Per sentirci vivi
14 Gennaio 2020
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Per sentirci vivi

Sono giorni di piazze piene: le sardine, pur con i molti dubbi sulla reale consistenza e capacità politica, stanno riabituando molti italiani ad uscire di casa per riportare il corpo nelle strade, là dove la mia generazione considerava l’essere presenti “quasi un obbligo, quasi un dovere”, per dirla con Guccini.

Sono giorni di proteste, anche per il Molise: sanità, soprattutto, e poi trasporti e, come sempre, lavoro. Tuttavia costruire quell’abitudine a partecipare in prima persona alla difesa dei diritti e al rifiuto delle scelte non condivise, che ad altre latitudini sembra naturale come respirare, resta ancora una strada impervia.

Giovedì 12 dicembre a Termoli la Rete della Sinistra ha organizzato un’assemblea pubblica sulla sanità, per informare i cittadini sul contenuto della bozza di Programma Operativo, documento di non facile lettura che faticosamente si è riusciti ad avere e che si è cercato di sintetizzare, per fornire anche qualche controproposta concreta, come eliminare lo squilibrio vergognoso tra pubblico e privato, garantire mezzi e personale adeguati, restituire agli ospedali di Termoli e Isernia il buon livello di prestazioni garantito in passato, evitare di chiudere quello di Agnone e ridurre Larino e Venafro a poliambulatori… Attuare insomma in Molise l’articolo 32 della Costituzione, in nome della sanità pubblica istituita nel 1978, che non chiamava azienda gli ospedali e non considerava merce il bene comune salute.

Si voleva inoltre denunciare la prima indecenza relativa alla sanità in Molise, prima ancora della gestione fallimentare della politica e dello strapotere dei privati: il fatto che il Programma Operativo sia tenuto rigorosamente nascosto ai cittadini, la cui vita, letteralmente, dipende da esso. Constatare però che solo poche persone (rispetto alla platea interessata) abbiano ritenuto opportuno partecipare all’incontro rende davvero arduo il cammino di chi continua a pensare che senza informazione e partecipazione non esista democrazia: pochi i cittadini, pochi i comitati, assenti (tranne i rappresentanti dei Cinque Stelle) i rappresentanti istituzionali.

Evidente poi la storica criticità dell’attività civica dalle nostre parti: individualismo, difficoltà a coordinare attività e proposte, incapacità di promuovere azioni collettivamente condivise. La manifestazione del 16 dicembre a Roma, per fortuna riuscita, che ha portato circa 11 autobus a Montecitorio, non è stata preceduta da un accordo che mettesse insieme tutti i comitati. È ovviamente bene che si sia andati comunque a manifestare, ma farlo tutti insieme sarebbe stato normale in un’altra regione.

Così come colpisce, guardando in questi giorni i servizi del Tg3 locale, l’assoluta indifferenza dei cittadini, che rifiutavano persino di rispondere all’intervistatrice, davanti alla manifestazione dei dipendenti del trasporto locale, scesi in piazza per la terza volta in un breve lasso di tempo. Si tratta di un argomento che dovrebbe toccare tutti, in una regione dall’orografia difficile, con città non grandissime ma sviluppate in quartieri distanti uno dall’altro: eppure sembrava che a nessuno interessasse il perché quei lavoratori e quei sindacati protestavano.

Appare inevitabile concludere che nemmeno ciò che coinvolge aspetti fondamentali e quotidiani della vita riesce a scalfire l’indifferenza e l’abitudine alla rassegnazione degli abitanti di questa terra molisana, e a ricompattare una popolazione abituata a ragionare per localismi e interessi territoriali, a pensare che tanto agitarsi non serve a nulla, che tanto niente cambierà.

Eppure noi attivisti constatiamo ogni giorno come sia positivamente contagioso quel senso di condivisione, di sollievo quasi, che lo stare in piazza e in strada insieme ad altri suscita sempre: lo vediamo con i raduni delle sardine, con la marcia dei 600 sindaci a Milano, con la catena musicale per Pinelli. L’abbiamo visto nei venerdì per il futuro, nelle marce contro i fossili, in tutte le assemblee per i beni comuni. Uscire di casa e ritrovarsi in un gruppo fa bene all’umore, al corpo e all’anima. Appanna le paure, consola delle delusioni, rinfocola la speranza, fortifica le sane arrabbiature e ridà voce alle parole che si stavano spegnendo. In una parola, aiuta a non morire nel silenzio.

E se non è facile vedere risultati immediati, se anche ciò che sembrava nostro per sempre ci viene poi sottratto (e in questo siamo maestri, basti pensare ai diritti del lavoro, alla legge 104, al referendum sull’acqua pubblica!), resto testardamente convinta che valga comunque la pena di partecipare, di essere in strada e in piazza, e sento che chi sceglie di stare a casa perde qualcosa di molto importante: il diritto di rivendicare conquiste, sentirle proprie, di poter ricordare esperienze collettive e non solo momenti individualistici, di sentirsi parte di un popolo in cammino.

La sensazione di vivere e non semplicemente lasciarsi esistere.☺

 

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