Ll’immagine del globo
8 Ottobre 2019
laFonteTV (3191 articles)
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Ll’immagine del globo

Se i movimenti migratori risalgono agli albori della storia umana, ciò che distingue l’epoca più recente non è semplicemente la frequenza, l’intensità, la molteplicità. Come viene intesa, sotto un profilo filosofico, l’emigrazione attuale appare a tutti gli effetti inscritta nella modernità.

Non mancano nel passato forme di spostamento diversificate, dal nomadismo alle conquiste militari, dalle invasioni ai viaggi audaci ed avventurosi, sino alle vere e proprie fondazioni di colonie. In tutte queste forme domina la collettività: a muoversi è il gruppo che intende stabilire o ampliare il dominio su un territorio: il singolo partecipa ad un agire collettivo in cui la meta è quella degli altri di un gruppo a volte guidato da un “capo”. Il modello più tipico è quello della colonia greca, come la descrive Platone nelle Leggi: una polis di secondo grado, risultato di un’espulsione, un allontanamento dei reietti e degli indesiderati, per la quale tuttavia – dato il legame con la madrepatria – vengono fatti valere i requisiti di coesione, compattezza e organicità. Il migrare antico ripristina in un altrove la precedente forma di vita. In tal senso ‘antico’ e ‘moderno’ non connotano solo una scansione cronologica ma soprattutto parametri differenti del migrare.

La migrazione moderna è inaugurata da una nuova visione dello spazio, da una inattesa immagine della terra. Il 1492 come data ci rinvia al primo viaggio di Colombo che salpa dal porto di Palos. Ma alla stessa data  risale anche il primo mappamondo, più o meno fantasioso, costruito dal navigatore e cartografo tedesco Martin Behaim. Una seconda data e un luogo: 1522, Siviglia; al porto della città approdano i diciotto marinai sopravvissuti al viaggio di Magellano iniziato nel 1519. Erano i primi ad aver circumnavigato il globo, dopo aver superato l’estremità sudoccidentale dell’America ed essersi inoltrati in quella enorme distesa d’acqua da loro chiamata “mare pacifico” perché “non si verificò neanche una tempesta” come testimoniava Pigafetta ne Il primo viaggio intorno al mondo del 1536. La circumnavigazione della terra aveva provocato un disincanto destinato a segnare sia il modo di vedere il luogo sia quello di vedere se stessi. Al loro rientro i testimoni della rotondità della terra portarono una buona e una cattiva novella: esistevano sconosciute regioni, inesplorati continenti da occupare, ma la terra era finita. La buona novella avrebbe spinto conquistatori, geografi, commercianti, missionari, cercatori d’oro, avventurieri a seguire le rotte dei primi circumnavigatori aprendo il grande capitolo delle migrazioni moderne. La cattiva novella sarebbe divenuta quella che generava ripercussioni sia sull’immagine del mondo, sia sulla possibilità di abitarlo. Sfatato il mito delle colonne d’Ercole, i viaggi di Colombo sancirono il “dis-orientamento” europeo, da cui scaturì il Nuovo Mondo, il doppio continente americano. Volte le spalle ad oriente Colombo indirizzò la rotta verso Ovest inaugurando la modernità che fu “occidentale”, l’Europa stessa si “occidentalizzò. La leggenda del lontano West si affermò come l’orizzonte di un nuovo assetto dello spazio mondiale.

Il mappamondo diventò strumento per una espansione epocale. Il congedo dalle patrie fu definitivo. La via verso l’esterno diventò un’alienazione e un decentramento. Nessuno poteva sentirsi più al centro del mondo. Ma l’alienazione può divenire anche una liberazione. “Il salto oceanico dischiuse una nuova via di salvezza, prima impensata. Per i disperati, sfruttati, delusi, vagabondi, reietti, perseguitati il mare diventava l’ alternativa alla morte. Il sogno di una vita migliore si proiettò nel mondo d’oltreoceano, in un al di là che non era celeste, bensì terreno, solo che era il luogo di un’altra terra”. Ecco il carattere utopico della migrazione che, nella modernità, è stata sin dall’inizio sinonimo di emancipazione. Inquieti e irrequieti si imbarcavano nella speranza di rompere le proprie catene e accedere finalmente a possibilità altrimenti precluse.

Siamo al contrasto con un’ anomalia sorta nel cuore del XX secolo e ancora agli inizi del XXI circa i migranti e profughi. La prima perdita subìta o voluta, quella della patria – dell’ambiente circostante, del tessuto sociale in cui sono nati e in cui si sono creati un posto nel mondo – è avventura comune della storia umana. Migrazioni di individui, di gruppi per ragioni più diverse assumono quasi l’aspetto di eventi quotidiani. Scrive H. Arendt, a partire dall’avventura ebraica in Europa “Quel che è senza precedenti non è la perdita di una patria bensì l’impossibilità di trovarne una nuova. D’improvviso non c’è più stato nessun luogo sulla terra dove gli emigranti potessero andare senza restrizioni più severe, nessun paese dove potere essere assimilati, nessun territorio dove potessero fondare una propria comunità”. La novità non è venire espulsi, bensì non trovare più un rifugio nel mondo. Nessuno si era accorto – allora, e oggi ci si ricade – che l’umanità, considerata una famiglia di nazioni, aveva raggiunto uno stadio in cui chiunque venisse escluso da una di queste comunità chiuse, rigidamente organizzate, si trovava escluso dall’intera famiglia delle nazioni, dall’umanità. In mancanza di un “diritto ad avere diritto” coloro che dovrebbero essere protetti, relegati nei luoghi del “bando”, delle banlieue delle metropoli, sono per definizione “fuori-legge”, illegali. Risiedere su un territorio senza autorizzazione diventa “delitto”. La seconda perdita per il migrante (ma lo è per tutti mentre loro sono solo il gruppo sperimentale) è quella della funzione protettiva dello Stato quale garante dei diritti inviolabili. Ci chiederemo in seguito “quali diritti per i senza-Stato?”.☺

 

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