paradossi delle urna    di Famiano Crucianelli
4 Luglio 2013 Share

paradossi delle urna di Famiano Crucianelli

 

Dai risultati delle ultime elezioni, almeno in superficie, ci vengono diversi  paradossi. È paradossale che il Pd e il centrosinistra stravincano le elezioni. Lo è, perché solo pochi mesi or sono Bersani non ha vinto le elezioni, ma soprattutto, perché mai come in questa fase il Partito democratico si presenta come un corpo informe, come un’insieme di correnti e comitati elettorali, senza un’anima e senza un progetto, attraversato da una guerra intestina che non sarà né breve, né indolore. Lo è, perché il gruppo dirigente del Partito democratico, dopo aver gestito malamente tutti i passaggi istituzionali post-elettorali ha finito per stringere un patto con lo stesso Berlusconi. Il governo delle larghe intese non era un esito obbligato e già in queste prime settimane evidenzia tutte le sue debolezze, contraddizioni e veleni. La logica formale, e non solo i sondaggi, lasciava prevedere un risultato mediocre e invece le elezioni sono finite 17 a 0 per il Partito democratico. Un secondo paradosso è rappresentato dalla parabola del movimento di Beppe Grillo. Le ultime amministrative per il movimento cinque stelle suonano come una campana, non un campanello d’allarme.

La politica dei partiti tradizionali ha dato il peggio di sé in questi mesi dopo le elezioni politiche, Grillo ha continuato ad urlare a tutti i partiti “siete finiti …arrendetevi” e in molti hanno continuato a ipotizzare magnifiche sorti per i grillini, e invece il verdetto delle amministrative è stato un calice molto amaro per Grillo e Casaleggio. Si dirà: lo spettacolo dei gruppi parlamentari del movimento cinque stelle e di Grillo medesimo in questi mesi è stato molto discutibile, hanno fondamentalmente litigato su scontrini, diaria, espulsioni e altre minutaglie. Tutto vero, ma non si giustifica così  una batosta elettorale così clamorosa. È paradossale lo stesso risultato della destra che dopo aver sostanzialmente, solo pochi mesi fa, pareggiato lo scontro elettorale con il centrosinistra e dopo che i sondaggi davano un’irresistibile ascesa di Berlusconi e della Pdl, contro ogni previsione in queste amministrative ha subito una durissima sconfitta. Non meno problematico è il faticoso risultato del partito di Vendola. Sinistra e libertà avrebbe dovuto giovarsi alla grande dalla difficile posizione del Pd, le larghe intese avrebbero dovuto liberare a sinistra delle vere e proprie praterie, così non è stato. Vi è una piccola crescita, ma nulla di clamoroso. L’unico risultato ampiamente prevedibile era quello rovinoso della Lega; è evidente che senza il contesto delle elezioni politiche nazionali Maroni avrebbe perso anche la stessa sfida per la presidenza della giunta regionale Lombarda. I leghisti appaiono senza una leadership, moralmente decaduti, politicamente sbandati, servitori di Berlusconi e divorati da lotte intestine. In realtà tutti questi paradossi sono più apparenti che reali e se andiamo ad approfondire, le cose hanno una logica interna molto meno oscura.

Che  il risultato vittorioso del Partito democratico sia stato agevolato dal forte astensionismo è cosa sicura; bisogna però chiedersi, perché questa volta l’ astensionismo ha giocato a favore del Pd. A me paiono due i fattori fondamentali che hanno aiutato il Pd in questo passaggio elettorale: in primo luogo l’esistenza anche se residuale di una presenza nel territorio, un’ organizzazione leggera, fragile, con una classe dirigente occasionale, talvolta ambigua, forte soprattutto per la totale evanescenza di altri partiti e soggetti politici nel territorio. Verrebbe da dire: beati quelli che hanno un occhio solo in una valle di ciechi. Il pd sembra essere sempre sull’orlo di una crisi di nervi, dilaniato in mille particolarismi e lotte interne, certo non un partito all’altezza di questi nostri tempi così duri e pur tuttavia un partito che si presenta nel territorio come l’unica cosa che il convento passa. La seconda ragione di questo brillante risultato elettorale è più squisitamente politico. La scelta del gruppo dirigente pd di fare il governo con Berlusconi, al di là delle opinioni di molti, è apparsa come l’unica possibile e soprattutto ha alimentato l’idea che qualcosa nella durissima crisi economica e sociale si sarebbe fatto.

Nella sostanza il Pd si è presentato come un forza di buon senso e fattiva, da qui una rendita elettorale. Attenzione però, perché questa rendita potrebbe rapidamente trasformarsi in una mela avvelenata, qualora non vi fossero seri risultati e qualora, come è probabile, la crisi dovesse continuare a mordere la vita concreta della gente. Allora tutto si potrebbe convertire nel suo contrario. Il risultato del movimento cinque stelle potrebbe essere assunto a paradigma della straordinaria contraddittorietà di questa nostra fase politica. Grillo ha vinto le elezioni sull’onda di una feroce contestazione del sistema politico e dei partiti, ha fatto dell’antipolitica la sua bandiera. Ora la politica si è presa la sua vendetta. La strategia di Grillo poteva avere due sbocchi: o divenire esplicitamente sovversiva nel senso più radicale del termine o approdare su un terreno politico, ovvero porsi il problema dei rapporti reali di forza nel paese e nelle istituzioni e  del che fare qui ed ora.  Grillo non ha fatto nessuna delle due scelte, è rimasto in mezzo al guado, né rivoluzionario, né riformista, ma solo un parolaio. Della destra vi è poco da dire, Berlusconi ha fatto il miracolo di portare a votare alle politiche quanti in questo paese sono illegalmente e miticamente legati a lui. Questi miracoli non si ripetono facilmente e soprattutto quando le elezioni riguardano comuni, regioni e territori, dove la destra ha perso ogni radice organizzata e dove non ha uno straccio di classe dirigente.

Sin qui l’analisi, resta aperto il decisivo problema del “che fare” sul quale torneremo a ragionare.     ☺

famiano.crucianelli@tiscali.it

 

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