l’olivo tra sacro e profano   di Gildo Giannotti
27 Marzo 2012 Share

l’olivo tra sacro e profano di Gildo Giannotti

 

Poseidone, signore dei mari, e Atena, dea della sapienza, si contendevano il dominio della più grande città della Grecia. Poiché non riuscivano a mettersi d’accordo, Atena propose che chi dei due avesse offerto il dono più gradito alla città, avrebbe avuto il diritto di darle il proprio nome. Poseidone offrì un forte e veloce cavallo, per permettere alla città di guerreggiare con i suoi vicini e diventare sempre più potente. Atena conficcò la lancia nel terreno, dal quale spuntò una piantina dalle foglie argentee: l’olivo. Offriva alla città un simbolo di pace. La saggia Atena vinse così la gara e diede il proprio nome alla città: Atene. Era l’olivo il dono più prezioso per l’umanità. Fu dunque Atena a piantare il primo olivo sull’acropoli della città, come ci ricorda l’effigie sulle vecchie 100 lire italiane. Ma la prima coniazione di monete con l’effigie di Minerva (l’Atena dei Romani), che reca in mano un ramoscello di olivo, avvenne – per la cronaca – nella zecca di Larino in epoca romana.

Anche la Bibbia canta la bellezza dell’olivo e ne fa un simbolo di pace. La Genesi narra che quando le acque del diluvio universale cominciarono a calare e l’arca si arenò, Noè fece uscire prima un corvo, perché gli riferisse sul lento emergere delle terre, poi una colomba. La colomba tornò da lui sul far della sera con una tenera foglia di olivo nel becco: il ramoscello di olivo è diventato così per ebrei, cristiani e musulmani, simbolo di rigenerazione, pace e prosperità. E la domenica delle palme i fedeli portano in mano i rami di olivo benedetti per rievocare l’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme, ma soprattutto per ricordare che la pace e l’amore devono regnare fra gli uomini. Secondo Matteo, inoltre, Gesù amava spesso riposarsi, pregare e cercare rifugio proprio negli oliveti che crescevano nei pressi di Gerusalemme, nel campo di Getsemani. Un grande albero di olivo ha visto Gesù in una sofferta preghiera la notte stessa del suo arresto. La sua corteccia rugosa ed il suo tronco cavo hanno protetto il Messia fino a quando le torce e le grida dei soldati non hanno rotto la sua preghiera, in seguito al terribile tradimento di Giuda.

In totale nella Bibbia l’olivo viene citato circa settanta volte, come la vite e il fico. Non è un caso, se si considera che la prima documentazione di una olivicoltura propriamente detta si ha appunto nella Palestina, dove sono stati ritrovati noccioli di olivo ben conservati, risalenti a 3.700-3.500 anni a.C. Sempre dalla Palestina si trasportavano olive e olio fino in Egitto per rifornire medici e imbalsamatori. Gli Ebrei, quando abbandonarono la pastorizia, trovarono una fonte di ricchezza economica e culturale proprio nella coltivazione dell’olivo.

Dalla Palestina l’olivicoltura si è diffusa in modo esclusivo nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Oltre i 2/3 della produzione mondiale di olio d’oliva provengono, ancora oggi, da Paesi come la Spagna, la Grecia e l’Italia. Anche nel Molise la coltura dell’olivo è ampiamente diffusa e documentata già nella letteratura latina, in particolare a Venafro e Larino. Ne parlano Catone, Cicerone, Orazio, Plinio il Vecchio ed altri ancora. Tuttavia occorre qualcosa di più profondo di questi dati per spiegare come mai l’olivo e l’olio siano considerati generatori di una specifica civiltà. Per esempio la combinazione fra l’olivo e la bellezza dei paesaggi mediterranei cantata da Garcia Lorca: “Il campo di ulivi s’apre e si chiude come un ventaglio”. Una campagna di olivi è un trionfo di luce: una luce non accecante, ma argentea, quieta, rasserenante, come in Montale: “Perdersi nel bigio ondoso / dei miei ulivi era buono”. Altro fattore da non trascurare è la presenza dell’olivo, col pane e col vino, nella sacralità della civiltà cristiana, in cui l'olio accompagna l’uomo dall’unzione del battesimo a quella degli infermi (e lo stesso nome Cristo, dal greco Christós, significa “unto dal Signore”). Accanto a questi usi dell’olio, diffusi in tutta la Chiesa cattolica, ci sono altri impieghi sacri della pianta dell’olivo, profondamente radicati nella civiltà contadina e nella credenza popolare, non solo bonefrana: nel rito del mercoledì delle ceneri, che apre la quaresima, la cenere imposta sulla testa dei fedeli è ottenuta dai ramoscelli di olivo benedetti e bruciati l’anno precedente.

Alla domenica delle palme si possono ricondurre poi altre consuetudini locali: quella di appendere nelle case, a capo del letto, un ramoscello di olivo benedetto come augurio di pace e di serenità per tutta la famiglia, e quella di piantare in un angolo del proprio appezzamento di terreno sempre un ramoscello appena benedetto per propiziare un buon raccolto. A tal proposito ci piace citare alcuni proverbi popolari e modi di dire:’a palme bb’n’dette / dend’u cambe sembre z’ade mette, “la palma benedetta / dentro il campo sempre si deve mettere”, per invocare la benedizione divina. E ancora: palme embusse, menocchie essutte, / palme essutte, menocchie embusse, “palme bagnate, covoni di grano asciutti, / palme asciutte, covoni bagnati”, per dire che se piove la domenica delle palme il raccolto di grano si farà con il sole, e viceversa. Un altro detto popolare trae auspicio invece dal vento: se mene ’a vorije / quanne ze b’n’dic’ne ’i palme / serrà ’na bbone ennate, “se spira la bora / quando si benedicono le palme / sarà una buona annata”.☺

giannotti.gildo@gmail.com

 

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