Gli antichi avevano consacrato l’olmo a Morfeo, uno dei mille figli del Sonno. La sua funzione, come spiega il nome, che deriva da morfé = «forma, figura», era quella di assumere l’aspetto di esseri umani apparendo agli uomini addormentati.
Fra tutti i mille figli, un popolo intero,
il Sonno destò Morfeo.
Così lo cantava Ovidio, mentre Virgilio, descrivendo l’olmo dell’Averno, lo chiamava Ulmus somniorum, l’olmo dei sogni.
Nel Medioevo divenne, con la quercia, l’albero sotto il quale si amministrava la giustizia. “Giudici sotto l’olmo” erano i magistrati senza tribunale che sedevano, appunto, ai piedi di questo albero. L’espressione “aspettare sotto l’olmo” derivava da quell’usanza, pur avendo assunto un altro significato, perché voleva dire che le parti in causa rifiutavano di presentarsi alla convocazione giudiziaria (mai espressione così attuale!).
Nella piazza di un comune della provincia di Catanzaro, Montepaone, c’è un gigantesco olmo sopravvissuto alla furia restauratrice dei Borboni e per questo venerato e rispettato dai residenti del paesino, per i quali esso è l’albero della libertà. Proprio in virtù di questa sua valenza simbolica, il parroco di Bonefro, Antonio Di Lalla, ne ha fatto mettere a dimora un esemplare nell’area adiacente il Calvario, risistemata la scorsa primavera. E anche gli abitanti di Bonefro più avanti con gli anni raccontano di un esemplare di grandissime dimensioni che, in passato, si poteva ammirare nella piazza del nostro paese, come a Montepaone. Ma non è difficile trovare olmi nei campi di collina abbandonati, nei parchi, lungo le strade o nei boschi non troppo fitti, a quote non eccessivamente alte. L’olmo è stato utilizzato e viene tuttora piantato, in particolare la specie conosciuta col nome di bagolaro o albero dei rosari (Celtis australis), quale pianta ornamentale e per ombreggiare i viali di molte città, per il suo bell’aspetto e la resistenza all’inquinamento e alle drastiche potature.
Tante sono le specie di olmo, ma quello presente in tutta Italia è l’olmo campestre (Ulmus campestris), un albero che può raggiungere anche i 20-30 metri di altezza e il cui tronco può superare facilmente il metro di diametro. L’olmo è inoltre molto longevo, tanto da arrivare a vivere fino a 600 anni. Purtroppo è attaccato da una malattia, la grafiosi, dovuta ad un fungo, il Ceratocystis ulmi. Negli ultimi decenni abbiamo assistito impotenti ad una vera e propria morìa di alberi di olmo. La grafiosi si manifesta in modo fulminante, con completo disseccamento della pianta, o cronico, con lento e progressivo deperimento dei rami e successiva morte dell’albero. È risaputo che la malattia si diffonde principalmente per l’attività degli scolitidi, coleotteri che vivono sotto la corteccia e, cibandosi di legno, trasmettono il fungo dalle piante ammalate a quelle sane. Gli alberi morti vanno abbattuti ed allontanati dal giardino (meglio se bruciati), come pure è necessario tagliare ed allontanare i rami secchi delle piante parzialmente colpite dalla malattia, al fine di evitare l’allargamento delle infezioni. Purtroppo nulla è possibile dal punto di vista fitosanitario.
Con i nòccioli del bagolaro, molto duri, si realizzavano rosari; con i rami, flessibili, manici per fruste. Per questa loro caratteristica, i rami giovani erano utilizzati anche per fabbricare cesti. L’olmo è stato poi usato, fin dall’antichità, soprattutto nell’Avellinese, in Umbria e in Romagna, per sostenere le viti (la vite maritata all’olmo). Catullo, in una sua metafora, definisce “vedova” la vite quando non si appoggia a questo albero. Il legno, di colore rosso bruno venato, è un legno forte, molto duro, resistente all’usura e utilizzato per costruzioni subacquee. Il ponte di Londra aveva fondazioni di legno di olmo che sono durate secoli. Altrettanto utile non lo è purtroppo come legna da ardere, tanto che un proverbio bonefrano dice fìqu’re e ulme, mìtt’le n’du fóche e vatte e ddúrme! (fichi e olmi, mettili nel fuoco e vai a dormire!), perché la loro legna non produce un bel fuoco. Quanto alle foglie, contengono dei tannini che colorano le fibre naturali di giallo.
Fin dal Medioevo tutte le parti dell’olmo ma in particolare le foglie, sono considerate uno dei migliori rimedi per le malattie della pelle, come dermatosi, eczemi, foruncoli e pruriti. La radice si credeva facesse rispuntare i capelli. E per curare gli occhi e ridare splendore alla pelle del volto veniva usata “l’acqua dell’olmo”, un liquido dolce e vischioso che esce dalle vistose galle provocate sulla foglia dalla puntura di una specie di insetto, l’Eriosoma lanuginosum. Un ultimo accenno ai frutti di questa pianta: le samare. Queste si formano a fine inverno (febbraio-aprile), prima delle foglie, e rappresentano una preziosa verdura per chi sa apprezzarle; l’ideale è raccoglierle appena formate, quando sono tenerissime. Esse infatti sono costituite da un’ala fogliacea molto tenera e di sapore delicato e gradevole, tanto che si possono mangiare direttamente nel campo senza condimento. Ma si possono raccogliere anche per arricchire l’insalata o la minestra e come verdura cotta.☺
giannotti.gildo@gmail.com
Gli antichi avevano consacrato l’olmo a Morfeo, uno dei mille figli del Sonno. La sua funzione, come spiega il nome, che deriva da morfé = «forma, figura», era quella di assumere l’aspetto di esseri umani apparendo agli uomini addormentati.
Fra tutti i mille figli, un popolo intero,
il Sonno destò Morfeo.
Così lo cantava Ovidio, mentre Virgilio, descrivendo l’olmo dell’Averno, lo chiamava Ulmus somniorum, l’olmo dei sogni.
Nel Medioevo divenne, con la quercia, l’albero sotto il quale si amministrava la giustizia. “Giudici sotto l’olmo” erano i magistrati senza tribunale che sedevano, appunto, ai piedi di questo albero. L’espressione “aspettare sotto l’olmo” derivava da quell’usanza, pur avendo assunto un altro significato, perché voleva dire che le parti in causa rifiutavano di presentarsi alla convocazione giudiziaria (mai espressione così attuale!).
Nella piazza di un comune della provincia di Catanzaro, Montepaone, c’è un gigantesco olmo sopravvissuto alla furia restauratrice dei Borboni e per questo venerato e rispettato dai residenti del paesino, per i quali esso è l’albero della libertà. Proprio in virtù di questa sua valenza simbolica, il parroco di Bonefro, Antonio Di Lalla, ne ha fatto mettere a dimora un esemplare nell’area adiacente il Calvario, risistemata la scorsa primavera. E anche gli abitanti di Bonefro più avanti con gli anni raccontano di un esemplare di grandissime dimensioni che, in passato, si poteva ammirare nella piazza del nostro paese, come a Montepaone. Ma non è difficile trovare olmi nei campi di collina abbandonati, nei parchi, lungo le strade o nei boschi non troppo fitti, a quote non eccessivamente alte. L’olmo è stato utilizzato e viene tuttora piantato, in particolare la specie conosciuta col nome di bagolaro o albero dei rosari (Celtis australis), quale pianta ornamentale e per ombreggiare i viali di molte città, per il suo bell’aspetto e la resistenza all’inquinamento e alle drastiche potature.
Tante sono le specie di olmo, ma quello presente in tutta Italia è l’olmo campestre (Ulmus campestris), un albero che può raggiungere anche i 20-30 metri di altezza e il cui tronco può superare facilmente il metro di diametro. L’olmo è inoltre molto longevo, tanto da arrivare a vivere fino a 600 anni. Purtroppo è attaccato da una malattia, la grafiosi, dovuta ad un fungo, il Ceratocystis ulmi. Negli ultimi decenni abbiamo assistito impotenti ad una vera e propria morìa di alberi di olmo. La grafiosi si manifesta in modo fulminante, con completo disseccamento della pianta, o cronico, con lento e progressivo deperimento dei rami e successiva morte dell’albero. È risaputo che la malattia si diffonde principalmente per l’attività degli scolitidi, coleotteri che vivono sotto la corteccia e, cibandosi di legno, trasmettono il fungo dalle piante ammalate a quelle sane. Gli alberi morti vanno abbattuti ed allontanati dal giardino (meglio se bruciati), come pure è necessario tagliare ed allontanare i rami secchi delle piante parzialmente colpite dalla malattia, al fine di evitare l’allargamento delle infezioni. Purtroppo nulla è possibile dal punto di vista fitosanitario.
Con i nòccioli del bagolaro, molto duri, si realizzavano rosari; con i rami, flessibili, manici per fruste. Per questa loro caratteristica, i rami giovani erano utilizzati anche per fabbricare cesti. L’olmo è stato poi usato, fin dall’antichità, soprattutto nell’Avellinese, in Umbria e in Romagna, per sostenere le viti (la vite maritata all’olmo). Catullo, in una sua metafora, definisce “vedova” la vite quando non si appoggia a questo albero. Il legno, di colore rosso bruno venato, è un legno forte, molto duro, resistente all’usura e utilizzato per costruzioni subacquee. Il ponte di Londra aveva fondazioni di legno di olmo che sono durate secoli. Altrettanto utile non lo è purtroppo come legna da ardere, tanto che un proverbio bonefrano dice fìqu’re e ulme, mìtt’le n’du fóche e vatte e ddúrme! (fichi e olmi, mettili nel fuoco e vai a dormire!), perché la loro legna non produce un bel fuoco. Quanto alle foglie, contengono dei tannini che colorano le fibre naturali di giallo.
Fin dal Medioevo tutte le parti dell’olmo ma in particolare le foglie, sono considerate uno dei migliori rimedi per le malattie della pelle, come dermatosi, eczemi, foruncoli e pruriti. La radice si credeva facesse rispuntare i capelli. E per curare gli occhi e ridare splendore alla pelle del volto veniva usata “l’acqua dell’olmo”, un liquido dolce e vischioso che esce dalle vistose galle provocate sulla foglia dalla puntura di una specie di insetto, l’Eriosoma lanuginosum. Un ultimo accenno ai frutti di questa pianta: le samare. Queste si formano a fine inverno (febbraio-aprile), prima delle foglie, e rappresentano una preziosa verdura per chi sa apprezzarle; l’ideale è raccoglierle appena formate, quando sono tenerissime. Esse infatti sono costituite da un’ala fogliacea molto tenera e di sapore delicato e gradevole, tanto che si possono mangiare direttamente nel campo senza condimento. Ma si possono raccogliere anche per arricchire l’insalata o la minestra e come verdura cotta.☺
Gli antichi avevano consacrato l’olmo a Morfeo, uno dei mille figli del Sonno. La sua funzione, come spiega il nome, che deriva da morfé = «forma, figura», era quella di assumere l’aspetto di esseri umani apparendo agli uomini addormentati.
Fra tutti i mille figli, un popolo intero,
il Sonno destò Morfeo.
Così lo cantava Ovidio, mentre Virgilio, descrivendo l’olmo dell’Averno, lo chiamava Ulmus somniorum, l’olmo dei sogni.
Nel Medioevo divenne, con la quercia, l’albero sotto il quale si amministrava la giustizia. “Giudici sotto l’olmo” erano i magistrati senza tribunale che sedevano, appunto, ai piedi di questo albero. L’espressione “aspettare sotto l’olmo” derivava da quell’usanza, pur avendo assunto un altro significato, perché voleva dire che le parti in causa rifiutavano di presentarsi alla convocazione giudiziaria (mai espressione così attuale!).
Nella piazza di un comune della provincia di Catanzaro, Montepaone, c’è un gigantesco olmo sopravvissuto alla furia restauratrice dei Borboni e per questo venerato e rispettato dai residenti del paesino, per i quali esso è l’albero della libertà. Proprio in virtù di questa sua valenza simbolica, il parroco di Bonefro, Antonio Di Lalla, ne ha fatto mettere a dimora un esemplare nell’area adiacente il Calvario, risistemata la scorsa primavera. E anche gli abitanti di Bonefro più avanti con gli anni raccontano di un esemplare di grandissime dimensioni che, in passato, si poteva ammirare nella piazza del nostro paese, come a Montepaone. Ma non è difficile trovare olmi nei campi di collina abbandonati, nei parchi, lungo le strade o nei boschi non troppo fitti, a quote non eccessivamente alte. L’olmo è stato utilizzato e viene tuttora piantato, in particolare la specie conosciuta col nome di bagolaro o albero dei rosari (Celtis australis), quale pianta ornamentale e per ombreggiare i viali di molte città, per il suo bell’aspetto e la resistenza all’inquinamento e alle drastiche potature.
Tante sono le specie di olmo, ma quello presente in tutta Italia è l’olmo campestre (Ulmus campestris), un albero che può raggiungere anche i 20-30 metri di altezza e il cui tronco può superare facilmente il metro di diametro. L’olmo è inoltre molto longevo, tanto da arrivare a vivere fino a 600 anni. Purtroppo è attaccato da una malattia, la grafiosi, dovuta ad un fungo, il Ceratocystis ulmi. Negli ultimi decenni abbiamo assistito impotenti ad una vera e propria morìa di alberi di olmo. La grafiosi si manifesta in modo fulminante, con completo disseccamento della pianta, o cronico, con lento e progressivo deperimento dei rami e successiva morte dell’albero. È risaputo che la malattia si diffonde principalmente per l’attività degli scolitidi, coleotteri che vivono sotto la corteccia e, cibandosi di legno, trasmettono il fungo dalle piante ammalate a quelle sane. Gli alberi morti vanno abbattuti ed allontanati dal giardino (meglio se bruciati), come pure è necessario tagliare ed allontanare i rami secchi delle piante parzialmente colpite dalla malattia, al fine di evitare l’allargamento delle infezioni. Purtroppo nulla è possibile dal punto di vista fitosanitario.
Con i nòccioli del bagolaro, molto duri, si realizzavano rosari; con i rami, flessibili, manici per fruste. Per questa loro caratteristica, i rami giovani erano utilizzati anche per fabbricare cesti. L’olmo è stato poi usato, fin dall’antichità, soprattutto nell’Avellinese, in Umbria e in Romagna, per sostenere le viti (la vite maritata all’olmo). Catullo, in una sua metafora, definisce “vedova” la vite quando non si appoggia a questo albero. Il legno, di colore rosso bruno venato, è un legno forte, molto duro, resistente all’usura e utilizzato per costruzioni subacquee. Il ponte di Londra aveva fondazioni di legno di olmo che sono durate secoli. Altrettanto utile non lo è purtroppo come legna da ardere, tanto che un proverbio bonefrano dice fìqu’re e ulme, mìtt’le n’du fóche e vatte e ddúrme! (fichi e olmi, mettili nel fuoco e vai a dormire!), perché la loro legna non produce un bel fuoco. Quanto alle foglie, contengono dei tannini che colorano le fibre naturali di giallo.
Fin dal Medioevo tutte le parti dell’olmo ma in particolare le foglie, sono considerate uno dei migliori rimedi per le malattie della pelle, come dermatosi, eczemi, foruncoli e pruriti. La radice si credeva facesse rispuntare i capelli. E per curare gli occhi e ridare splendore alla pelle del volto veniva usata “l’acqua dell’olmo”, un liquido dolce e vischioso che esce dalle vistose galle provocate sulla foglia dalla puntura di una specie di insetto, l’Eriosoma lanuginosum. Un ultimo accenno ai frutti di questa pianta: le samare. Queste si formano a fine inverno (febbraio-aprile), prima delle foglie, e rappresentano una preziosa verdura per chi sa apprezzarle; l’ideale è raccoglierle appena formate, quando sono tenerissime. Esse infatti sono costituite da un’ala fogliacea molto tenera e di sapore delicato e gradevole, tanto che si possono mangiare direttamente nel campo senza condimento. Ma si possono raccogliere anche per arricchire l’insalata o la minestra e come verdura cotta.☺
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