Naufragio dell’europa
7 Luglio 2015 Share

Naufragio dell’europa

Indesiderati

Si agita da settimane lo spettro delle persone sbarcate in Italia che cercano rifugio nel nostro e negli altri paesi europei. Si è usata, a sproposito, l’immagine di esodo biblico o di invasione. Stiamo ai numeri attestati dall’UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) che ha pubblicato il suo rapporto annuale: 56 pagine di numeri, grafici e tabelle che raccontano non solo i flussi ma soprattutto lo spostamento globale innescato da guerre e conflitti, terrore e povertà, persecuzioni e carestie.

Alla fine del 2014, in Italia sono stati censiti 93.715 rifugiati di cui 45.749 richiedenti asilo “pendenti”. In Francia le stesse cifre sono 252.264 e 55.862. In Germania i profughi ammontavano a 216.973 però con oltre 200.000 richieste di asilo. Nel Regno Unito 117.000 rifugiati con 36.383 domande di asilo. Ma in prima linea, secondo il rapporto, ci sono Turchia e Pakistan con 1,5 milioni di rifugiati a testa e il Libano con quasi due milioni, su una popolazione che non raggiunge i 5 milioni; qui il rapporto diventa 232 rifugiati ogni mille abitanti.

L’Unhcr ci restituisce un’altra immagine eloquente. Ogni giorno guerre e persecuzioni producono 42.000 individui costretti alla fuga dai loro paesi. Nel 2013 erano 32.000, mentre nel 2010 la cifra si limitava a 10.900. A livello planetario, oggi, una persona ogni 122 è un rifugiato, uno sfollato interno o un richiedente asilo. Per di più il 51% di questi profughi sono bambini o comunque minori, spesso non accompagnati.

È terrificante constatare come, da un lato, quelli che generano i conflitti risultano sempre più impuniti, mentre, dall’altro, sembra esserci una totale incapacità da parte della comunità internazionale a lavorare insieme per costruire e mantenere la pace. Siamo, inoltre, succubi di una grossolana e inquietante mistificazione mediatica. Sembra smarrito ogni senso delle proporzioni e si parla come se si ignorassero dati di fatto significativi. Un po’ di chiarezza non guasta.

In primo luogo, i paesi UE contano un numero di immigrati di prima generazione (nati all’estero) – regolarmente registrati e attivi nelle rispettive economie, – di poco più di 50 milioni, di cui circa 34 nati in un paese non europeo. Questi immigrati, come quelli che li hanno preceduti, concorrono direttamente alla produzione della ricchezza di quei paesi e non si vede come i nuovi flussi che si aggiungono agli anni precedenti non possano essere assorbiti con vantaggi demografici, economici e socio-culturali, solo che si adottino politiche appropriate e positive di inclusione sociale.

In secondo luogo, invece di contrastare sentimenti xenofobi, li si strumentalizza ed incoraggia pur di guadagnare consensi elettorali in modo spregiudicato. Indicare gli immigrati come una minaccia serve a motivare misure di contrasto e leggi restrittive che in realtà concorrono a sfruttare al massimo il loro lavoro: costretti al lavoro in nero, in impieghi pesanti e mal pagati. Sono proprio le soglie di sbarramento alla integrazione, poste sempre più in basso, e il mancato nonché difficoltoso riconoscimento dei diritti per i lavoratori immigrati che permettono ai gruppi dirigenti economici, e ai loro alleati politici, di sfruttare anche l’ immigrazione per spingere al ribasso le condizioni di lavoro di tutti. Si rendono così più agevoli le politiche di restrizione dei diritti dei lavoratori e lo smantellamento dello stato sociale.

Infine, agitare lo spettro del pericolo degli immigrati occulta altre responsabilità. I paesi europei, Gran Bretagna, Francia in testa, ma seguiti anche da Germania e Italia ed altri ancora, si son fatti promotori, con gli Stati Uniti ed altri paesi, di pesanti interventi politico-militari in Africa, in Medio Oriente e in Asia. L’elenco è lungo, dalla guerra in Iraq alla interminabile guerra in Afganistan, al supporto dato alla ribellione contro il regime siriano, all’intervento in Libia, con il risultato di una situazione ancor più confusa e ingovernabile. Si è alimentato il fuoco dei vecchi conflitti tra le popolazione dell’Africa centro-meridionale con obiettivi tutt’altro che limpidi. Nel 2014 il numero dei profughi che, a livello planetario, hanno cercato di fuggire da zone di guerra, conflitti civili, persecuzioni e violazione dei diritti umani è stato di 60 milioni, come se l’intera Italia si mettesse in movimento verso altri paesi.

I muri non difendono ma offendono.

C’è un altro rapporto (l’inchiesta Migrantes files) che permette di contabilizzare il costo dell’“Europa fortezza”. A partire dal Duemila i paesi dell’Europa hanno speso 11,3 miliardi di euro per le espulsioni dei migranti più altri 1,6 miliardi nel controllo delle frontiere. Le cifre riguardano i 28 membri dell’UE più Norvegia, Svizzera e Islanda. Una singola espulsione costa in media 4.000 euro di cui solo la metà nel costo del trasporto dei migranti. L’Agenzia Frontex ha utilizzato circa un miliardo e i paesi del Mediterraneo in media 70 milioni per l’acquisto di imbarcazioni, visori notturni, droni e altri mezzi tecnologici. Inoltre a partire dal 2011 l’Italia ha pagato 17 milioni al governo della Libia per addestrare chi doveva pattugliare le coste. La Spagna, invece, ha pagato 10 milioni la manutenzione delle “cancellate” nei confini di Creuta e Melilla. L’altra faccia della medaglia, in ultimo, è rappresentata dai 15,7 miliardi incassati dai trafficanti di persone. Questa realpolitik esborsa denaro, umilia i migranti e non offre alcuna soluzione al problema semplicemente perché non l’affronta, semplicemente lo evita, anzi lo combatte.

Scriveva Kofi Annan (Il Sole 24Ore, del 20 giugno): “un altro realismo serve, che si muova su quattro punti fondamentali:

a) i leader dei paesi destinatari dei flussi, a prescindere che siano in Europa, Africa, Americhe, Asia e Oceania, non devono voltare le spalle ai disperati e sventurati. Per molti burocrati eletti si pone il dilemma di conciliare gli interessi dei cittadini, da loro strumentalmente incattiviti, con quelli dei migranti. Devono trovare il coraggio e l’intelligenza di addurre argomentazioni valide a favore di una politica umana per le migrazioni. Troppo spesso i migranti sono utilizzati come capri espiatori, ma l’opinione pubblica deve riconoscere il ruolo cruciale che i nuovi arrivi rappresentano per l’economia dei paesi in cui affluiscono: riempiono vuoti di competenze, assumono mestieri non più desiderati, sostituiscono una forza lavoro che invecchia o si riduce sempre più. L’Istituto per le ricerche economiche di Monaco valuta che la sola Germania entro il 2035, avrà bisogno di 32 milioni di immigrati per mantenere l’equilibrio tra forza lavoro e quella non in età di lavoro. I paesi ricchi smettano la sceneggiata ipocrita della presunta autarchia.

b) Ai migranti che spediscono i loro risparmi nei paesi di origine, garantire che lo possano fare con minori spese possibili. Si calcola che nel 2014 le rimesse dei migranti abbiano raggiunto i 436 miliardi di dollari. Cifra che, a confronto, getta nella vergogna la spesa annuale che la comunità internazionale spende per gli aiuti ufficiali allo sviluppo. Purtroppo gli intermediari finanziari trattengono in media il 9% dei preziosi guadagni che i migranti spediscono a casa.

c) Mettere a punto sistemi migratori dotandoli delle risorse necessarie ad elaborare le richieste di asilo speditamente, imparzialmente e apertamente così che i profughi siano tutelati e possano stabilirsi in sicurezza; ricordando, però, che il 70% di essi cerca protezione, ancora oggi, nei paesi in via di sviluppo.

d) Circa gli sforzi volti a respingere le migrazioni si farebbe meglio a concentrarsi sui trafficanti di uomini non su coloro che sono sfruttati e depredati. È importante nondimeno arrivare ad accettare il fatto che gli sforzi miranti a fermare le migrazioni sono destinati a fallire con conseguenze devastanti sulle vite umane. Erigere muri più alti non è la soluzione. Le migrazioni proseguiranno fino a quando non strapperemo i più poveri e i più vulnerabili alle condizione inaccettabili di vita dalle quali attualmente fuggono. Se ci accadesse di trovarci noi nelle loro situazione lo faremmo come loro, ad ogni costo. ☺