le travestite di dio  di Loredana Alberti
30 Ottobre 2011 Share

le travestite di dio di Loredana Alberti

 

Sin dall’inizio del primo cristianesimo ci furono moltissime donne che volevano seguire l’esempio e la figura di Cristo. Ma possiamo dire che sin dall’inizio dell’epoca cristiana fino al medioevo maturo si attuò una cultura ascetico-clericale maschilista come sottolinea lo storico Henry Lea: “La chiesa latina è il grande fatto che domina la storia della civiltà moderna… in nessun luogo è dato vedere uno sforzo concertato senza riguardo per le differenze, se non nell’imponente establishment ecclesiastico dove l’ortodossia, inventando l’eresia che identificò con la donna che emerge, definì un mondo senza donne, una società composta solo di uomini, forgiata nella fuga dalle donne, e impegnati a rifare  il mondo in conformità alla propria immagine solo per metà umana”(A. Lea A history of sacerdotal celibaty London 1907, vol. 1 p17).

Ciò non impedisce alle donne di volere desiderare il monachesimo e di seguire in grande numero l’esempio di Cristo fin dai primi secoli della chiesa, quando ancora il monachesimo femminile non veniva consacrato. Si racconta il travestimento di molte donne per amore di Dio prima di arrivare ad un medioevo dove le donne, vedove, nubili avranno un grande potere nell’ordinamento ecclesiastico -dovuto alla loro ricchezza, alla loro capacità di apprendere e studiare – e all’ideale di comunità asessuate come gli eretici di cui ci parla G. Duby nella Francia settentrionale che consideravano il clero inutile e condannavano il matrimonio ed il sesso. Il movimento fu condannato perché dichiarato femminista (G Duby Il cavaliere, la donna il prete. Il matrimonio nella Fraciai feudale Laterza Roma-Bari 1982 pp.96sg).

Nel fervore delle donne per diventare unite a Cristo si inserisce il travestimento al maschile. Una di queste è santa Marina la cui storia viene riferita nel sec XIV da frate Domenico Cavalca; successive ricerche hanno stabilito che santa Marina era nata in Bitinia fra il V e il VI secolo e che il monastero era quello di Canobin nel Libano. Varia nelle fonti il nome del padre, viene smussato il ruolo dell’abate, ma in tutte le versioni si narra che Marina si traveste per amore del padre inizialmente e poi rimane per amore di Dio, data l’impossibilità di andare in monasteri femminili.

C’era un uomo devoto di nome Eugenio che rimasto vedovo volle diventare monaco e lasciò la piccola figlia ad un familiare. Quando Marina ebbe 14 anni, l’uomo cominciò a mostrarsi sempre triste e preoccupato e un giorno l’abate gli chiese la ragione che lo riduceva a tanto sconforto. Eugenio riferì che quando era entrato in monastero aveva abbandonato in paese un figlio quattordicenne il cui pensiero gli causava rimorso. L’abate gli disse di occuparsi del figlio, di andarlo a prendere. Eugenio ritornò in città, fece accorciare i capelli alla figlia, la fece travestire da uomo e tornò al monastero.

 L’abate decise che il nuovo alunno si sarebbe chiamato frate Marino e il padre iniziò quindi a insegnarle a leggere, a conoscere i comandamenti, la vita di Gesù, guardarsi dall’insidia del demonio e si fece promettere che non avrebbe mai  rivelata la sua vera natura fino a quando lui sarebbe rimasto in vita. Da subito frate Marino si fece benvolere e apprezzare per virtù, bontà, obbedienza, devozione e dottrina così che dopo tre anni, quando il padre morì, avendo maturato un’autentica vocazione ,rimase nel monastero.

 Nei pressi del monastero vi era una locanda dove una volta frate Marino si fermò perché era andato a fare provviste con il carro. La figlia del locandiere accusò Marino di averla messa incinta. L’abate, incredulo, chiese che l’accusa fosse ripetuta davanti all’accusato e quando questo accadde, alla domanda se rispondeva al vero che si fosse approfittato di una ragazza innocente, non ebbe risposta; dopo alcuni attimi di silenzio Marino senza specificare ammise di “avere peccato”, di essere pronto alla penitenza. L’abate fuori di sé dalla rabbia fece flagellare crudelmente frate Marino e lo cacciò dal monastero. Questi non s’allontanò troppo, trascorrendo le giornate come un mendicante appena fuori del portone, piangendo disperatamente, vivendo dell’elemosina dei monaci. Alcuni di essi, dopo cinque anni, commossi dagli stenti della mortificazione subita con cristiana rassegnazione chiesero il ritorno di Marino in convento. Dopo molte insistenze l’abate fece chiamare frate Marino e aggiunse che poteva ritornare assieme al bambino frutto della sua colpa; per penitenza si sarebbe dovuto occupare della riparazione degli abiti, delle calzature dei confratelli, del trasporto dell’acqua, delle pulizie del convento e di ogni tipo di immondizia raccolta. Le sofferenze e le dure condizioni di vita portarono Marina a morire all’età di trentotto anni. I suoi confratelli trovarono Marino morto nella sua cella e nello spogliarlo per le esequie si accorsero che era una donna. L’abate, dapprima incredulo, poi andò a vedere e pianse per la sorprendente conferma chiedendo  perdono.☺

ninive@aliceposta.it

 

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