Politicamente corretti
8 Settembre 2022
laFonteTV (3191 articles)
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Politicamente corretti

“La lingua che parliamo dice molto di noi e del modo in cui stiamo al mondo. È uno strumento di formazione non solo individuale e collettiva, ma anche, in senso ampio, civile” (Il sentimento della lingua). Non soltanto assertive, ma potenti e libere, le parole del professor Luca Serianni, recentemente scomparso, rappresentano per chi legge un monito ed un invito a sentirsi cittadino di un Paese. E prosegue: “Diffondere la padronanza della lingua e della sua storia è un modo per rafforzare il senso di appartenenza a una comunità”.

Gli insegnamenti del prof. Serianni mi sono tornati alla mente osservando il momento che stiamo vivendo. L’estate che ormai sta volgendo al termine, almeno dal punto di vista astronomico, ci ha offerto – e continua a farlo in queste ultime settimane – lo spettacolo di un uso forsennato e spesso maldestro di vocaboli ed espressioni linguistiche. È la campagna elettorale, che, a dire il vero, non è mai stata interrotta dalla legislatura precedente e che ha animato ed anima le nostre giornate e catalizzato la nostra attenzione. Nel rispetto dei valori della democrazia, le elezioni rappresentano una tappa significativa, il momento in cui, nella libertà individuale, ogni italiano/a opera una scelta importante, manifesta il proprio pensiero. Nel contesto della competizione elettorale il confronto tra posizioni diverse si esplica soprattutto attraverso il linguaggio, sia esso verbale o iconico, la cui funzione essenziale, come ricordava Luca Serianni, va riconosciuta e custodita.

Se volgiamo lo sguardo al di fuori della nostra nazione possiamo notare come, soprattutto nel mondo anglosassone, sia in vigore la regola del “corretto politicamente” (politically correct), il più delle volte osservata da contendenti leali ed autenticamente democratici. Recentemente, in questi Paesi, alla locuzione politically correct è stato affiancato, nell’uso, il termine woke [pronuncia: uok]. Il vocabolo appartiene al cosiddetto slang [pronuncia: sleng] (vale a dire una lingua molto colloquiale e informale) dell’ inglese parlato negli U.S.A.. Originatosi negli ultimi decenni all’interno delle comunità afroamericane, esso è stato diffusamente utilizzato nella campagna Black Lives Matter (“le vite dei neri contano”) conseguente ai noti e numerosi episodi di violenza e maltrattamenti subìti dalle persone di colore. Il movimento dei “Neri” rivendica – a volte in maniera troppo immediata – dignità e rispetto per i cittadini afroamericani, specie da parte delle forze dell’ordine, e simboleggia un ‘risveglio’ della comunità di colore, un rilancio della lotta per i diritti civili iniziata negli anni ’60 del secolo scorso e di cui Martin Luther King è stato uno dei protagonisti. Sul piano linguistico, woke è spesso posto in relazione oppure in sostituzione di awake [pronuncia: eueik] (verbo “svegliarsi”) che lo richiama non solo per assonanza, ma anche dal punto di vista semantico, se si prende in considerazione proprio la ripresa delle rivendicazioni dei diritti degli afroamericani.

Il significato più accreditato del termine risulta essere oggi quello di “ben informato, aggiornato” in particolare per quanto attiene ai temi sociali, alla discriminazione razziale, alle diverse forme di ingiustizia. Purtroppo però il vocabolo si è prestato ad un uso diversificato che ne ha stravolto il valore. Ad opera di gruppi di opinione conservatori woke è diventato un termine negativo, usato per mettere in ridicolo i movimenti progressisti sensibili ai problemi delle minoranze e ai diritti civili; woke indica, oggi, colui o colei che pervicacemente difende le proprie opinioni rasentando l’ intransigenza o il fanatismo ed esprime giudizi drastici verso chi non condivide la stessa posizione. Già nel 2019 l’ex presidente Barak Obama si rivolgeva ai giovani e li metteva in guardia circa il loro atteggiamento spesso “giudi- cante verso le altre persone”, anche se nel tentativo di rappresentare il cambiamento. Non è questa la strada giusta per chiedere il rispetto dei diritti, secondo Obama, il quale aggiungeva: “Se tutto quello che fai è lanciare pietre, probabilmente non vai molto lontano”.

Parole come pietre, appunto, ed il loro uso va curato. Il clima ‘elettorale’ del nostro Paese non appare immune da atteggiamenti simili. “L’italiano è la lingua in cui viviamo ogni giorno, ogni momento. Al punto che non ci facciamo più caso. Al punto che la diamo per scontata. E questo fa sì che spesso la usiamo senza nessuna consapevolezza … Ci esprimiamo, se così si può dire, passivamente: in maniera troppe volte trascurata, prevedibile, approssimativa”: così il linguista Giuseppe Antonelli (La lingua in cui viviamo). Una esortazione che dovremmo tenere a mente!☺

 

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