no autostrada    di Antonio De Lellis
4 Giugno 2013 Share

no autostrada di Antonio De Lellis

 

Nei giorni scorsi il presidente della regione Molise ha presentato le linee programmatiche per la nuova legislatura 2013-2018. Un documento che paralizza i sostenitori della grande alleanza PD, Sel, PDCI, molto meno Rialzati Molise e Udeur. In esso si tratteggia in maniera fumosa un’idea di Molise in cui appare chiara la riconsegna della nostra regione ai poteri forti che chiedono cemento e sanità, autostrada e privatizzazione. In questo articolo voglio affrontare i rischi insiti al grave pericolo “autostrada” e di quale possibile sviluppo alternativo si possa costruire.

L'autostrada da san Vittore a Termoli nasce come idea di sviluppo polare o polarizzato, ad esempio per unire i nuclei industriali di Isernia, Bojano, CB, Termoli alle grandi vie di comunicazione. Sottende quindi un'idea di sviluppo ormai sconfessato dalla realtà storica (i nuclei industriali sono desertificati). Inoltre taglia in due la regione emarginando sempre di più l'area di Trivento ed in generale tutta l'area Trignina. La grande opera è in mano a pochi e determina uno spostamento enorme di denaro (per l'opera intera sono previsti 121 viadotti per uno sviluppo totale di 40,3 km, 15 gallerie per uno sviluppo totale di 11,8 km). Il costo è di quasi 1,5 miliardi (dati 2010- in corso d'opera potrebbe aumentare anche fino a 6 miliardi!). Devasterà il Molise dal punto di vista sociale ed ambientale: chi vi viaggerà lo vedrà poco il Molise!

 Essa rappresenta soprattutto, a fronte della necessaria ed indispensabile riqualificazione e valorizzazione dell'intero sistema viario "esistente", un enorme spreco di risorse con aumento della corruzione. Per un numero indefinito di anni la nostra regione sarà un cantiere e chi ci guadagnerà sarà la società privata che per 35 anni incasserà i pedaggi e l'avrà in gestione. Chi c'è dietro questo voltafaccia di Frattura? Lobby di potere dentro la maggioranza costituito da soggetti economici oltre che politici che hanno fatto la loro fortuna alleandosi con aree del paese ad alta criminalità organizzata. Questi vivono e prosperano con gli appalti e le grandi opere. Insomma di fronte ad un’idea di sviluppo agricolo, turistico, culturale e artigianale che richiede un sistema viario interno efficiente ed un idea di sviluppo della filiera corta, e quindi di uno sviluppo diffuso e partecipato con la rivitalizzazione delle aree interne, abbiamo ancora l'idea una regione da usare, da tagliare, a uso e vantaggio di chi? Esiste una democrazia ancora in questa regione! 

L'associazione politica culturale "officine e laboratori permanenti del movimento di rivoluzione democratica" ha lanciato, insieme al forum per una nuova finanza pubblica e sociale (di cui fanno parte Re: common; Attac; Pax Christi),  la campagna della ripubblicizzazione della Cassa Depositi e Prestiti per dire che c'è un altro modo di uscita dalla crisi economica, sociale, ambientale e democratica. Le crisi – finanziaria, economica, sociale ed ambientale – sono ormai arrivate ad un punto critico, soprattutto in Europa. A cinque anni dallo scoppio della bolla dei sub-prime negli USA, la crisi bancaria, sintomo di una più generale crisi produttiva della finanziarizzazione strutturale dell'economia e della società attuata negli ultimi decenni, è stata trasformata in una crisi del debito pubblico dei governi con il fine di imporre ulteriori riforme liberiste (politiche di austerità, attacco ai diritti del lavoro e ai beni comuni,  svendita del patrimonio pubblico). Si accelera la crisi democratica nell'Unione Europea e in Italia, dove l'imposizione di politiche tecnocratiche e monetariste toglie potere ai cittadini e a chi sta pagando l’impatto della crisi. Intorno alla questione della finanza ruota il futuro di una rinascita politica così come la possibilità di pensare una nuova democrazia dei diritti e dei beni comuni ben oltre l'attuale fallimentare modello di sviluppo. Il Forum per una nuova finanza pubblica e sociale si propone come luogo aperto e inclusivo, a cui possono partecipare tutte le realtà che si riconoscono negli obiettivi condivisi e nelle iniziative poste in essere per attuarli. Il contesto nel quale si colloca rientra nella necessità di interrompere il ciclo devastante di politiche di austerità depressive, svendita del patrimonio pubblico e messa sul mercato dei beni comuni ad esclusivo vantaggio di pochi interessi privati, affrontando due questioni chiave: come emanciparsi dalla dittatura dei mercati finanziari, sottraendo la finanza pubblica all'estrazione di valore da parte di questi e definanziarizzando, ossia riducendo, il volume di questi mercati sempre più pieni di capitali in cerca di beni patrimoniali altamente profittevoli su cui investire; come riappropriarsi di nuove forme e strumenti di governo della finanza pubblica per uscire dalla crisi promuovendo un altro modello di economia e di società, con un nuovo intervento pubblico partecipativo che subordini gli interessi privati a quelli collettivi.

Due sono le questioni fondamentali che, nel suo percorso, il Forum ha sinora delineato:

a) Uscire dalla trappola del debito. La creazione del debito pubblico è stata a vantaggio di pochi e non della maggioranza delle persone. La mancata tassazione delle rendite finanziarie, la mancata riforma fiscale in senso autenticamente progressivo e l'utilizzo corrotto della spesa pubblica per il controllo sociale, hanno beneficiato una classe ristretta di persone, e il divario tra ricchi e poveri nel nostro paese è divenuto più profondo. È necessario – tanto a livello nazionale quanto a livello di enti locali – un audit pubblico e partecipativo che valuti quali debiti sono illegittimi e quindi da non riconoscere, e quali vadano invece ripagati, ristrutturando la composizione del debito, a partire dall’immediato congelamento del pagamento degli interessi e da una rinegoziazione equa, democratica e trasparente con i creditori.

b) Riappropriarsi di una finanza pubblica e partecipativa. La Cassa Depositi e Prestiti, che raccoglie il risparmio postale dei cittadini e dei lavoratori, e che, dopo la sua privatizzazione nel 2003, è divenuta un vero e proprio “fondo sovrano” sui mercati finanziari internazionali, deve essere risocializzata per tornare a finanziare – a tassi agevolati e fuori dal patto di stabilità – gli investimenti degli enti locali per i beni essenziali e il welfare territoriale; così come – a tassi agevolati e fuori dal circuito bancario –  interventi pubblici e per privati (PMI e individui) finalizzati alla riconversione ecologica e sociale dell’economia. Disaccoppiando Cassa Depositi e Prestiti dai mercati di capitale diventerebbe inoltre possibile reincanalare alcune risorse private nella Cassa, da gestire per finanziare interventi di interesse pubblico, così come, in caso di difficoltà del sistema bancario privato, intervenire per rinazionalizzare le banche salvate e gestirle fuori da logiche di mercato. Voi da che parte siete?☺

adelellis@virgilio.it

 

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