metamorfosi del parlamentare
7 Maggio 2017
La Fonte (351 articles)
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metamorfosi del parlamentare

È da molto che andiamo sostenendo, a proposito del ruolo dell’intellettuale nella società civile, la tesi secondo la quale oggi non sono più l’università, la scuola, la biblioteca, la libreria, il libro, il luogo e il mezzo di diffusione delle idee, ma lo è il mercato, il cosiddetto “libero mercato”, sintagma che indica un luogo etereo, virtuale, inesistente, ma che diventa concreto, essenziale per quanti vogliano esibire l’abilità di raggiungere il successo personale, la ricchezza con mezzi “diversamente etici” o “profondamente scorretti” (concorrenza sleale, corruzione, appropriazione indebita del copyright, ed altro ancora!).

Jean Paul Sartre sosteneva che un intellettuale è veramente tale, quando prende pubblicamente posizione su un problema sociale. Sotto questo aspetto, tuttavia, la figura dell’intellettuale critico, nonostante si sia passati dal berlusconismo al neocolonialismo delle lobby bancarie transnazionali, non è scomparsa del tutto, se è vero come è vero che di fronte alle pressioni ossessive della finanza (prendiamo come esempio il cosiddetto “debito sovrano”), gruppi di intellettuali e ampi spezzoni dei movimenti di base hanno reagito (e stanno reagendo) con una militanza ancora più presente sul territorio ma anche attraverso la costruzione di aggregazioni nuove come la “comunità di pensiero e di ricerca”, sostenuta, tra gli altri, da Bevilacqua, Viale e Rodotà. Dunque, la figura dell’intellettuale che pensa, che si proietta nel futuro, che indica una strategia di profondo cambiamento/rinnovamento, resiste ancora.

La crisi economica e di civiltà politica che stiamo subendo fa emergere una serie numerosa di spinose questioni sulle quali l’intellettuale critico cerca di dare una risposta. L’elenco delle sofferenze che affliggono l’Italia va dalla revisione costituzionale renziana (perno delle politiche economiche e finanziarie dei gruppi privati – banche e fondazioni transnazionali – che vogliono annullare il carattere parlamentare e democratico della Repubblica) alla legge elettorale, l’Italicum, incostituzionale e antidemocratica; dall’ostilità ad una riconversione ecologica dell’economia all’annientamento del diritto al lavoro e all’avversione del ceto politico e governativo odierno alla concessione di un reddito di dignità per quanti sono senza lavoro; dall’immigrazione vista come elemento di pericolo sociale all’uso spregiudicato dell’art. 11 della C.C. e alla partecipazione italiana alle cosiddette missioni umanitarie; dalla persistente cultura industriale che distrugge il territorio, danneggiando il paesaggio, al modesto impegno istituzionale nella lotta alla corruzione, vero e proprio tumore esiziale per la nostra democrazia. Dunque, per rendere efficace e proficua una battaglia civile e politica tesa al “benessere” del cittadino, occorre necessariamente che il “sapere”, la “cultura” siano al suo fianco, indicando la strada per un autentico ripristino di quei valori civili, etici, culturali che hanno, pur fra contraddizioni e esperienze traumatiche e dolorose, reso diverso il Novecento da questa età confusa, tracotante, ignorante, pagana, barbarica e dunque illetterata, incolta, analfabeta. Il neoliberismo è un novello neocolonialismo che si basa sullo sfruttamento e sull’eliminazione del corpo e delle anime degli uomini. Il neoliberismo/neocolonialismo ritiene che tutto sia mercificabile: i quattro elementi naturali sono nel mirino dei truffatori internazionali (banche e fondazioni, organi della UE non eletti da nessuno). E la politica, ovviamente, rientra in questa diabolica strategia… la politica che è contrassegnata dalla guerra per bande, dalla incultura del gossip, dal tradimento improvviso (cambi di casacca partitica o politica in senso lato), dai salti della “quaglia”, che vedono parlamentari di dx aderire ai gruppi di sx e quelli di sx andare a dx, con una conseguenza disastrosa per la democrazia, così come noi l’abbiamo intesa e vissuta, perché al disgusto verso la classe politica si accompagna l’astensione di milioni di cittadini dal voto e dagli appuntamenti elettorali e amministrativi. Il risultato è che la “res publica” e le assisi parlamentari sono cedute ai corrotti, ai nullafacenti, ai servottielli, ai voltagabbana, che sono oggi, purtroppo, e ci è amaro riconoscerlo, il risultato di quanto è indicato nell’art. 67 della C.C. “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.

Tale norma, all’interno del dibattito costituente 1946/48, ha voluto affermare due princìpi, quello della “rappresentanza nazionale” e l’altro del “divieto di mandato imperativo”. Il principio della rappresentanza nazionale è stato sancito per svincolare i parlamentari eletti dai collegi elettorali locali e dar loro l’opportunità, dopo il ventennio fascista e la Resistenza che ha costruito col sangue dei partigiani la Repubblica democratica e parlamentare, che oggi Renzi e le banche vogliono distruggere, di alimentare e rendere operativamente proficuo lo spirito unitario nazionale, che era uscito affievolito e trascurato. Secondo i Costituenti questo principio non andava a ledere il diritto/dovere dell’eletto di farsi interprete di interessi, bisogni, aspirazioni di carattere locale, ma li inseriva nell’ambito di quelli più generali del Paese, reduce dalla distruzione provocata dal secondo conflitto mondiale. E questo è stato un elemento di grande spessore politico e di equilibrio amministrativo almeno fino all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, quando è scoppiata l’inchiesta milanese di Tangentopoli, chiamata “Mani pulite” e con essa è venuto allo scoperto il cancro che aveva ammalato la Nazione, la corruzione diffusa in modo preoccupante e la politica come mestiere, come professione, che ha comportato una spaventosa riduzione delle capacità degli eletti nell’amministrare la macchina dello stato e nella risoluzione tempestiva e collettiva dei problemi affioranti di volta in volta.

Il secondo elemento enunciato nell’art. 67 della C.C è quello del “divieto di mandato imperativo”, che impone al parlamentare di non accettare incarichi o istruzioni per lo svolgimento delle sue funzioni da parte di chicchessia, sancendone nei fatti l’indipendenza dai gruppi politici, dalle lobby economico-finanziarie. Ora anche alla luce dei cosiddetti “cambi di casacca” parlamentare (si calcola, andando anche sul sito del parlamento, che in questa XVII legislatura il numero dei cambi di casacca o di gruppi sia di 321: 167 a Montecitorio e 154 a Palazzo Madama. Un ritmo elevato di cambi che qualcosa vorrà pur significare!), oltre alle tante altre ragioni che ciascuno di noi potrebbe aggiungere a questa valutazione, noi pensiamo di fare la seguente proposta (su cui avvieremo un approfondimento condiviso) e di renderla operativa appena dopo la vittoria del NO al referendum d’autunno:

che il parlamentare eletto risponda, oltre che alla sua coscienza di cittadino e di persona, anche al gruppo, al partito, all’associazione, al movimento di base al quale appartiene e dal quale viene eletto per rappresentarne le inquietudini, i bisogni, le strategie prospetticamente riformistiche, soprattutto delle classi sociali che maggiormente oggi risentono sia della crisi economica che della deriva civile ed etica attuale;

che non goda di conseguenza della libertà di mandato, con il risultato prospettico di vedere restituiti alla politica e alla rappresentanza parlamentare quello stile, quel garbo, quel decoro che sono stati messi alla base dell’ordito della C.C. Qualora il parlamentare eletto voglia sentirsi libero dal mandato, dovrà o dimettersi (e lasciare il posto al primo dei non eletti) o percepire un onorario pari allo stipendio medio degli italiani, stipendio onnicomprensivo, quindi anche delle cosiddette indennità. Anche in questo modo supponiamo che possa essere restituita la dignità alla rappresentanza parlamentare.

Collegata a questa proposta di revisione costituzionale dovrà esserci la riflessione sul modo di concepire l’attività politica, non più come mestiere ma come partecipazione responsabile, che metta in discussione sia gli stipendi che le rieleggibilità, che, comunque, non potranno superare i due mandati. Dopo di che, l’eleggibilità parlamentare non potrà più essere goduta per il resto della vita. Con questo sistema si cerca di recidere quel cordone ombelicale che ha fatto della politica una professione come tante altre, una attività vacua, non più al servizio del cittadino e della collettività, ma del padrone di turno e soprattutto dell’egoismo personale dell’eletto e del ceto sociale al quale questi appartiene.

“Ignoranti quem portum petat nullus suus ventus est”, (Nessun vento è favorevole, se il marinaio non sa dove andare) – Anneo Seneca, Epistulae ad Lucilium, 71. ☺

 

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