Mai più la guerra
13 Maggio 2020
laFonteTV (3191 articles)
Share

Mai più la guerra

(A) Dal capitolo 5° della Gaudium et Spes (La chiesa nel mondo contemporaneo) stralcio alcune frasi significative in ordine alla “necessità di evitare la guerra”:
“La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita opera della giustizia” (Is 32,7), [n.78 inizio].
“Sebbene le recenti guerre abbiano portato al nostro mondo gravissimi danni sia materiali che morali, ancora ogni giorno in qualche punto della terra la guerra continua a produrre le sue devastazioni. Anzi dal momento che in essa si fa uso di armi scientifiche di ogni genere, la sua atrocità minaccia di condurre i combattenti ad una barbarie di gran lunga superiore a quella dei tempi passati” (n.79 inizio).
“Le azioni pertanto che deliberatamente si oppongono a quei princìpi e gli ordini che comandano tali azioni sono crimini, né l’ubbidienza cieca può scusare coloro che li eseguono. Tra queste azioni vanno innanzi tutto annoverati i metodi sistematici di sterminio di un intero popolo, di una nazione o di una minoranza etnica; orrendo delitto che va condannato con estremo rigore” [n.79 par.2]
“La guerra non è purtroppo estirpata dalla umana condizione. E fintantoché esisterà il pericolo… una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa. Ma una cosa è servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli, ed altra cosa voler imporre il proprio dominio su altre nazioni. La potenza delle armi non rende legittimo ogni suo uso militare o politico. Né per il fatto che una guerra è ormai disgraziatamente scoppiata, diventa per questo lecita ogni cosa tra le parti in conflitto” [n.79 par.4].
“Il progresso delle armi scientifiche ha enormemente accresciuto l’orrore e l’atrocità della guerra. Le azioni militari, infatti, se condotte con questi mezzi, possono produrre distruzioni immani e indiscriminate, che superano pertanto di gran lunga i limiti di una legittima difesa” (n.80, inizio).
“Tutte queste cose ci obbligano a considerare l’argomento della guerra con mentalità completamente nuova” (n.80 cap2).
“Avendo ben considerato tutte queste cose, questo sacro Concilio dichiara”: (80 cap.3)
“Ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione” (80 cap.4).
“È necessario pertanto ancora una volta dichiarare: la corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell’umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri; e c’è molto da temere che, se tale corsa continuerà, produrrà un giorno tutte le stragi, delle quali va già preparando i mezzi” (81 par.3).
“Né ci inganni una falsa speranza. Se non verranno in futuro conclusi stabili e onesti trattati di pace universale, rinunciando ad ogni odio e inimicizia, l’umanità che, pur avendo compiuto mirabili conquiste nel campo scientifico, si trova già in grave pericolo, sarà forse condotta funestamente a quell’ora, in cui non potrà sperimentare altra pace che la pace terribile della morte” (82, par.4).
(B) Simili frasi sembrano, oggi, quasi ovvie, anzi in alcuni casi non troppo decise. Eppure già questa sensazione è, anche tra i cattolici, appunto un effetto del concilio. A partire dal n.79, dove iniziano le esposizioni dei dettagli, il ribaltamento della domanda si nota dal primo capoverso non intitolato “le condizioni di una guerra giusta” come nei trattati teologici precedenti ma “come evitare la guerra”. Si descrive innanzitutto il carattere assolutamente disumano della guerra moderna. A fronte di essa si ribadisce la validità del diritto dei popoli. Non vale più il principio “gli ordini sono ordini” con il massimo riconoscimento di quanti si espongono ad aperta resistenza. Viene auspicata una tutela giuridica della obiezione di coscienza. Solo dopo tutte queste precisazioni il concilio parla – dato che le guerre sono presenti nel mondo – del diritto non del dovere alla difesa contro un attacco.
Le asserzioni del concilio sulla necessità di evitare la guerra come mezzo della politica sono agli inizi della loro possibilità di rappresentare un valido contributo alla educazione del genere umano. Il vero processo é il risultato. Il documento conciliare volle affermare una “apertura al mondo”. In quanto tale non si può valutarla. Si può solo valutare ciò che ha espresso una simile apertura. Certo, nella elaborazione del documento, l’unico non previsto e nato dall’interno del concilio, vi sono state ingerenze, mosse strategiche ed anche intrighi, ma sorprendentemente il concilio é riuscito in sostanza a trasferire, anche con la lettera, ciò che esso intendeva trasmettere. La costituzione pastorale risulta, a distanza, la meno citata, la meno commentata, rispetto agli altri documenti; si conferma che “il processo é il risultato”.
Ha suscitato vivaci discussioni su tutti i temi che ha trattato, nel corso delle quali i tentativi di esitazione sono diventati obsoleti. E ciò vale per la visione antropologica iniziale, la disputa teologica con l’ateismo, le questioni del matrimonio e della famiglia, per le condizioni del mondo moderno, per lo sviluppo economico e sociale, per un miglior rapporto tra chiesa e stato e, non ultima, per la questione della tutela della pace. L’apertura si riflette nel fatto che tali discussioni sempre più vengono svolte senza remore e riferite all’oggetto. Ne è testimone oggi il ministero e il magistero di papa Francesco.
Quando un giorno si domanderà: “Cosa faceva la chiesa al concilio Vaticano II?”, si potrà rispondere: “La chiesa amava, amava l’uomo, amava tutti gli uomini!”. (Paolo VI all’apertura della IV e ultima sessione del concilio,14 settembre 1965).☺

laFonteTV

laFonteTV