Necessità del partito. Come uscire dall’era del populismo?
18 Luglio 2018
laFonteTV (3191 articles)
Share

Necessità del partito. Come uscire dall’era del populismo?

Con la fine della partitocrazia, com’è messa la classe politica italiana?

Tornare a parlare di Partito in questi nostri tempi è quasi temerario. Nel senso comune i partiti sono delle associazioni a delinquere e nelle zone alte della politica e della intellettualità di sinistra sono considerati dei dannosi fossili archeologici. Pur tuttavia qualcosa e di diverso si muove, dopo anni di movimenti falsi e/o reali, di reti virtuali e di fantasiosi contenitori il tema del Partito torna discretamente ad emergere. Le ragioni sono evidenti. Dopo il 1989, prima per intervento della magistratura, poi per scelta consapevole tutti i partiti storici che in Italia si erano affermati dopo la seconda guerra mondiale sono stati cancellati. Nei primissimi anni 90 le inchieste della magistratura hanno portato alla fine dei partiti che avevano governato l’Italia per oltre 40 anni, nel 1991 per scelta propria – dopo la Bolognina di Occhetto – finisce anche la storia del Partito comunista. Sono passati quasi trenta anni dalla fine della cosiddetta “partitocrazia” ed è ormai maturo il momento per qualche quesito elementare: che società ci ritroviamo? quale classe politica?

L’antipolitica sembra non fermarsi

Gli anni che abbiamo alle spalle sono anni in chiaroscuro, sono gli anni di Obama, della speranza europea, della rivoluzione tecnologica e del grande balzo cinese, ma sono anche gli anni della grande crisi economica e sociale del 2008, dell’impotenza europea, delle ondate migratorie, del terrorismo e della guerra senza fine in Medio oriente. Alla fine lo scuro ha prevalso sul chiaro: l’America con Trump ha scelto il peggio che si potesse immaginare, nel cuore dell’Europa cresce la pianta infestante del moderno populismo e del nuovo nazionalismo, l’ambiente e la natura hanno subito un degrado che non ha precedenti nella storia e le nuove tecnologie più che una diffusa democrazia e partecipazione hanno alimentato un molecolare ribellismo, la ricchezza e il potere di pochi. Si può sempre trovare la luce in fondo al sentiero e si possono sempre trovare ragioni di conforto, ma la realtà è che in questi ultimi trenta anni la società, la politica e la democrazia nell’Occidente hanno perso la spinta propulsiva e inquietanti fantasmi si aggirano sia nel continente europeo come in quello Nord Americano. La situazione è ancor più preoccupante nella nostra Italia.

Il populismo, da Berlusconi a Grillo e Salvini.

Un paese impoverito e moralmente confuso, una società, come scrive De Rita, dei coriandoli, frammentata e rancorosa. Una società precaria nella vita concreta come nei sentimenti, nella quale ha preso forma e consistenza elettorale una forte spinta contro il sistema, contro la Politica e le istituzioni e che ha trovato in Grillo e Salvini i suoi naturali riferimenti. In realtà il primo profeta del moderno populismo fu proprio Berlusconi, ma quel populismo in questi ultimi quindici anni si è moltiplicato e ha preso una direzione che certo il cavaliere di Arcore neppure immaginava. Se poi guardiamo al sistema politico le cose non sono più confortanti: la democrazia è divenuta sempre più una finzione, il potere reale si è concentrato nelle mani di pochi, la classe politica è più scadente e, come ieri, permeabile alla corruzione, all’intrigo e al malaffare. Le ragioni di questo stato di cose sono molteplici, complesse e quasi tutte traggono origine da quella nuova e straordinaria rivoluzione globale che in questi ultimi trenta anni ha cambiato e sta cambiando tutto: dall’organizzazione economica e sociale alla cultura e comportamenti degli individui, dai destini di interi popoli e paesi all’habitat naturale. In questi decenni tanta acqua è passata sotto i ponti e tanti passi indietro nel vivere e nella cultura sociale si sono fatti: il processo di proletarizzazione che s’intuiva già negli anni 70, ha ormai investito il grosso della società e ha proiettato verso il basso la parte più grande dei cosiddetti ceti medi; si è rotto il legame storico fra classe operaia e il capitale e gli operai hanno perso la loro forza contrattuale e il loro peso specifico nel sistema; la potenza del sapere e dell’innovazione ha occupato il centro del campo, si è esponenzialmente moltiplicata la presenza e la pervasività dell’informazione.

Quella in corso è una radicale rivoluzione che cambia sistemi, civiltà e antropologia.

Ma se questo cambiamento ha preso una china che non ci piace, se il nero vince sul chiaro una ragione fondamentale va ricercata proprio in quella crisi della politica che ha disgregato partiti, comunità politiche e screditato le stesse istituzioni democratiche. Si è creato un vuoto di progetto e di direzione nel cervello del grande cambiamento di questi anni e questo vuoto è stato occupato dalle forze selvagge del mercato e degli interessi particolari. E nel cuore delle metropoli storiche del capitale il conto lo stanno pagando i ceti medi, i settori più deboli della società e i nuovi disperati che vengono dal Sud del mondo.

La questione della soggettività politica, delle forme di organizzazione della politica, quello che sino a ieri chiamavamo Partito non è un problema, è il problema fondamentale, se vogliamo evitare il peggio.☺

laFonteTV

laFonteTV