profitto e sentimento
20 Febbraio 2010 Share

profitto e sentimento

“Tutta l’economia e la finanza, non solo alcuni loro segmenti, devono, in quanto strumenti, essere utilizzati in modo etico così da creare le condizioni adeguate per lo sviluppo dell’uomo e dei popoli”. “Il Capitale si fissa laddove crea profitto”.

 Questi due pensieri, entrambi rispettabili, sono stati espressi, a distanza di centocinquant’anni l’uno dall’altro da persone altamente rappresentative di due culture diametralmente opposte. Essi sono in netta antitesi: chi ha ragione?  Economisti del secolo scorso, per giustificare la bontà del “libero mercato” senza regole, facevano l’esempio di un’isola sperduta del pacifico dove lupi e capre, vivendo in modo incontrollato dall’uomo, si autoregolavano e riuscivano a sopravvivere gli uni agli altri in base alla regola prima del libero mercato, quella della domanda e dell’offerta. Quando la popolazione delle capre aumentava si creava una maggiore disponibilità di cibo per i lupi, che in tal modo proliferavano a dismisura; al contrario una elevata popolazione di lupi con scarsità di capre faceva diminuire la popolazione dei lupi, con un conseguente aumento del numero delle capre. Tutto ciò per imporre la legge del libero mercato senza regole da parte dei governi. Illustri animalisti andarono a controllare questa fantomatica isola, naturalmente non era vero niente. In un’isola con scogliere ripide i lupi morirebbero di fame e al contrario, in una con immense praterie si estinguerebbero le capre.

L’economia e la finanza, in quanto figlie del Capitale, continueranno a passare sul cadavere di chiunque pur di creare profitto, inventandosi guerre, guerreggiate e non, per raggiungere la ragione sociale della loro stessa esistenza. Tutte le guerre, dalla notte dei tempi ai giorni nostri, hanno avuto come movente motivi economici, quando non religiosi. “Esportare la democrazia” a popoli che neanche conoscono il significato di questa parola è solo la trovata mediatica di un carnefice per giustificare una carneficina ad unico scopo di lucro. Pensare che i lupi possano risparmiare le capre perché si dispiacciono della loro estinzione è come pensare che un capitalista sia disposto a perdere i suoi soldi pur di aiutare operai che hanno bisogno di lavoro; oppure che tutti i tesori del vaticano un giorno possano essere barattati con la fine della fame nel mondo.

“Il Capitale si fissa laddove crea profitto”, questo non è il semplice pensiero di un barbone tedesco, e neanche la regola di una delle tante società industriali, bensì una legge, ampiamente dimostrata, che governa il contemporaneo mondo capitalistico. Pensare all’etica nel mondo capitalista dell’economia e della finanza è utopia allo stato puro. L’esempio ultimo, ma non ultimo, è stato lo scampato tracollo finanziario. Banche e società finanziarie hanno venduto, consapevolmente, a milioni di “risparmiatori”, oltre che a loro stesse, titoli carta-straccia di società indebitate all’inverosimile, spacciandoli per buoni investimenti. I governi di tutto il mondo sono dovuti intervenire buttando nel circuito creditizio migliaia di miliardi di euro pubblici per evitarne il collasso. Le conseguenze di cotanta “etica” le pagano naturalmente i ceti deboli e senza capirne il perché. Ci fosse stata una pestilenza o una carestia planetaria avremmo, forse, potuto farcene una ragione! L’etica è degli umani, dei rapporti tra persone.  L’economia, la finanza e il Capitalismo in generale non hanno etica, hanno “l’utile netto” come unico obiettivo. Si continuano a riempire libri, sale convegni e pulpiti di belle parole ma nessuno dei parolai ha il coraggio di ammettere pubblicamente che nulla cambierà: almeno fino a quando l’economia e la finanza comanderanno la politica, cioè governeranno il mondo; i predicatori di fede, giustizia e carità continueranno a razzolare peggio dei loro criticati, ammesso che ciò accada; il denaro sarà l’unica e insostituibile merce di scambio dell’ordine (o disordine) mondiale. La fede, così come il Capitale, per meglio proliferare hanno bisogno di povertà, disperazione ed ingiustizia. Non si conoscono, in duemila anni di storia, atti concreti per il raggiungimento del bene comune che non siano l’elemosina, l’obolo da versare per i poveri.

C’è un unico piccolo grande scoglio che il denaro non può comprare: il sentimento. Si possono comprare i servilismi, le finte attenzioni, il lavoro legale e illegale di milioni di uomini e donne. È possibile, con denaro e cannonate, conquistare il mondo, ma non i sentimenti delle persone. Il sentimento è l’irrazionale ultimo baluardo a difesa delle persone dalla razionalità esasperata che comanda il Capitale, dunque il mondo.☺

terraecolle@gmail.com

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