Mail, post, wi-fi: ci abbiamo fatto l’abitudine! Anche nella nostra piccola, provinciale realtà la tendenza all’ultramodernità si è impadronita delle nostre vite al punto che appare veramente dura rinunciarvi. L’ assuefazione a nuovi comportamenti, indotti dalla necessità di essere al passo coi tempi, ci coinvolge inconsapevolmente.
Perché la caratteristica di questa dimensione contemporanea è la rapidità: collegamenti, risposte, contatti, decisioni, tutto deve necessariamente svolgersi nel modo più veloce possibile; anche le notizie arrivano velocemente, altrettanto velocemente vengono dimenticate, sovrastate da altre, nella smodata ricerca di sensazionalismo ed originalità.
Rapidità, velocità si traducono linguisticamente in brevità: oggi amiamo utilizzare parole brevi, sincopate, interrotte; e niente più della lingua inglese ci facilita in questo, perché naturalmente versata alla riduzione.
È il caso della parola app, abbreviazione di application [pronuncia: applichèscion], “applicazione” in italiano. È un termine che anche ai meno “tecnologizzati” risulta familiare. Ma che cos’è una app? Semplicemente una serie di istruzioni informatiche finalizzate ad effettuare un servizio sui computer o i telefoni cellulari dei singoli utenti. Queste application si distinguono – ci dicono gli esperti – in app native, quelle che sono inserite nella struttura stessa dell’apparecchio elettronico che si utilizza, e web app, vale a dire un semplice collegamento alla rete, senza che la memoria del nostro cellulare o smartphone venga sovraccaricata.
Vale la pena ricordare ancora che le app, in linea con il loro nome, tendono alla semplificazione, vogliono eliminare il superfluo perché il loro scopo è ottenere “legge- rezza, essenzialità, velocità”.
Perché la brevità? Cosa effettivamente aggiunge alla nostra condizione questo ridurre, assottigliare? Per quale ragione esaltare questo risparmio di giorni, ore, minuti?
“Non è vero che abbiamo poco tempo, abbiamo troppo tempo che non riusciamo ad utilizzare” ci ammoniva qualche millennio fa il filosofo latino Seneca, delineando l’uso poco attento che noi uomini facciamo del tempo: “I giorni fuggono, non c’è dubbio, se ci si lascia travolgere da faccende di ben poca importanza”.
Accanto alla spinta innovativa alla velocizzazione permane in molte situazioni, uno stato di lentezza e spesso di immobilismo. Rapido è anche sinonimo di moderno, avanzato, ma non sempre viene connotato positivamente. Rapide possono essere anche le manifestazioni di degrado, violenza, ingiustizia: posti di lavoro che si perdono per scelte sbagliate, situazioni che degenerano perché non osservate ed analizzate con la dovuta cura, il mito vuoto della immediata novità che nasconde insidiose derive …
Avremmo bisogno “urgentemen- te” di numerose app non soltanto in campo tecnologico o delle comunicazioni. Ci vorrebbero delle app culturali, ma soprattutto umane, che non siano schiavizzate dal criterio della velocità, che riconoscano al tempo il suo giusto valore, che siano strumenti validi per la risoluzione dei reali problemi delle persone.
È ancora Seneca a ricordarci: “Non di un tempo di vita breve disponiamo, ma molto tendiamo a perderne”.☺
Mail, post, wi-fi: ci abbiamo fatto l’abitudine! Anche nella nostra piccola, provinciale realtà la tendenza all’ultramodernità si è impadronita delle nostre vite al punto che appare veramente dura rinunciarvi. L’ assuefazione a nuovi comportamenti, indotti dalla necessità di essere al passo coi tempi, ci coinvolge inconsapevolmente.
Perché la caratteristica di questa dimensione contemporanea è la rapidità: collegamenti, risposte, contatti, decisioni, tutto deve necessariamente svolgersi nel modo più veloce possibile; anche le notizie arrivano velocemente, altrettanto velocemente vengono dimenticate, sovrastate da altre, nella smodata ricerca di sensazionalismo ed originalità.
Rapidità, velocità si traducono linguisticamente in brevità: oggi amiamo utilizzare parole brevi, sincopate, interrotte; e niente più della lingua inglese ci facilita in questo, perché naturalmente versata alla riduzione.
È il caso della parola app, abbreviazione di application [pronuncia: applichèscion], “applicazione” in italiano. È un termine che anche ai meno “tecnologizzati” risulta familiare. Ma che cos’è una app? Semplicemente una serie di istruzioni informatiche finalizzate ad effettuare un servizio sui computer o i telefoni cellulari dei singoli utenti. Queste application si distinguono – ci dicono gli esperti – in app native, quelle che sono inserite nella struttura stessa dell’apparecchio elettronico che si utilizza, e web app, vale a dire un semplice collegamento alla rete, senza che la memoria del nostro cellulare o smartphone venga sovraccaricata.
Vale la pena ricordare ancora che le app, in linea con il loro nome, tendono alla semplificazione, vogliono eliminare il superfluo perché il loro scopo è ottenere “legge- rezza, essenzialità, velocità”.
Perché la brevità? Cosa effettivamente aggiunge alla nostra condizione questo ridurre, assottigliare? Per quale ragione esaltare questo risparmio di giorni, ore, minuti?
“Non è vero che abbiamo poco tempo, abbiamo troppo tempo che non riusciamo ad utilizzare” ci ammoniva qualche millennio fa il filosofo latino Seneca, delineando l’uso poco attento che noi uomini facciamo del tempo: “I giorni fuggono, non c’è dubbio, se ci si lascia travolgere da faccende di ben poca importanza”.
Accanto alla spinta innovativa alla velocizzazione permane in molte situazioni, uno stato di lentezza e spesso di immobilismo. Rapido è anche sinonimo di moderno, avanzato, ma non sempre viene connotato positivamente. Rapide possono essere anche le manifestazioni di degrado, violenza, ingiustizia: posti di lavoro che si perdono per scelte sbagliate, situazioni che degenerano perché non osservate ed analizzate con la dovuta cura, il mito vuoto della immediata novità che nasconde insidiose derive …
Avremmo bisogno “urgentemen- te” di numerose app non soltanto in campo tecnologico o delle comunicazioni. Ci vorrebbero delle app culturali, ma soprattutto umane, che non siano schiavizzate dal criterio della velocità, che riconoscano al tempo il suo giusto valore, che siano strumenti validi per la risoluzione dei reali problemi delle persone.
È ancora Seneca a ricordarci: “Non di un tempo di vita breve disponiamo, ma molto tendiamo a perderne”.☺
Mail, post, wi-fi: ci abbiamo fatto l’abitudine! Anche nella nostra piccola, provinciale realtà la tendenza all’ultramodernità si è impadronita delle nostre vite al punto che appare veramente dura rinunciarvi.
Mail, post, wi-fi: ci abbiamo fatto l’abitudine! Anche nella nostra piccola, provinciale realtà la tendenza all’ultramodernità si è impadronita delle nostre vite al punto che appare veramente dura rinunciarvi. L’ assuefazione a nuovi comportamenti, indotti dalla necessità di essere al passo coi tempi, ci coinvolge inconsapevolmente.
Perché la caratteristica di questa dimensione contemporanea è la rapidità: collegamenti, risposte, contatti, decisioni, tutto deve necessariamente svolgersi nel modo più veloce possibile; anche le notizie arrivano velocemente, altrettanto velocemente vengono dimenticate, sovrastate da altre, nella smodata ricerca di sensazionalismo ed originalità.
Rapidità, velocità si traducono linguisticamente in brevità: oggi amiamo utilizzare parole brevi, sincopate, interrotte; e niente più della lingua inglese ci facilita in questo, perché naturalmente versata alla riduzione.
È il caso della parola app, abbreviazione di application [pronuncia: applichèscion], “applicazione” in italiano. È un termine che anche ai meno “tecnologizzati” risulta familiare. Ma che cos’è una app? Semplicemente una serie di istruzioni informatiche finalizzate ad effettuare un servizio sui computer o i telefoni cellulari dei singoli utenti. Queste application si distinguono – ci dicono gli esperti – in app native, quelle che sono inserite nella struttura stessa dell’apparecchio elettronico che si utilizza, e web app, vale a dire un semplice collegamento alla rete, senza che la memoria del nostro cellulare o smartphone venga sovraccaricata.
Vale la pena ricordare ancora che le app, in linea con il loro nome, tendono alla semplificazione, vogliono eliminare il superfluo perché il loro scopo è ottenere “legge- rezza, essenzialità, velocità”.
Perché la brevità? Cosa effettivamente aggiunge alla nostra condizione questo ridurre, assottigliare? Per quale ragione esaltare questo risparmio di giorni, ore, minuti?
“Non è vero che abbiamo poco tempo, abbiamo troppo tempo che non riusciamo ad utilizzare” ci ammoniva qualche millennio fa il filosofo latino Seneca, delineando l’uso poco attento che noi uomini facciamo del tempo: “I giorni fuggono, non c’è dubbio, se ci si lascia travolgere da faccende di ben poca importanza”.
Accanto alla spinta innovativa alla velocizzazione permane in molte situazioni, uno stato di lentezza e spesso di immobilismo. Rapido è anche sinonimo di moderno, avanzato, ma non sempre viene connotato positivamente. Rapide possono essere anche le manifestazioni di degrado, violenza, ingiustizia: posti di lavoro che si perdono per scelte sbagliate, situazioni che degenerano perché non osservate ed analizzate con la dovuta cura, il mito vuoto della immediata novità che nasconde insidiose derive …
Avremmo bisogno “urgentemen- te” di numerose app non soltanto in campo tecnologico o delle comunicazioni. Ci vorrebbero delle app culturali, ma soprattutto umane, che non siano schiavizzate dal criterio della velocità, che riconoscano al tempo il suo giusto valore, che siano strumenti validi per la risoluzione dei reali problemi delle persone.
È ancora Seneca a ricordarci: “Non di un tempo di vita breve disponiamo, ma molto tendiamo a perderne”.☺
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