, si era superata la distinzione dei sessi perché in Cristo Gesù non c’è più né uomo né donna.

Un testo che ha ancora da dire molto oggi in una chiesa dove permane la tentazione di considerare i riti e i formalismi più importanti della vita e persistono ancora tante barriere.☺

 

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