le mura di gerico  di Michele Tartaglia
30 Maggio 2012 Share

le mura di gerico di Michele Tartaglia

 

Uno degli episodi più famosi, ma anche più scabrosi, di tutta la bibbia è quello della conquista di Gerico che viene votata allo sterminio, raccontata nel libro di Giosuè (cap. 6). Il racconto, di grande impatto narrativo, ha un forte sapore epico, in quanto si narra che Gerico non è stata conquistata con le armi o con un assedio, ma con una solenne processione intorno alle sue mura e a un suono di tromba così assordante da far sbriciolare le mura di cinta. Il significato di questo episodio leggendario è chiaro: la città non cade per l’impiego della forza umana ma per l’intervento di Dio. Allo stesso tempo, però, il fatto che il popolo di Israele si metta in marcia intorno alla città per comando di Dio e giri intorno ad essa una volta al giorno per sei giorni e per sette volte l’ultimo giorno, può essere assunto a simbolo della lotta nonviolenta che ha caratterizzato alcune battaglie per i diritti o per la denuncia dei crimini avvenute soprattutto negli ultimi due secoli. Basti pensare al movimento femminista delle suffragette per ottenere la parità di diritto tra uomini e donne, oppure alla lotta non violenta di Gandhi, oppure alla marcia silenziosa delle madri argentine per chiedere giustizia per i desaparecidos.

L’immagine di Gerico che cade per la marcia di un intero popolo, senza l’uso delle armi, diventa l’emblema di tutte le lotte per i diritti, che non possono essere veramente affermati con l’uso della forza, ma per loro natura richiedono la testimonianza nonviolenta; allo stesso tempo la ripetitività del gesto ci ricorda che l’impegno per la giustizia richiede perseveranza, non ci si può illudere di ottenere subito dei risultati. Ed è questo che distingue questo tipo di lotta pacifica dalla lotta armata e dalla rivoluzione violenta: ogni atto di violenza fatto per affermare il bene in realtà produce altra violenza; basti pensare alla rivoluzione francese che ha portato al regime del Terrore e all’ascesa di Napoleone, oppure alle rivoluzioni comuniste dalla Russia, passando per la Cina fino a Cuba, che hanno portato a diverse forme di dittature con un numero enorme di morti e l’assenza delle libertà civili. Anche ai nostri giorni abbiamo potuto assistere alle rivoluzioni pacifiche di molti paesi arabi, dove si è bandita la violenza per principio e interi popoli si sono riappropriati della propria autodeterminazione, mentre al contrario, in altri paesi arabi, dove si è voluta “esportare la democrazia” con le armi, si sono acuiti i conflitti e sono sorti regimi ambigui.

La città di Gerico espugnata con un movimento di popolo mosso solo dalla propria fiducia in Dio ci ricorda che i cambiamenti più duraturi ed efficaci sono quelli costituiti da due elementi che devono stare sempre insieme: i grandi ideali (che non mancavano, ad esempio, al marxismo) e gli strumenti adeguati a tali ideali: non si può affermare la giustizia con il giustizialismo o con atti di giustizia sommaria, bensì con la capacità di superare le contrapposizioni, includendo sempre chi è diverso da noi, e riaccogliendo anche chi ha sbagliato, come hanno fatto i tribunali di riconciliazione in diversi paesi africani usciti da lunghe lotte fratricide o dalla segregazione razziale. E qui veniamo alla parte scabrosa del racconto biblico: dopo la caduta delle mura, il popolo di Israele ha sterminato, per comando di Dio, tutta la popolazione di Gerico, eccetto la prostituta Raab che aveva nascosto le spie che erano andate a fare un sopralluogo nella città. Il racconto (leggendario) dello sterminio ci ricorda che i testi biblici sono nati in un contesto in cui la violenza era un fatto quotidiano e si pensava che Dio avallasse questi atti. Tuttavia la figura della prostituta Raab diventa nel racconto il simbolo dell’inclusione del diverso e della riconciliazione degli opposti.

È in quella donna risparmiata con la sua famiglia e che è entrata nella genealogia di Gesù (Mt 1) che è iniziato il cammino di liberazione vera dell’umanità che ha acquisito sempre più la consapevolezza che, fin quando si vede nell’altro solo un nemico da distruggere,  non si riuscirà mai a cambiare realmente il mondo. Raab, attraverso il suo discendente Gesù, che ha perdonato i suoi uccisori sulla croce e ha rivelato il vero volto di un Dio che si vendica perdonando l’umanità, ha dato inizio a un nuovo popolo che non ha solo predicato l’ideale della giustizia e della pace, ma lo ha incarnato con scelte coerenti e durature, anche quando non danno risultati apparenti. È questo popolo che non ha etichette, ma che si muove nei sotterranei della storia, praticando il perdono e la riconciliazione, che permette ancora la mondo di non cadere nella barbarie assoluta.☺

mike.tartaglia@virgilio.it

 

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