“Come vorrei che il fuoco fosse già acceso!” (Lc 12,49).
“Il foco ha da ardere”, diceva santa Caterina da Siena. Arde il fuoco nel camino, sembra ardere il fuoco in qualche angolo del presepe che anche quest’anno abbiamo allestito, forse distrattamente come debito alla memoria degli antenati. Arde un fuoco nascosto nelle viscere della storia, che non è quello che consuma la legna, né quello che distrugge i figli di Adamo nelle guerre in medio oriente, ma è quello che riattiva il cuore dell’uomo, il fuoco di Dio, venuto a incendiare tutti, potenza celata nella debolezza, cui Giuseppe e Maria danno un nome che è il contrario della distruzione: Yeshua che significa Salvatore, possibilità di ricostruzione. Questo Salvatore di nome e di fatto è tutto fuoco: illumina e riscalda non solo la notte dei pastori, ma anche quella del mondo. Fuoco la sua presenza, fuoco le sue parole che emettono lava incandescente di profezia tra le coscienze assopite di chi si consacra al fatalismo e all’immobilismo. Dal vulcano della grotta povera schizzano scintille per svegliare quanti avrebbero dovuto vegliare. Corrono a marchiare a fuoco, come segno di vivace appartenenza, chi non si piega dinanzi all’Erode di turno, ma come chicco di grano entra nei solchi della storia per nascondersi. Solo in attesa di diventare, come il divino e luminoso Bambino, pane che nutre in tempo di crisi, cataclismi e carestia.
“Come vorrei che il fuoco fosse già acceso!” (Lc 12,49).
“Il foco ha da ardere”, diceva santa Caterina da Siena. Arde il fuoco nel camino, sembra ardere il fuoco in qualche angolo del presepe che anche quest’anno abbiamo allestito, forse distrattamente come debito alla memoria degli antenati. Arde un fuoco nascosto nelle viscere della storia, che non è quello che consuma la legna, né quello che distrugge i figli di Adamo nelle guerre in medio oriente, ma è quello che riattiva il cuore dell’uomo, il fuoco di Dio, venuto a incendiare tutti, potenza celata nella debolezza, cui Giuseppe e Maria danno un nome che è il contrario della distruzione: Yeshua che significa Salvatore, possibilità di ricostruzione. Questo Salvatore di nome e di fatto è tutto fuoco: illumina e riscalda non solo la notte dei pastori, ma anche quella del mondo. Fuoco la sua presenza, fuoco le sue parole che emettono lava incandescente di profezia tra le coscienze assopite di chi si consacra al fatalismo e all’immobilismo. Dal vulcano della grotta povera schizzano scintille per svegliare quanti avrebbero dovuto vegliare. Corrono a marchiare a fuoco, come segno di vivace appartenenza, chi non si piega dinanzi all’Erode di turno, ma come chicco di grano entra nei solchi della storia per nascondersi. Solo in attesa di diventare, come il divino e luminoso Bambino, pane che nutre in tempo di crisi, cataclismi e carestia.
“Come vorrei che il fuoco fosse già acceso!” (Lc 12,49).
“Come vorrei che il fuoco fosse già acceso!” (Lc 12,49).
“Il foco ha da ardere”, diceva santa Caterina da Siena. Arde il fuoco nel camino, sembra ardere il fuoco in qualche angolo del presepe che anche quest’anno abbiamo allestito, forse distrattamente come debito alla memoria degli antenati. Arde un fuoco nascosto nelle viscere della storia, che non è quello che consuma la legna, né quello che distrugge i figli di Adamo nelle guerre in medio oriente, ma è quello che riattiva il cuore dell’uomo, il fuoco di Dio, venuto a incendiare tutti, potenza celata nella debolezza, cui Giuseppe e Maria danno un nome che è il contrario della distruzione: Yeshua che significa Salvatore, possibilità di ricostruzione. Questo Salvatore di nome e di fatto è tutto fuoco: illumina e riscalda non solo la notte dei pastori, ma anche quella del mondo. Fuoco la sua presenza, fuoco le sue parole che emettono lava incandescente di profezia tra le coscienze assopite di chi si consacra al fatalismo e all’immobilismo. Dal vulcano della grotta povera schizzano scintille per svegliare quanti avrebbero dovuto vegliare. Corrono a marchiare a fuoco, come segno di vivace appartenenza, chi non si piega dinanzi all’Erode di turno, ma come chicco di grano entra nei solchi della storia per nascondersi. Solo in attesa di diventare, come il divino e luminoso Bambino, pane che nutre in tempo di crisi, cataclismi e carestia.
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