l’adultera
2 Marzo 2011 Share

l’adultera

 

Me l’hanno portata una mattina, mentre ammaestravo in un angolo del tempio. Era poco più di una ragazza; l’avevano strappata da un letto non suo ed ora era lì davanti a me, il corpo ancora acerbo non aveva nessuna protervia, nulla di equivoco; i lunghi capelli scomposti le ricadevano sul viso abbassato che si indovinava dolce e gentile; tremava come un animale impaurito e cercava di coprirsi la spalla denudata dagli strattoni di quegli uomini dalle mani adunche, dagli sguardi laidi, dalla voce arrogante.

– Maestro, questa donna è stata sorpresa in adulterio. La legge di Mosè la condanna ad essere lapidata, tu che ne dici?

Colgo tutta la malizia della domanda e non rispondo, mi metto a scrivere a terra con il dito.

 Una donna, la donna. Lei è il demone. Suoi sono i gesti ammalianti, le movenze sensuali, gli sguardi seducenti: sua la bellezza che provoca pensieri impuri, che scatena desideri arditi, che accende fantasie indicibili…

Ma dov’è l’uomo che pecca insieme a lei? Ipocriti hanno fatto una legge cieca e disumana che condanna la donna soltanto, però sono essi, gli uomini, ad aver trasformato il sesso in un mezzo di dominio per soddisfare i loro istinti, la loro sete di sopraffazione e di possesso…; la violenza che ha portato fino a me questa donna la vedo srotolarsi nel tempo in mille forme; ci saranno ancora tante adultere, ma chi sa degli abusi, delle percosse, delle umiliazioni, dei tradimenti da esse subiti? Ci saranno tante donne che si vendono in un commercio sempre più fiorente, ma l’onda lunga della domanda e dell’offerta da dove arriva, dove si nasconde?

Lei ora, accovacciata a terra, mi spia ansiosa tra i capelli con i suoi occhi nerissimi e terrorizzati: sa quale sarà il suo destino.

Fisso quegli uomini trepidanti e minacciosi, le loro mani già stringono i sassi raccolti per strada o lungo il letto del fiume… penso a quanti ancora si chineranno a raccogliere pietre, a chiudere le mani per giudicare e colpire, anziché aprirle per soccorrere, accogliere e con voce alta e ferma dico: – Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra.

Li vedo allontanarsi ad uno ad uno, delusi e indispettiti, lasciando cadere a terra gli inutili sassi.

Mi avvicino alla donna che mi guarda stupita e sollevandole il viso le domando con dolcezza: – Dove sono? Nessuno ti ha condannata? Non ti condanno neppure io. Va’ e non peccare più.

Si alza incredula, arrossendo cerca di assestarsi le vesti stracciate, il suo volto splende di una luce nuova, nata proprio in quel momento con la sua femminilità guarita, con la sua ritrovata dignità. Com’è bella! Sorride e si allontana con passo incerto poi sempre più sicuro perdendosi nel sole di mezzogiorno, nel vento di primavera.

Carolina

 

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