pace in terra  di Silvio Malic
3 Settembre 2013 Share

pace in terra di Silvio Malic

 

“Questo è dunque il problema che vi presentiamo, netto, terribile ed inevitabile:

dobbiamo porre fine alla razza umana oppure l’umanità dovrà rinunciare alla guerra?”

(A. Einstein, Testamento spirituale, 1955).

Chi, senza merito, ha vissuto in simbiosi temporale la promulgazione della Pacem in terris e le proprie stagioni della gioventù e della verde maturità porta con sé l’emozione di quella stagione: finalmente un’enciclica che parlava di pace e dava pace a chi la leggeva, un manifesto di speranza per l’umanità intera. L’enciclica segnava anche un’apertura della Chiesa sul mondo intero: si afferma esplicitamente che nel mondo vi sono uomini di buona volontà, cristiani e non, credenti e atei capaci di ascoltare la voce della chiesa; di una chiesa che non dice innanzitutto “convertitevi alla mia fede” ma dice invece “lavoriamo insieme per un traguardo che tutti voi potete condividere”.

Questo approccio sosterrà la teologia della Gaudium et Spes del Vaticano II: la chiesa offre la sua collaborazione e la sua fraternità per un cammino comune senza esigere conversione o vie di Damasco. Il testo biblico che fa da chiave di volta dell’enciclica è quello di Romani 2: ogni essere umano ha inscritto nel suo cuore la chiamata di Dio ed è capace di ascoltarla; questa esperienza morale originaria è riflesso della sapienza di Dio. È questo l’ottimismo che risplende, oggi tanto severamente criticato: di fronte alla realtà odierna, anche tragica, nella famiglia umana si riscontra un’aspirazione alla pace, alla giustizia, alla libertà, alla verità e la chiesa è solidale con chiunque senta l’urgenza di rispondere a tali aspirazioni. Se lo Spirito riempie l’universo  “il popolo di Dio, mosso dalla fede … cerca di discernere in eventi (in eventibus), esigenze (exigentiis), aspirazioni (optatis) cui prende parte insieme agli uomini del nostro tempo, quali sono i veri segni della presenza e del disegno di Dio” (GS 11). Il papa riconosce un vero progresso della coscienza morale del genere umano in quanto più acutamente sensibile ai valori della propria dignità umana. “Io benedico tutti i popoli e non sottraggo fiducia a nessuno” scriverà il papa nel suo diario il 1° maggio successivo, in seguito a critiche malevoli dai propri ambienti.

Lo sguardo fugace ad alcuni contenuti specifici dell’enciclica, nei precedenti articoli, per privilegiare ciò che ha rappresentato come evento profetico ed ancora l’attenzione a quanto ebbe a smuovere nella vita della chiesa e del mondo di allora, ci porta a interrogarci, oggi a conclusione, nel cinquantesimo in corso, circa le sfide ancora inadempiute che l’enciclica rimette alla nostra responsabilità storica. Ne sottolineo quattro che sono per noi ancora pane duro.

1. Innanzitutto quella del governo della mondializzazione. Una delle innovazioni fondamentali del documento è la codificazione del genere umano come soggetto politico in nuce, avente come fine il “bene comune universale”. Scarta esplicitamente il modello egemonico-imperiale di globalizzazione, si oppone a quella forma di dominazione economica che, sotto la maschera di una democrazia formale, strozza col debito estero e con la rapina delle materie prime le nazioni più deboli. Vi è una particolare enfasi nella loro difesa evidenziando “il diritto al rispetto della loro libertà in campo politico, alla efficace custodia di quella neutralità nelle contese tra gli stati che loro spetta, alla tutela del loro sviluppo economico” (n.42). Riconosce con favore la formazione di strutture di interdipendenza economica e politica, constata l’insufficienza dell’ organizzazione attuale dei poteri, precisando che “i poteri pubblici aventi autorità sul piano mondiale… vanno istituiti di comune accordo e non imposti con la forza … Le comunità politiche, anche se fra esse corrano differenze accentuate… sono assai sensibili quanto a parità giuridica e alla loro dignità morale” (n.47).

2. In questo contesto affronta il trattamento delle minoranze etniche e del rischio dell’etnocentrismo come autodifesa dall’ omologazione ad un modello unico. Propugna un modello solidale di circolazione della vita nelle sue varie espressioni fra le differenti tradizioni o civiltà, in modo da scongiurare il pericolo di creare zone di attrito che arrecano danni notevoli e determinano ristagni ed involuzioni.

3. La sfida nucleare e l’ideologia della guerra che sorregge la corsa agli armamenti. L’enciclica elabora la convinzione che “nella nostra epoca, che si vanta di essere l’era atomica (quae de vi atomica gloriatur), è alieno dalla ragione considerare ancora la guerra come mezzo idoneo (alienum est a ratione bellum iam aptum esse) per restaurare i diritti violati (ad violata iura sarcienda)”. La traduzione ufficiale italiana recita: “Riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia”. A tutt’oggi nessuno ci restituisce una traduzione ufficiale (Vaticano o CEI) fedele al pensiero del papa: scompare l’ironia velata su un’epoca che si gloria della potenza nucleare e che continua a ritenerla “strumento adatto” per “restaurare i diritti violati”. Questo ragionamento, infatti, ha costituito in tutti i trattati di morale la “giusta causa” per una “guerra giusta”. Il testo originale spazza via la legittimità alla grande maggioranza delle guerre riconosciute legittime dalla tradizione morale cattolica: la convivenza tra Bomba e Ragione non è più possibile.

4. La cultura della pace e della nonviolenza. Si tratta di “smontare gli spiriti, adoperandosi sinceramente a dissolvere in essi la psicosi bellica…, al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti si sostituisca il principio che la vera pace si può ostruire solo nella vicendevole fiducia”. Ci unisce a tanti la convinzione che il mondo attende che le strutture della globalizzazione, comprese quelle formative e della comunicazione non riproducano le ineguaglianze e le pretese egemoniche di alcuni a danno dei più. Fare delle nostre parole “segni di pace” mentre sono state agenti di propaganda e di disinformazione al servizio di interessi ristretti, di pregiudizi nazionali, etnici, razziali e religiosi, di avidità materiale e di false ideologie di ogni tipo. La guerra si fa anche coi media come si fa con le armi e le economie. Non abbiamo vigilato abbastanza per evitare di cedere a codici linguistici forgiati nel dizionario della cultura del nemico, della pretesa necessità della guerra o dello scontro di civiltà.

Non è mai troppo tardi per intraprendere, ma su nuove vie e con codici culturali nuovi! ☺

 

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