Non tutto ciò che luccica è oro
17 Gennaio 2020
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Non tutto ciò che luccica è oro

Il rapporto CENSIS (Centro Studi Investimenti Sociali) ci segnala un dato allarmante: più di undici milioni di italiani non si curano perché non hanno la possibilità. Da uno sguardo superficiale o da un’analisi sbrigativa sembrerebbe di no. In questo periodo natalizio, invaso, quasi sommerso, dal luccichio, dai lustrini, dai negozi stracolmi per gli acquisti, sembra che l’indagine sia menzognera o che comunque abbia fotografato in modo sfocato la realtà. Ne siamo certi? Le apparenze, come sempre, ingannano! Non tutto è oro ciò che luccica. Molti vivono il proprio disagio e interpretano la propria indigenza con pudicizia, addirittura cercano di camuffarsi, mimetizzarsi al fine di evitare mortificazioni. Altri si adeguano e, pur di non apparire diversi, fanno ogni tipo di sacrificio per stare al passo. Taluni sono talmente succubi del dire e del volere sociale, del “così fanno tutti” che ogni energia la spendono per mostrarsi diversi da quello che si è. C’è perfino chi, scandalosamente, si priva del necessario per mangiare ma non del superfluo per apparire, per non essere da meno. Purtroppo si è succubi, se non sudditi, di una mentalità imperante e dominante che ci vuole consumatori quasi seriali se non addirittura compulsivi. Anche il giornaliero riferimento dell’andamento della borsa fa capire o ci vuole indurre a soggiacere alla mentalità del consumo, della produzione, del guadagno, dell’investimento economico. L’uomo è una macchina da consumo.

Ci sono però anche i timidi tentativi di chi si vuole divincolare dai tentacoli che ci tengono legati alla visione miope di una vita così concepita. Esiste anche chi non spudoratamente, ma onestamente, ostenta, addirittura grida, per disperazione, la propria inadeguatezza, la propria indigenza. Rivendicare i propri diritti è un diritto, forse inascoltato, ma almeno manifestato.

Vivere dignitosamente, decorosamente e nella decenza è diritto di ciascuno, anzi dovrebbe essere lo Stato a preoccuparsi di ogni suo membro al fine di garantirgli il diritto alla salute, alla cura, all’istruzione, alla casa e così via. Conosciamo bene questa lamentata, denunciata e documentata assenza e latitanza. Ci sono soldi per tante spese statali inutili, d’apparato: da un lato si fabbricano e commercializzano armi, dall’altro si acquistano e pagano, con cifre abnormi, i famigerati F-35 per un totale di 14 miliardi di euro. Però mancano i fondi per l’assistenza primaria di tanti anziani, poveri e meno abbienti. Si calcola che solo per la carta igienica e la carta per uso ufficio, a Montecitorio, si spendono circa seicentomila euro annui per un ammontare totale di gestione annuale fino ad un miliardo.

Ci sono, invece, oltre quattro milioni di cittadini italiani che sono costretti, loro malgrado, a rinunciare alle visite specialistiche o accertamenti sanitari per motivi economici. Sono le contraddizioni, le sabbie mobili, le nebbie in cui lo Stato “costringe” una cospicua parte dei suoi cittadini a vivere o sopravvivere. Come in tutto il resto del mondo anche nella nostra patria si vivono le contraddizioni dei pochi che hanno molto e dei molti che hanno poco.

Non possiamo fermarci alla fredda e sterile, anche se veritiera, analisi! Occorre una risposta. Perché coloro che sono fuori dai circuiti del benessere, o finanche dalla soglia minima per la sopravvivenza, non hanno che farsene delle analisi, dei sentimentalismi, delle elemosine. Non deve passare per elemosina ciò che è un diritto. Una società dove c’è chi ha un panificio a disposizione a dispetto di chi deve accontentarsi di poche briciole, se le riesce a racimolare, è matrigna, ipocrita e poco attenta alle debolezze e fragilità di chi fa fatica. Occorre rimettere al centro la dignità della persona e non l’economia, il profitto, il tornaconto, il reddito che anche continuando ad esistere, dovrebbero consentire a tutti di riceverne benefici.

Più solidarietà e meno individualismo, più attenzione all’altrui presenza che indifferenza, più aperture e possibilità che chiusure e raccomandazioni. Più attenzione alle povertà, alle difficoltà e meno interessi personali e di parte. Meno demagogia e più gratuità e disponibilità. La società, la chiesa stessa, non possono andare avanti come locomotive se poi si accorgono che gli scompartimenti sono vuoti perché molti passeggeri sono rimasti a terra, esclusi, non hanno fatto in tempo a salire e usufruire della corsa. Il coraggio d’avere meno può essere la profezia per una società diversa, più giusta, più equa e, soprattutto, più attenta a coloro che altrimenti verrebbero abbandonati, lasciati ai margini o dimenticati perché sorpassati da coloro che corrono di più e più comodamente.

La dignità del lavoro che manca è un altro diritto dimenticato e stracciato. Occasioni lavorative ed impiegatizie dovrebbero essere il costante impegno per risollevare le sorti e per offrire opportunità. Rimane sempre vero il detto che alcuni attribuiscono ai cinesi: “A chi ti chiede il pesce, insegnagli a pescare”. Ma sembra proprio che i fiumi sono in secca, i pesci mancano, gli ami non si vendono più e i maestri si sono rarefatti. “E io pago…” continuano a ripetere nella loro estenuante litania coloro che non hanno oro da far luccicare.☺

 

 

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