Migranti: quale accoglienza?
6 Giugno 2016
La Fonte (351 articles)
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Migranti: quale accoglienza?

Alcuni studiosi muovono forti critiche agli approcci sul fenomeno migratorio finora conosciuti: infatti, da una parte si tende a ricondurre il fenomeno esclusivamente a fattori economico-demografici, a travaso di flussi di mano d’opera; dall’altra si finisce per tenere ben separata l’immigrazione dall’emigrazione, come a voler dimenticare il passato non-ricco in contraddizione con la nuova condizione di Paese dominante.

Abdelmalek Sayad (sociologo algerino), ne la Doppia Assenza, intende decostruire tutti i discorsi sulle migrazioni, e uso qui il termine discorsi in senso foucaultiano, che hanno la pretesa di essere obiettivi, necessari, indiscutibili e che influenzano e giustificano le pratiche del potere e dei suoi agenti. Un primo punto di rottura sta nel rapporto tra immigrazione e Stato: l’immigrazione mette in luce la natura discriminatoria e di delimitazione che fa parte della natura stessa dello Stato-Nazione, quindi guardare al fenomeno migratorio significa guardare nel profondo delle strutture dello Stato.

Questa funzione specchio delle migrazioni si inserisce nella più ampia concezione del fenomeno come fatto sociale totale e cioè, con Mauss, come “un aspetto specifico di una cultura che è in relazione con tutti gli altri e pertanto, attraverso la sua analisi, è possibile leggere per estensione le diverse componenti della società”.

Se il fenomeno migratorio è lo specchio delle società d’origine e di quelle riceventi, allora sembra estremamente utile un’analisi delle politiche sull’immigrazione nel nostro Paese e nella contemporaneità europea.

In Italia la prima legge che intende disciplinare il fenomeno risale al 1986 (n.943). Solo a causa delle politiche europee di restringimento degli ingressi degli anni ’70 e della stipula della convenzione di Schengen dell’85 nel nostro Paese si inizia a delineare la necessità di trattare in maniera più approfondita il tema dei flussi migratori: sino ad allora le disposizioni vigenti erano quelle del Testo unico di pubblica sicurezza del 1931 (Tulps), redatto durante il regime fascista e rimasto intatto in vigore fino al 1991.

La Turco-Napolitano, confluita successivamente nel “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’ immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero” (dl 286), si propone di regolare il fenomeno migratorio cercando di favorire gli ingressi “regolari” attraverso una proposta di cittadinanza per lo straniero residente e “produttivo”. Per la prima volta furono previsti i Centri di Permanenza Temporanea (CPT) per tutti gli stranieri “sottoposti a provvedimenti di espulsione e o di respingimento”.

Nel 2002, con il nuovo governo di centro-destra, la legge detta Bossi-Fini modifica il Testo Unico in direzione restrittiva e punitiva. Il permesso di soggiorno viene completamente subordinato al contratto di lavoro: non può essere concesso senza un regolare contratto di lavoro e in caso di perdita di quest’ultimo viene predisposta l’ espulsione immediata. Un’altra modifica, che si inserisce perfettamente nell’impianto delle leggi anti-immigrazione, è quella sulle impronte digitali, che secondo questa riforma vanno rilevate a chiunque faccia richiesta di concessione o rinnovo del permesso di soggiorno. Il nuovo assetto ha comportato un incremento nel ricorso ai Centri, ora CIE, che diventano di fatto centri di detenzione, dai quali tutti i migranti rischiano di dover passare, indipendentemente dal fatto di avere problemi con la giustizia oppure no.

L’intervento del Pacchetto Sicurezza del 2009 applica la norma che instituisce il reato di immigrazione clandestina, per il quale è previsto il processo davanti al giudice di pace con espulsione per direttissima, che successivamente è stata abrogata dalla legge 67/2014. Quest’ultima sposta dal penale all’amministrativo il reato ma di fatto, nonostante abbia scatenato un lungo dibattito politico-ideologico, non modifica l’impianto di fondo, dimostrando come, ancora una volta nel nostro Paese, si giochi facilmente sulla vita delle persone.

Ad oggi la situazione si è aggravata poiché, dopo gli attacchi terroristici in Francia ed in Belgio, l’Europa si è scontrata con i propri limiti politici: la Convenzione di Schengen è di fatto saltata e gli Stati europei, di fronte ai crescenti focolai di guerra, imposti e alimentati dallo Stato Islamico e dal nostrano neoimperialismo, che contribuiscono ad aumentare il numero di rifugiati che premono alle nostre porte per salvarsi dai molteplici bombardamenti, hanno reagito con un’inquietante chiusura. Tra muri fisici e muri politici, i rifugiati siriani, e non solo, sono in attesa, alle porte del nostro continente, di una risposta. Intanto in Europa si parla di quote da spartirsi attraverso il nuovo sistema di HotSpot, riconfermando l’approccio tutto matematico e destoricizzante ad un fenomeno sociale, politico ed economico fatto innanzitutto di esseri umani.

L’attenzione di chi vuole guardare criticamente al fenomeno migratorio inteso come fatto sociale totale, di chi intende osservare come le nostre società si modificano e come sperimentano nuove forme di controllo e soggezione dei corpi (migranti e non), deve focalizzarsi sulla gestione dell’accoglienza come sistema di “appalti” all’italiana e sulle frontiere, sulla condizione di “soglia” sperimentata da centinaia di migliaia di persone. Le porte dell’Europa oggi si configurano come campeggi improvvisati, privi di ogni servizio, in cui la vita scorre nell’attesa di una risposta, di una porta che si apre timidamente, intervallata da attacchi xenofobi e sgomberi da parte delle forze dell’ordine. L’inesistenza politica dell’Europa oggi è a Idomeni, al Brennero, a Calais, a Melilla, a Lesbo, a Ventimiglia.

 

 

 

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