laicità
17 Aprile 2010 Share

laicità

 

L’aggettivo laikòs, si diceva in un precedente articolo, derivante a sua volta dal sostantivo laòs, nel significato di “popolo”, “folla”, “moltitudine” é di origine greca classica. Da esso il latino laicus e l’italiano, “laico”o “laicità”. Con il passaggio al latino populus si supera il significato generale di massa-moltitudine, assumendone uno più specifico secondo la definizione di Cicerone: «Non omnis hominum genus quoque modus congregatus, sed coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis conunione sociatus» (De re publica, I, 25,39) Ovvero non una qualsiasi moltitudine, ma quella  associata intorno ad un “patto” (iuris consensu) originato dal riconoscere la forza della legge e dal condividere un interesse comune (utilitatis comunione). Famosa è rimasta la sigla SPQR (Senatus populusque Romanus), dove, pur distinguendo i ruoli dei governanti (Senatus) dai governati (populus) essi formano un tutt’uno racchiuso nell’aggettivo (Romanus) caratterizzante i primi e gli ultimi.

Già prima, nell’antica tradizione della Bibbia ebraica, le parole “am” e “gòi”, per ben 1.868 volte, indicano la nozione di popolo, con differenti sottolineature. “Am”, nella cultura tribale, rimanda a una idea di parentela, per cui «am Jhwh» significa “popolo di Jhwh”, “famiglia di Jhwh”. Mentre “gòi” sottolinea un gruppo di uomini che hanno in comune lingua, territorio, leggi, ma accanto a Israele il quale non è come gli altri popoli. Israele solo, infatti, è il  “popolo di Jhwh” tra i popoli (goìm), tra le “genti” (ethné) perché questi sono privi dell’alleanza che Dio ha stabilito con il suo popolo eletto. Con il Nuovo Testamento, la “nuova alleanza” e il “nuovo popolo” sono costituiti dai credenti in Gesù Cristo provenienti da tutti i popoli: gli “eletti” e le “genti”, senza più separazione tra “am” e “goim”; la chiesa è segno di universale convocazione delle genti.

In sintesi possiamo dire che la nozione di popolo (laòs) e i termini derivati hanno stratificato l’accezione politico-civile greca, quella sociologico-giuridica romana, quella religiosa dell’A.T. ebraico e quella mistica ed escatologico-messianica del N.T. cristiano. Tutte queste significative ascendenze appartengono alle parole laòs-populus-popolo e alle derivate laikò-laicuslaico. A queste matrici lontane si sono sovrapposti ulteriori significati nelle epoche successive. Dal II-III secolo d.C., nella tradizione cristiana, si afferma la distinzione tra laikòs-laicus-laico e klèros–clerus-clero, per distinguere il popolo di tutti i credenti battezzati (laici) dai “ministri ordinati”  (clero)  ovvero battezzati e eletti ad un ministero: gli “anziani” (presbiteri), i “sorveglian- ti” (episcopi) a servizio del popolo di Dio. Già da allora si pone quella che oggi, nel linguaggio ecclesiale, viene definita “la questione laicale”, come questione giuridico-vocazionale all’interno della chiesa e delle chiese.

Responsabilità personale

La parola “laicità” sarà in uso soprattutto nel tempo moderno; già in antico, però, si era posta una questione rilevante. Infatti se per “laicità” si intende la responsabilità personale verso il mondo e le realtà temporali, nutrita da un atteggiamento di rispetto delle leggi che le governano e guidata dalla sagace distinzione tra la sfera politico-civile e quella religiosa, proprio il cristianesimo, ispirato dal detto evangelico “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che di Dio” (Mc 12,17) ha introdotto una novità fino ad allora inaudita. Ha desacralizzato il potere sciogliendolo dalla regalità di Dio. Il movimento cristiano, a differenza del precedente movimento ebraico e di quello successivo islamico, afferma la distinzione chiara tra religione e politica. Emerge così tra le due sfere quello della persona e della coscienza, fondata sulla libertà di coscienza: in essa l’uomo ha potere di sé di fronte ad ogni potere divino e mondano, religioso o politico. Si afferma e si riconosce che nell’uomo vi è qualcosa che si sottrae ad ogni ingerenza di qualsiasi potestà, salvo farsene ascoltatore liberamente partecipe (obbediente da ob-audire). Non a caso l’impero romano, che nel suo Panteon riuniva tutte le divinità dei popoli, avvertì il cristianesimo come movimento sedizioso e pericoloso da estirpare. “Nomen christianum delendum est” (il nome cristiano deve essere cancellato), era stato il proclama dell’ultimo imperatore persecutore, Diocleziano, sotto il cui potere, nel 313, furono uccisi anche cristiani delle nostre terre, detti martiri larinesi: Primiano, Firmiano e Casto.

Il movimento cristiano, accanto alla distinzione, afferma anche una gerarchia di autorità: nulla e nessuno può sottrarsi al primato o alla regalità di Dio, al quale Gesù stesso si riconosce sottomesso. Lo aveva ricordato anche a Pilato: “Non avresti nessun potere su di me se non ti fosse dato dall’alto” (Gv 19,11).  Nel primo cristianesimo Paolo scrive: “Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite, poiché non c’è autorità se non da Dio…vuoi non temere l’autorità? Fai il bene e ne avrai lode, perché essa è al servizio di Dio per il tuo bene” (Rm 13,1).

Di fronte alla pretesa di ogni autorità di essere assoluta, senza vincoli, sia se immaginata come analoga a quella di Dio e di essa espressione, che, invece, derivata dal mandato democratico popolare, essa rimane solo e sempre “temporale e temporanea”. Solo quando il potere politico viene strumentalizzato dal fanatismo religioso, o al contrario, quando quello umano vuol assumere su di sé assolutezza divina, si arriva alla perversione dell’autorità e alla negazione della libertà di coscienza. L’autorità temporale, sia essa religiosa o politica, ha un mandato, un ministero da compiere: servire il bene delle persone a cui è preposta, servire il bene comune, quale storica esplicitazione del servizio alla regalità di Dio, se credente. Essa è al servizio del riconoscimento, della tutela, della promozione e della garanzia dei diritti, laicamente e temporalmente articolati, delle persone e delle comunità. Non ha assolutezza alcuna ma sapienza temporale di governo. Essa è per sempre desacralizzata; è profana e laica, comune a tutto il popolo in cammino nella storia e nel tempo. Innervata nei fatti della storia da progettare e governare con competenza, oculatezza, equità, giustizia, bontà e compassione, l’autorità risponde della capacità di tale arte in ordine alla giustizia e al bene delle persone, delle comunità e del mondo: in questo, è “autorevole” e, se religiosa, testimone di Dio. Il potere a cui si è innalzati è servo, l’autorità è servizio: questa è l’inaudita regalità desacralizzata e laica (popolare), introdotta da Gesù Cristo e richiesta a tutti a qualunque gradino della scala dei poteri si è collocati: anche il pontefice dei cristiano cattolici si autodefinisce “servus servorum Dei”, «servo dei servi di Dio». ☺

 

 

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