29 Aprile 2017
La Fonte (351 articles)
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Pugni nello stomaco

Scendono fiocchi serrati, silenziosi e imbiancano tutto, cristallizzano l’intorno, danno il comando al cuore di tuffarsi nel presente fra le teorie del ti penso, se tu fossi qui con il tuo sorriso triste, potrei carezzarti e ricomporre ad una specie di felicità il tuo viso, perché questo la neve fa.
Ci raccoglie in attimi di leggera beatitudine, smemorati e ubriachi per tanto silenzio bianco e tanta assoluta pace e libertà di osservare: i passeri che vanno veloci e felici al becchime che tu hai loro dato e sei grata, le case silenziose ed ovattate con luce accesa che ne esalta la cornice, gli alberi che si comportano da alberi con il loro carico bianco, nuda forma innalzata ad un cielo grigio opaco fermo nella sua esistenza di pace.
La neve […] copre la sporcizia, il cemento, le brutture, quello che confonde la vista. Trasforma la città in uno spazio magico, che aiuta a dimenticare gli orrori di un presente crudele. In un certo senso la neve ci dà la possibilità di sospendere la realtà.
E suonano tutti i campanelli della memoria e dell’infanzia, di quando la neve era tanta. Tanta neve nei nostri ricordi d’infanzia. Nella mia memoria, forse anche in quella di molti di voi, quando ero bambina nevicava molto, molto più di oggi.
Neve bella,
fatta a stella,
bianca neve,
lieve lieve
vienmi in mano,
piano piano…
L’inverno era tutto bianco, nevicava sulla neve, erano cumuli, montagne.
Palle di neve, pupazzi di neve, sdrucciolate su mucchi di neve, insomma la recita della felicità nella neve.
E poi, soprattutto, la percezione insolita del solito. La neve trasforma le cose. Il cambiamento di scenario e abitudini introduce una nota diversa, infantile, nella nostra vita quotidiana.
Dunque la neve è solo lei che si impone come un filtro sulle cose reali: la neve è un segno che muta la lettura delle cose, una maschera sulla realtà come quella artificiale spruzzata sui rametti e le palline dell’albero di Natale, un segno connotativo, che sollecita l’estraniamento
Giù dal cielo grigio grigio
zitta zitta
lieve lieve
lenta lenta
bianca bianca
sulla terra vien la neve;
Arrivano come pugni allo stomaco le notizie (agli occhi, alle orecchie oramai sopite dalla recita familiare bambina) di oggi: terremoto sui terremotati quasi assiderati dalla neve. Amatrice, Accumuli, Turrita e tanti altri paesini e zone più vaste, prive di luce, di acqua, di riscaldamento. Le persone, al telegiornale si fanno vedere con gli occhi smarriti di chi ha subìto una perdita irreparabile (per sé non c’è alcuna speranza, le mucche già sono state vendute se non sono morte, la casa è lesionata, se non distrutta, i poveri beni personali dispersi. Tutto è finito). I ballerini della politica sono passati a suo tempo a promettere casette di legno, proprio quelle da fiaba che avrebbero dovuto svettare già a Natale, nel brillio di audaci riprese di qualche canto natalizio per non morire disperati perché mille a mille disperatamente non si pensasse che viviamo in un paese incivile (non incivile nella solidarietà ma nella serietà e nell’agire politico) – abbiamo dimenticato la faccia seria di Renzi che prometteva?- e non solo, senza burocrazie e senza corruzione; almeno questa volta ricostruire subito senza se e senza ma!
mille bianche farfalline
fanno il manto
alle colline,
mille candide farfalle
fanno ai campi
un bianco scialle.
Mille fiocchi immacolati
danno ai monti,
ai boschi, ai prati,
alle strade,
ai tetti, al suolo
un bellissimo lenzuolo.
Se poi vogliamo in questa frozen-civiltà affondare il coltello fino in fondo basta aprire internet (se ci riesce perché la neve a volte ci priva anche di quello nelle futuribilissime città) basta andare con gli occhi e le orecchie alle notizie di Belgrado. La tormentata città che ha sofferto torture e inciviltà nella divisione Iugoslava, tiene fermi quasi diecimila profughi a meno 15 gradi nella bianca e gelida neve del 2016 -2017.
Ieri una gentile signora molisana mi rispondeva in Fb che l’orrore che provavamo io ed altri a queste notizie era errato, dovevamo pensare prima ai terremotai italiani sotto la neve e poi forse ai migranti. Le ho risposto “la mia patria è il mondo” ma non so se ha compreso; o peggio ha compreso ma si riteneva sdegnata della risposta.
Perché c’è sempre qualcuno che viene per primo nella lista della dignità come in quella delle inciviltà. Il terrore del diverso, anche sotto il mantello bianco della neve non diminuisce, anzi accentua le diversità e le differenze.
Secondo l’Unhcr, l’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati, sono circa 7.000 i profughi in Serbia ma in realtà potrebbero essere di più. Non tutti dormono in strutture ufficiali, molti dormono in edifici abbandonati o persino nei boschi con temperature che in queste notti sfiorano i meno venti gradi. Nell’ultima settimana i casi di ipotermia si sono moltiplicati e oltre una decina di migranti sono morti assiderati. Il governo serbo ha detto che nell’ultima settimana ha convinto circa 400 persone ad abbandonare i campi informali per trasferirsi in quelli ufficiali, ma nemmeno lì le condizioni sembrano essere adeguate: Lydia Gall, una ricercatrice della ONG Human Rights Watch, a inizio gennaio ha detto che nei campi governativi non venivano forniti oggetti essenziali come giacche per ripararsi dal freddo.
Fino a pochi giorni fa la situazione era piuttosto grave in alcuni ex capannoni industriali e depositi ferroviari di Belgrado, dove sono sorti degli accampamenti informali in cui le autorità serbe si limitano a prestare limitata assistenza. In uno di questi accampamenti nella notte le temperature sono scese fino a -15°C.
Le foto circolate sul web sono del tutto simili, con quelle delle centinaia di ebrei che durante l’ultimo conflitto mondiale venivano spesso costretti dai soldati tedeschi sotto la neve a estenuanti passaggi o file per essere imbarcati su qualche convoglio ferroviario
Com’è com’è com’è
Che c’era posto pure per le favole
E un vetro che riluccica
Sembrava l’America
E chi l’ha vista mai
E zitta e zitta poi
La nevicata del ’56

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