lampi di memoria
20 Febbraio 2010 Share

lampi di memoria

 

Se facciamo scorrere tra le mani, velocemente, le pagine dell’agenda dell’anno appena trascorso riappaiono alla mente eventi, persone, sensazioni: non tutto il tempo trascorso è presente nei nostri ricordi; ci sembra anzi di averne dimenticato una buona parte.

Questa percezione, improvvisa, di avvenimenti passati che riaffiorano alla mente è ciò che, nel linguaggio della narrazione, e in special modo in quello cinematografico è chiamato flashback [pronuncia: flesc.bech].

Il sostantivo inglese è formato dall’avverbio back [pronuncia: bech], che traduce “indietro”, e dal sostantivo flash [pronuncia: flesc(sc come in sci)] che presenta diversi significati, tutti accomunati dalla connotazione di improvviso, imprevisto.

Flash è infatti il bagliore luminoso che appare improvvisamente, la rapida scia di colore che colpisce la nostra vista; il termine rimanda inoltre alla luce artificiale che utilizziamo per scattare le foto all’interno o in penombra! In campo affettivo flash sta ad indicare la durata momentanea di sensazioni.

È facilmente deducibile, quindi, il valore semantico che il vocabolo assume sul piano della memoria: il flashback è il ricordo improvviso di un evento, o di una sensazione, che riemerge. Nella narrazione, verbale o per immagini, esso rappresenta un chiarimento della vicenda, informa il lettore o lo spettatore sulle cause di un certo comportamento, esplicita le motivazioni che influenzano o condizionano l’azione.

Abituati come siamo alle fiction, ai racconti che la televisione ci propone, non sempre riflettiamo adeguatamente sull’im- portanza di questa tecnica narrativa, che non va vista semplicemente come un artificio per la prosecuzione della storia, quanto piuttosto come una pausa meditativa proposta allo spettatore-lettore.

Al di là della semplice tecnica narrativa, che alleggerisce la storia ed attrae l’attenzione di coloro ai quali il racconto si rivolge, il flashback sta ad indicare qualcosa di più profondo e al quale forse dovremmo dedicare maggiore attenzione: il rapporto di interconnessione tra passato e presente. Nonostante viviamo in un tempo che sembra privilegiare unicamente il presente, dobbiamo riconoscere che quest’ultimo non può esistere senza il passato. E in ciò ci viene in aiuto la memoria che, come afferma Enzo Bianchi, “è l’esile filo interiore che ci tiene legati al nostro passato: quello personale, quello familiare di ciascuno, come quello della società civile cui apparteniamo o della comunità di fede in cui ci riconosciamo”.

La forza della memoria è “debole” perché facilmente essa viene travolta dall’attualità, dalle problematiche del presente, dalle innovazioni e dalle attrattive della nostra società “avanzata”. Inoltre è “esile” perché spesso la maggior parte di noi è combattuta – non soltanto a livello individuale – tra la nostalgia che rischia di renderci prigionieri del passato e la tentazione di eliminare qualsiasi legame con esso.

La memoria, oltre che necessaria per la consapevolezza del presente, ci consente di poter guardare – all’alba di un nuovo anno – al domani. Non da soli, perché “l’uomo è definito dalla sua memoria individuale, legata alla memoria collettiva” (Eli Wiesel).

Quando ricordiamo il passato, ci viene mai in mente che le persone che ci hanno preceduto nel tempo avessero anch’esse l’idea del futuro, facessero progetti, impegnassero la loro vita per obiettivi da conseguire? E ancora: quanto siamo grati alle generazioni dei “padri” per il futuro che ci hanno preparato, il presente che stiamo vivendo?

Il nostro pressappochismo spesso ci porta a conclusioni avventate e a definizioni stereotipate. E preferiamo non ricordare!

Indifferenti al senso della storia, ci conduciamo in un eterno “presente”, privo di passato e di futuro, in attesa di un flashback che all’improvviso ci faccia rendere conto del percorso che stiamo effettuando.

“Dimenticare significa uccidere assieme al passato anche il futuro che esso conteneva” (Enzo Bianchi).☺

dario.carlone@tiscali.it

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