letti e riletti  di redazione
4 Ottobre 2013 Share

letti e riletti di redazione

 

Parla come mangia o mangia come parla?

Grazie Presidente. Mi dispiace che non ci sia il Presidente di Laura Frattura, ma ci siamo incontrati già nei corridoi e gli ho precisato la mia posizione riconfermando la mia votazione rispetto all’articolo 7. Nello stesso modo sarò coerente, come ne ha fatto richiesta in aula, in base alla votazione che ho fatto, in base a quello che ho votato e sarò conseguente anche con i provvedimenti che saranno sicuramente di valutazione, di recupero di somme, di fondi che non sono stati spesi bene e dove è possibile intervenire. Su questo ci sarà il mio appoggio, quindi non c’è nessun contrattacco come, invece, ogni volta il Presidente Frattura, purtroppo, fa nei suoi interventi, quindi confermo la mia votazione e per quanto riguarda l’intero impianto della legge annuncio il mio voto di astensione.

Un abbonamento gratis a chi ha capito che cazzo voleva dire il consigliere Romagnuolo nell’intervento al consiglio regionale del 22/07/2013 (vedere per credere:  http://www3.molisedati.it/resoconti/vis2.php?id=213)

 

Psicanalista, psicologo, psicoterapeuta, psichiatra: c’è un buco nero nell’immaginario collettivo della gente comune e questo buco nero ruota intorno al prefisso “psi”! Una sorta di Triangolo delle Bermuda nel quale pare si siano persi numerosi amici e parenti e rispetto al quale si fa fatica a distinguere le competenze e a vederci chiaro. Sicuramente questo ingiustificato mistero è alimentato, oltre che dalla oggettiva mancanza di informazioni tra i non addetti ai lavori, anche dal timore/pudore che scaturisce dal rapporto con lo spirito/mente e da una non tenace volontà di chiarezza da parte degli addetti ai lavori. Non mancano del resto, da parte dei più audaci tra i non addetti ai lavori (e tra gli addetti ai lavori annovero anche coloro che usufruiscono delle prestazioni professionali degli psi), fantasie e miti privi di fondamento.

Alice nel paese degli psicanalisti (di Rauda Jamis – La Lepre Edizioni, 2008) è la storia vera di una donna (Rauda Jamis, grande esperta di arte, autrice della biografia di Frida Kahlo), del suo rapporto con la psicanalisi e della sua lunghissima carriera di paziente che l’ha portata a diventare essa stessa psicanalista. Un libro godibile e di facile lettura che con molta intelligenza e il giusto umorismo racconta dal di dentro un pezzo di mondo psi.

Se è vero che lo scopo di questo libro non è risolvere tutti i dubbi sul buco nero, sicuramente si può dire che aiuta a relativizzare alcuni tabù riverenziali e a guardare alla esperienza dell’affidarsi a qualcuno e alle sue competenze come a qualcosa di importante e di utile per tutti.

Felice Di Lernia

felice@dilernia.it

 

L’incontro di Michela Murgia edito da Einaudi, è un racconto lungo, lieve e ironico, comico e profondo. La trama è semplice: la storia dell’adolescente Maurizio e di un estate trascorsa, come sempre, dai nonni a Crabas, dove ritrova i suoi coetanei con i quali condivide giochi e disavventure. Nell’estate del 1986 però, qualcosa di imprevedibile incrinerà i loro legami che sembravano dovessero durare per sempre e mostrerà a tutti, ragazzi e adulti, quanto possa essere fragile il granito dell’identità collettiva. Basta un prete venuto da fuori a fondare una nuova parrocchia per portare una scintilla di fanatico antagonismo dove prima c’era solo fratellanza. In quella crepa della comunità l’estraneo, il sospettato, può assumere qualunque volto, persino quello dell’inseparabile compagno di giochi. Ma poi, nelle difficoltà della vita, oltre l’incapacità di una comunicazione profonda si sperimenta sempre la gioia di un incontro: della Madre col Figlio, dell’amico con l’amico, del sindaco con il parroco, dell’umanità con un Dio Perduto.

In questo racconto, ricco di riferimenti alle tradizioni di una Sardegna incantevole come i suoi silenzi, i suoi paesaggi, i suoi racconti popolati da figure come le Panas, il protagonista scopre, insieme ai lettori, il senso del “noi”. Il messaggio del libro, infatti, è proprio questo: coltivare il sogno che nei momenti più difficili emerga la forza di fare un passo nella direzione giusta, verso l’altro, verso la gioia di un incontro che dona la certezza di un “noi” ritrovato.

Carolina Mastrangelo

carolinamastrangelo51@gmail.com

 

"Immaginate un uomo, accanto al quale giace, stesa su di un tavolo, la moglie suicida, che qualche ora prima si è gettata dalla finestra. L'uomo è sgomento e ancora non gli è riuscito di raccogliere i propri pensieri… Ecco, parla da solo, si racconta la vicenda, la chiarisce a se stesso…".  Dostoevskij in questo racconto mescola e confonde il male e il bene, la vittima ed il carnefice. In un lungo, ininterrotto monologo, trabocca l'anima dell'usuraio, l'unico protagonista della scena, lasciato solo di fronte alla morte, per lui assurda, della giovane moglie.

Esce fuori, come un fiume in piena, il suo passato infelice, le offese subite quando prestava servizio militare, l'inattesa eredità paterna, la possibilità del riscatto col banco dei pegni. Avere la possibilità di diventare un usuraio e vantarsene, per poter gettare in faccia al mondo i suoi ideali traditi in gioventù: "Voi mi avete respinto, voi, gli uomini, mi avete bandito col vostro tacito disprezzo. Ai miei impulsi appassionati avete risposto con un'offesa mortale. Ora io, dunque, ho il diritto di rinchiudermi in una torre d'avorio… nella proprietà acquistata coi miei soldi".

Anche l'amore e il matrimonio con la giovanissima orfana diventano un affare come un altro, almeno all'inizio. Certo che voleva bene a quella giovane creatura, anche se era un amore distorto, malato, nato da un rapporto di dipendenza, dove lui solo poteva esercitare un potere, lui solo poteva disporre della sua vita, ferirla col suo ostinato silenzio, isolarla nei suoi timidi tentativi di instaurare un rapporto alla pari. Paradossalmente proprio quando il cinismo e la viltà del suo comportamento hanno compromesso per sempre la dignità e infranto i sogni della timida ragazza, facendola lentamente precipitare nella melanconia e nella depressione, l'uomo scopre di amarla per davvero. Ma è troppo tardi: lei si ammala di febbre cerebrale e si suicida gettandosi dalla finestra, con in braccio l'icona sacra della vergine, l'unico pegno che non aveva mai considerato "in vendita", dono della madre.

Troppo giovane o troppo infelice quando lo ebbi in mano per la prima volta, non mi resi conto di quale capolavoro stessi leggendo, le chiavi di lettura sono molteplici ma quella che ancora oggi mi sorprende è la violenza del disperato usuraio (esistono anche violenze psicologiche pari allo stupro) e la forza del silenzio della “mite”. Qui il suicidio si svela come riscatto.

O qualcuno di voi mi dà una lettura diversa? (ovviamente è una schermaglia per spingere chi non l’avesse già fatto, a leggere La Mite di Fiodor Dostoevskij).

Loredana Alberti

 ninive@aliceposta.it

 

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