L’ultima frontiera: libertà nel ritorno alla campagna
7 Settembre 2017
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L’ultima frontiera: libertà nel ritorno alla campagna

“L’aria della città rende liberi”.

Così si pensava nell’antica Grecia e così recitava un proverbio tedesco del medioevo; così si è creduto fino al grande esodo rurale dell’età contemporanea. In un mondo prevalentemente rurale, i contadini che si trasferivano in città potevano liberarsi dai vincoli di subordinazione del mondo feudale. Si andava in città per evadere da un mondo duro e ingiusto, per cercare fortuna, per sperare in un destino migliore, spesso trovando in realtà altro disagio e solitudine. Così in parte avviene ancora oggi, se pensiamo alle moltitudini di uomini soli che nelle città cercano di sbarcare il lunario, magari raccattando le briciole di una società urbana consumistica e distratta.

La “libertà” dalle regole o nelle regole

Ma è ancora vero che l’aria della città rende liberi come si pensava nel mondo greco, in quello medievale e fino alle soglie dell’età industriale? Oggi che la città, in particolare la sua forma metropolitana, ha assunto la forma di un contenitore di vincoli e di un sistema di vita per molti aspetti caotico e oppressivo, il mondo rurale può aspirare a rappresentare la libertà. Il rapporto con la natura, il paesaggio come specchio della qualità della vita, la salute e la dignità del lavoro agricolo rimandano al valore della libertà così come si è venuto formando nel corso della storia. Libertà è un termine plurale e dicotomico: libertà positiva e libertà negativa, libertà degli antichi e libertà dei moderni, libertà dalle regole e libertà nelle regole. A lungo la libertà ha significato privilegi per qualcuno e sottomissione per molti, come nella concezione medievale delle cosiddette libertà, cioè facoltà di fare qualcosa o di godere di un diritto. Le odierne logiche neoliberiste, le tendenze oligarchiche e dirigiste in atto, gli attuali processi di smantellamento e di riduzione del ruolo dello Stato nella società spingono i gruppi dirigenti e ampi settori dell’opinione pubblica ad abbracciare l’idea di una libertà dalle regole che inevitabilmente conduce a forme di darwinismo sociale e a un aumento delle disuguaglianze. Invece tutti noi dovremmo essere per una libertà nelle regole.

La “libertà rurale” nell’era postindustriale

La visione di una libertà rurale, frutto di una combinazione di valori naturali e antropici, ancorata a regole morali non scritte, può essere oggi il terreno su cui ricostruire un legame corretto tra individui e società. “L’uomo è nato libero, ma ovunque è in catene”, sosteneva Jean-Jaques Rousseau, il più democratico degli illuministi. Quello del ‘700 era un mondo ancora prevalentemente agricolo e le campagne apparivano il teatro principale di questa sottrazione di libertà, il regno della subordinazione. Il mondo industriale le ha sfruttate e marginalizzate, senza restituire loro la libertà. Nel ‘900 il forte incremento demografico, la tecnologia e il dilagare dei modelli di vita urbani hanno portato al dominio della città sulla campagna e infine alla loro separazione.

[caption id="attachment_19197" align="alignnone" width="900"] In esclusiva per La Fonte, foto di Guerino Trivisonno[/caption]

Ora che ci troviamo nel mondo postindustriale, nella crisi strutturale del modello capitalistico-globale urbanocentrico, un ripensamento è necessario. Le campagne possono tornare ad essere l’ambito per la sperimentazione di nuove forme economiche, sociali e politiche. La vita in campagna e nei piccoli centri può rappresentare il laboratorio di una nuova libertà, lo spazio comunitario dove si può tornare a respirare.

Allora, dove si vive meglio, in città o in campagna?

La storia delle campagne italiane può essere sintetizzata in un lungo addio. L’esodo rurale e il mutamento del paesaggio sono le espressioni più eloquenti di questa trasformazione. Il ‘900 è stato un secolo cominciato con l’agricoltura come settore prevalente dell’economia e della società e si è chiuso con le campagne abbandonate, ripiegate su se stesse, molto spesso ferite e talvolta derise. Sembrava un tramonto definitivo del mondo agricolo e della ruralità. Invece negli ultimi decenni la fine del mito del progresso e della crescita illimitata, il peggioramento della qualità della vita nelle città più grandi e l’emergere della questione ambientale hanno spinto verso una rivalutazione del mondo rurale, prima di carattere culturale e poi anche a livello pratico con l’instaurarsi di processi di ritorno, legati alla multifunzionalità dell’agricoltura, alle produzioni tipiche, all’agriturismo, alla ricerca di nuovi stili di vita e alla ricostruzione del rapporto città-campagna. Si tratta di fenomeni quantitativamente ancora limitati, ma qualitativamente significativi. Riacquistano così una nuova centralità le aree interne o depresse, le economie contadine, il paesaggio agrario, le aziende di piccole e medie dimensioni. E si vengono affermando nuovi stili di vita, che coniugano salute, dignità e libertà. Non siamo ancora in presenza di un coerente modello alternativo, ma si possono intravedere in certe pratiche locali, e timidamente anche in qualche politica, le condizioni per una rinascita del mondo rurale, ispirata a un ribaltamento dell’antico motto: “l’aria della campagna rende liberi”.☺

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