L’amata amazzonia
2 Marzo 2020
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L’amata amazzonia

“Sogno un’Amazzonia che lotti per i diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi, dove la loro voce sia ascoltata e la loro dignità sia promossa” (Papa Francesco, Querida Amazonia, n.7).

Così, in ordine di tempo, nell’ultimo documento post sinodale, Papa Francesco, si esprime per promuovere un’attenzione delicata e convinta in favore del “grande bioma condiviso da nove paesi: Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname, Venezuela e Guyana Francese”: l’amata Amazzonia. Una parte geografica, quella amazzonica, che è definita il polmone del mondo. Ma, tristemente, si può affermare che negli ultimi anni, di sicuro, ha la polmonite perché sfruttata, disattesa, impoverita, ignorata, emarginata. C’è voluto un Sinodo dei vescovi per attirare l’attenzione e non solo dal punto di visto ecclesiale, ma sociale, ecologico, morale ed economico. L’attenzione e la sensibilità di Papa Francesco hanno acceso i riflettori su una realtà da tutti conosciuta, da pochi denunciata e da molti ignorata. “Il suo splendore, il suo dramma, il suo mistero” [dell’Amazzonia] si mostrano al mondo intero con tutte le loro accattivanti ricchezze, le loro immense contraddizioni e gli inesplorati, e meno conosciuti, misteri.

Ancora una volta la storia deve essere letta e vissuta dalla periferia al centro, dallo splendore alla sua fruizione, dal dramma alla sua soluzione, dal mistero al suo svelamento. Il sogno del papa e, si spera, di buona parte dell’umanità, per concretizzarsi, per non rimanere un fatto onirico, etereo, per prendere forma e diventare storia, necessita del cuore umano. Ma il sogno di Francesco è quello di “integrare e promuovere tutti gli abitanti dell’Amazzonia”, non solo preoccuparsi del bioma, ignorando i popoli, ma ancora una volta mettendo al centro la persona umana con tutte le sue potenzialità e le sue necessità. Conoscere e valorizzare le ricchezze, soccorrere e aiutare le fragilità. Non un semplice ecologismo, una vaga rivendicazione, un blando rimprovero per le politiche di sfruttamento, ma promozione seria e convinta del rispetto delle peculiarità, umane, culturali, religiose di tutti gli abitanti di quella porzione di terra remota, almeno da noi, geograficamente parlando. Non si può continuare a “rubare” i beni naturali, legna soprattutto, e impoverire coloro a cui vengono illegalmente sottratti, costringendoli verso le periferie delle città. “Lì non incontrano una reale liberazione dai loro drammi, bensì le peggiori forme di schiavitù, di asservimento e di miseria. In queste città, caratterizzate da una grande disuguaglianza, dove oggi abita la maggior parte della popolazione dell’Amazzonia, crescono anche la xenofobia, lo sfruttamento sessuale e il traffico di persone. Per questo il grido dell’Amazzonia non si leva solamente dal cuore delle foreste, ma anche dall’interno delle sue città” (QA,10).

Il disinteresse per gli indigeni, popoli originari, non può determinare e nutrire l’idea che siano fantasmi, non esistano o, peggio, che le terre da loro abitate non appartengano a loro. Non è tollerabile una specie di sfratto, di diritti di prelazione, da parte di chiunque vuole acquistare, sfruttare a scapito di chi possiede solo quella materia prima: la natura in cui sono nati e cresciuti. Non il potere di acquisto ma il potere di abitare. Non le multinazionali, ma gli indigeni. I figli di quella terra cittadini stabili, liberi ed indipendenti da accogliere nelle loro istanze, nella loro cultura e nella loro condizione. Occorrono, come antidoto per questo virus, rispetto e dignità. Il primo diritto di un povero è quello di poterlo essere. Senza correre il rischio d’essere considerato facile preda, merce di scambio. Occorre placare, anzi, estirpare, la fame predatoria dei popoli opulenti, industrializzati, economicamente avanzati a scapito di chi possiede solo quello che gli ha donato la natura. L’arte predatoria dei ricchi non può più avere l’Amazzonia come palco per le sue esibizioni. “Ingiustizia e crimine” è il nome proprio che Papa Francesco dà a questi atteggiamenti ed a queste scelte scellerate e indiscriminate. Si arriva finanche alla soppressione della vita umana pur di perseguire loschi affari, guadagni macchiati dal sangue, politiche di sfruttamento indiscriminato (Cfr QA,14).

Occorre “indignarsi” allo stato attuale e a quello che la storia di questo popolo, con tristezza, racconta. Non solo sfruttati ma anche maltrattati, mutilati, violentati. Oggi, purtroppo, tutto continua in una forma più mimetizzata e occultata. “La sfida è quella di assicurare una globalizzazione nella solidarietà, una globalizzazione senza marginalizzazione”. Alternative fatte di rispetto, educazione, promozione avendo gli indigeni come protagonisti unici ed indiscussi per il riscatto, il rispetto e la valorizzazione delle loro risorse. Occorre essere “umani”. Il popolo amazzonico grida e noi non possiamo rimanere insensibili, sordi, assenti. Di qui la richiesta di perdono da parte del papa a nome della chiesa. Attraverso la valorizzazione della persona umana ancora una volta parte, o dovrebbe partire, il riscatto e la rivoluzione della “civiltà dell’amore”. La via preferenziale da favorire in assoluto è il dialogo, l’incontro, il rispetto, la collaborazione.

“Il dialogo non solo deve privilegiare la scelta preferenziale per la difesa dei poveri, degli emarginati e degli esclusi, ma li considera come protagonisti. Si tratta di riconoscere l’altro e di apprezzarlo “come altro”, con la sua sensibilità, le sue scelte più personali, il suo modo di vivere e di lavorare. Altrimenti il risultato sarà, come sempre, «un progetto di pochi indirizzato a pochi», quando non «un consenso a tavolino o un’effimera pace per una minoranza felice». Se questo accade, «è necessaria una voce profetica» e come cristiani siamo chiamati a farla sentire” (QA,27).

Ancora una volta il centro lo si raggiunge partendo dalla periferia.☺

 

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