L’intellettuale e il cretino
6 Gennaio 2015 Share

L’intellettuale e il cretino

La perdita progressiva dei diritti acquisiti dai lavoratori dipendenti (nel loro universo poliforme), la negazione di speranze, anche utopiche, ai danni delle giovani generazioni (schiavizzate nel lavoro o depresse in quanto impossibilitate a trovare un’ occupazione, pur modesta ma dignitosa), il rifiuto acre e ostile del dissenso (di qualsiasi dissenso), che la classe dirigente esprime nei confronti di quanti osano manifestare critiche (anche costruttive) nei suoi confronti, ci impongono di parlare chiaro e di esporci anche pubblicamente in quanto, come intellettuali, abbiamo il dovere civile di farlo.

Ma qui si pone la questione relativa al ruolo e alla funzione degli intellettuali nella società. A questo proposito vorrei prendere lo spunto dal ricordo di una lettura che ho fatto anni fa, relativa al testo di Edward Said, Orientalismo. L’immagine europea dell’ Oriente (1978), nel quale Said esprime la sua convinzione, squisitamente gramsciana-adorniana-sartriana, circa il compito dell’ intellettuale, che deve dire la verità, specialmente quando questa dà fastidio e sta dalla parte di chi soffre, di chi sta male. L’intellettuale, che dice la verità, esprime la sua capacità di leggere la storia, di saper interpretare gli accadimenti, di saperli collegare, anche decodificandoli e così dando l’ opportunità di poterli far leggere a quanti non posseggono gli strumenti per farlo. È intellettuale, secondo noi, non soltanto chi sa leggere e scrivere, non solo chi nelle amministrazioni pubbliche o nei settori privati occupa posti di rilevanza professionale e sociale, ma anche chi riesce a leggere criticamente la realtà, a decomporla, a indicare una strada alternativa alle sofferenze o alla contraddizioni che affliggono la società civile.

È inutile negare la difficoltà, se non addirittura l’impossibilità, di potere oggi immaginare la presenza operativa dell’ intellettuale organico gramsciano in una stagione dove il qualunquismo postmoderno, le correnti razzistiche e etnofobiche si diffondono senza ostacoli in tutti i gangli della società civile, incoraggiate dalla crisi economica che miete, decapitandole, la democrazia e la partecipazione responsabile dei cittadini. In effetti, l’immagine dell’intellettuale-guida della società, che si è affermata per quasi tutta la stagione novecentesca, non esiste più, perché ad essa si è sostituita la figura dell’ intellettuale esperto, che noi vediamo in tutte le trasmissioni televisive e nei talk show. L’ intellettuale esperto non è altri che un suddito di trust o di consorzi d’interesse finanziario ai quali egli soggiace, tacitando sia la sua coscienza civile che la sua (se c’è) capacità di lettura critica della società.

Se un tempo, nella fase della prima Rivoluzione Industriale, l’intellettuale si è potuto emancipare grazie alla nascita del mercato e liberandosi dai ceppi delle corti, della nobiltà, anche ecclesiastica, dalla quale dipendeva, oggi, proprio in presenza di un mercato, infinitamente più sviluppato e possente, perché senza regole, ci accorgiamo che l’intellettuale è tornato prigioniero degli antichi cordoni ombelicali, che non ha nessun interesse a recidere. La sua schiavitù si confà al nuovo cliché dell’intellettuale senza coscienza civile, interessato solo alla sua personale visibilità mediatica e ai vantaggi economici che da questa egli ricava. La globalizzazione dell’economia e della finanza, che ha predicato l’assenza dai mercati di qualsiasi norma di controllo della libera concorrenza, ha in effetti comportato (e imposto) la decapitazione di tutto il patrimonio di civiltà sindacale e politica conquistata dalla classe operaia e dai lavoratori dipendenti nel corso del Novecento.

L’antifascismo, che era l’ espressione di un ethos, di un impegno di vita civile, non esiste più; ma non c’è più nemmeno l’ombra di una tensione culturale a decodificare la realtà fenomenica a tutto vantaggio di condizioni di vita più dignitose di quanto oggi sia possibile immaginare. Chi lo fa ancora (e ci sono comunque molteplici esperienze di base dal volontariato civile a forme residuali di militanza partitica) ha la consapevolezza della irrisorietà e inadeguatezza dei propri sforzi, rischiando di affogare in un mare di melma e di complicità mafiose. A questo punto ci viene in mente un passaggio di uno degli ultimi volumi scritti da Nando dalla Chiesa – Manifesto dell’antimafia -, dove, tra l’altro, sono descritte le figure dei corrotti, degli ignavi, dei cretini, individui  che compongono la società civile.

Un giovane magistrato, che nel 1980 accompagnava Giovanni Falcone negli USA per interrogare il boss Frank Coppola, chiede a quest’ultimo cosa sia la “mafia”; Coppola gli risponde con una specie di apologo. Per un posto di procuratore della Repubblica concorrono tre laureati: il primo è molto intelligente, il secondo è raccomandato da un partito politico che appoggia il governo, il terzo è un cretino ed è proprio questi ad ottenere il posto nella magistratura. Questa è la mafia, dice Frank Coppola. Dunque, all’ interno di un mondo che sta cambiando radicalmente e in peggio (rispetto al recente passato), gli anticorpi della legalità e della democrazia si abbassano sensibilmente e in questo contesto si fanno strada coloro che in determinate situazioni sociali dovrebbero esprimere tensioni civili e capacità di lettura critica e che invece non solo non lo sanno fare ma diventano anche complici di tutti quei meccanismi e di quelle forme di comportamento che da un lato vedono la sparizione di regole elementari di democrazia e da un altro alimentano la complicità nelle  illegalità e nel malaffare.

Ecco perché, secondo noi, all’intellettuale si è sostituita la figura del “cretino”…   ☺

 

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