L’iperonimo migrante
11 Marzo 2020
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L’iperonimo migrante

Qualche anno fa quotidiani e telegiornali finirono con l’unificare il termine col quale nominare chi arriva dal Mediterraneo e dai Balcani, o i rimpallati sul confine francese e fra gli Stati europei. L’iperonimo migrante è divenuto lo standard per indicare condizioni diverse e svolgere una funzione tranquillizzante per il popolo, in una apparente imparzialità capace di mettere d’accordo tutti. Se a livello di singolo cittadino, oppure di comunità coese, questa scelta semantica rispecchia il pensiero dei tanti disponibili ad aiutare, a livello di istituzioni o di Stati e di enti sovranazionali, le cose cambiano, e di molto.

Come singoli deleghiamo a rappresentarci nelle istituzioni persone che dovrebbero sostenere la nostra stessa tesi ma scopriamo che il divario fra individuo e sistema sociale è spesso estremo. La nostra delega nella democrazia numerica rappresentativa finisce per concretizzarsi nell’opposto.

L’organizzazione mondiale della migrazione (Iom, International organization of migration) nel suo glossario, alla voce migrante sostiene che “a livello internazionale non esiste una definizione di migrante uni- versalmente accettata. Il termine copre tutti i casi nei quali la decisione di migrare è presa liberamente da individui senza che intervengano fattori esterni di coercizione”. Insomma, turisti per caso.

Il dizionario neolinguistico della Commissione europea (https://immigrazio- ne.it/docs/2017/ glossario-asilo-migrazione. pdf) è ancora più vago: “Migrante: termine più ampio di immigrante, che si riferisce a una persona che lascia il proprio Paese per stabilirsi in un altro”. Il lessico delle Nazioni Unite (https://www.unhcr.it/news/rifugiati-e-migranti-faqs.html) sostiene: il migrante è “un individuo che ha risieduto in un Paese straniero per più di un anno, indipendentemente dalle cause e dai mezzi adoperati per migrare”. Tanto per complicare, la stampa utilizza, per designare i nostri giovani all’estero, l’inglesismo expat.

Mentre accoglienza concerne l’ individuo, l’immigrazione riguarda la sfera politica e normativa e le regole che la comunità si è data. Ciò, oltre ad essere fonte di confusione è, secondo l’Unhcr, penalizzante per quanti hanno davvero necessità di protezione: “Nonostante stia diventando sempre più comune vedere i termini rifugiato e migrante usati in modo intercambiabile nei media, vi è tra i due una differenza fondamentale dal punto di vista legale. Confonderli può avere conseguenze importanti per rifugiati e richiedenti asilo”. Dunque non si fa affatto un buon servizio a quanti rifugiati lo sono davvero: “Persone che abbandonano i loro luoghi di residenza a causa di gravi pericoli per la loro incolumità”, come recita la convenzione di Ginevra del 1951.

Altrettanta confusione genera il termine profugo: nel dizionario della commissione europea è definito chi, nell’Ue, cittadino di un Paese terzo o apolide, ha dovuto abbandonare il suo Paese d’origine o che è stato evacuato, e il cui ritorno in condizioni sicure e stabili risulta impossibile a causa della situazione nel Paese stesso”. L’Iom invece fornisce la seguente definizione: “Uno sfollato è una persona che fugge dal proprio Stato o comunità a causa della paura o di sospetti pericoli, per motivi diversi da quelli che lo rendono un rifugiato”.

Più si approfondisce più appare evidente che il termine acquietante migranti non corrisponde alla realtà di leggi e regolamenti, quindi alle reali politiche attuate. Possiamo auspicare, desiderare, credere vero, ma la realtà è un mondo ben diverso da quello virtuale degli storytelling dei mezzi di comunicazione di massa.

Ciò vale per la totalità dei temi sensibili verso i quali si manifesta spesso una contrapposizione di vedute fra individuo e società. La Costituzione sancisce che lo Stato (inteso quale popolo sovrano) ripudia la guerra? Ecco che lo stesso Stato partecipa a missioni di guerra raccontate come azioni di pace e attività di formazione per eserciti d’incapaci. E anche se la nostra preparazione si fonda su Caporetto e su guerre iniziate e perse in modo ignominioso (se mai si potesse praticarle senza ignominia), ci spacciano il ruolo d’insegnanti senza dirci dell’attività reale di piazzisti d’armamenti, o di difesa d’interessi nell’ area dell’energia, della spartizione post e neo-coloniale dei continenti, della partecipazione all’economia dei disastri e della ricostruzione.

Più la terminologia utilizzata è buonista, più deve farci dubitare della sua veridicità. Definire le persone con disabilità quali “diversamente abili”, oppure chiamare migranti i “profughi”, persone di colore i “negri”, ma non fare nulla affinché la disabilità non costituisca un handicap di fronte alle infinite barriere mai rimosse, o per dissolvere lo stigma per ogni inesistente diversità di colore, di sesso, di orientamento… è la prova più evidente della mistificazione che le subdole forme del Potere dei potenti e degli aspiranti tali attuano per l’estensione sempre più ramificata della dittatura di pochi, ammantata di democrazia.☺

 

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