punto pace molise  di Antonio De Lellis
30 Ottobre 2011 Share

punto pace molise di Antonio De Lellis

 

Dopo anni di frequentazioni all'ombra de la Fonte è nato il Punto Pace di Pax Christi Molise. La sede è proprio a Bonefro in quanto punto mediano tra Termoli e Campobasso, ma anche come luogo simbolo della resistenza umana molisana, ridestatasi all'indomani del terremoto e soprattutto dopo una ricostruzione piena di lati oscuri ed ingiustizie. In questo Molise dominato da logiche di potere, clientelismo, familismo, con il rischio di una economia criminale, si accende una piccola fiammella in più da tenere ben alimentata. È fecondo questo luogo! Ferita aperta di una marginalità geografica che sopravvive grazie alla laboriosità e sobrietà di umili sognatori e cittadini del mondo. Ma perché un punto pace? Forse perché le strade si sono incrociate proprio laddove c'è una comunanza di aspirazioni. Siamo per un'economia disarmata, per una giustizia sociale, per una pace giusta sognata da Dio come Regno non di questo mondo e nonostante tutto costruita già qui ed ora con il dialogo, la denunzia, la profezia, il coraggio, la preghiera, l'impegno, nuovi stili di vita, il lavoro, la nonviolenza.

Vogliamo però indignarci e sortirne insieme per costruire quelle relazioni umane, calde e sincere, che come ponti uniscono le nostre isole. In questa Italia incendiata da profonde ingiustizie sociali, svilita da governi e opposizioni ottuse nei loro privilegi, in cui tutto è possibile tanto a pagarne è il popolo, per fortuna, non più silente, si leva un'aspirazione antica e dimenticata da un avido benessere economico: la pace e la giustizia sociale. Essa è quello spazio collettivo in cui c'è vita per tutti e si alimenta nell'accoglienza come “bene comune” fondamentale per costruire una possibile convivenza. In fondo vogliamo solo essere riconosciuti per la nostra dignità, vivere del sudore del nostro lavoro e, a volte, fermarci per godere dell'acqua ancora di tutti, del sole come fonte di vita e di energia pulita, dell'aria non più inquinata, della natura che cerca anch'essa di vivere nonostante noi. Mai come in questo momento c'è bisogno di educare alla pace ed alla non violenza!

La peggiore delle violenze è però la povertà, la miseria in cui prosperano disperazione e fantasmi del passato come antisemitismo, negazionismo e razzismo. La violenza di piazza, che proprio in questi giorni si riaffaccia come un incubo del passato, è il risultato dello sradicamento culturale profondo che hanno subìto le ultime generazioni, ma anche risultato di un vuoto di azione e di prospettiva che non abbiamo saputo superare come generazione di educatori. La violenza di alcuni anarchici insurrezionalisti dei centri sociali o dei gruppi fascisti ha la stessa tristezza e la stessa impotenza dolorosa dei lutti. È infatti un lutto sociale! Fuggire per non essere coinvolti è stato davvero umiliante in quel 15 ottobre a Roma! Lo spazio costruito per sfogare democraticamente il proprio dissenso e la propria indignazione è stato frainteso da gruppi violenti organizzati, facile preda di chi vuole distruggere, manipolare e strumentalizzare il dissenso di sistema. Meno sociale, meno diritti, più violenza e più penale.

Costruire la pace significa allora mettere le radici del dialogo, dell'accoglienza, della formazione, del confronto, del dialogo, dell'ascolto e del dissenso intelligente. Come dimostrato dall'ultima esperienza pluriennale dei comitati referendari per l'acqua, nucleare e giustizia uguale per tutti, occorre molta formazione, tempo, radicamento territoriale ed intelligenza ecologica, politica e relazionale. Voler per forza costruire una manifestazione in poco tempo senza prima aver costruito relazioni orizzontali e coordinate, è stato un errore strategico. La rabbia sociale, causata da logiche di potere e di dominio, va incanalata nell'impegno costante, rifuggendo scorciatoie ed egoismi. Nel buio del postmodernismo, come dice Baumam, non c'è posto per facili entusiasmi perché il sistema ormai consolidato per pochi va convertito. Occorre scendere dal treno, girarlo, e risalire per una direzione diversa. Avremmo potuto avere solo un cambio di binario senza scendere dal treno, ma occorrevano casellanti (governanti) in grado di scambiare i binari per una nuova direzione condivisa. Abbiamo pensato a costruire “beni economici” senza pensare a costruire “beni comuni” e giustizia sociale. Chi ancora oggi attende umanità, cibo, acqua ed altri diritti fondamentali non può accedere al mercato né dare alcun contributo al benessere economico mondiale. Nel nostro egoismo abbiamo anche ridotto gli investimenti alla cooperazione internazionale e dirottato fiumi di denaro nelle spese militari che sono quelle più improduttive e violente. Abbiamo dimenticato che il risparmio di denaro è la prima leva dell'economia perché è fonte di investimenti.

Ci hanno detto che apparire è più importante dell'essere ed allora abbiamo ostentato ricchezza indebitandoci con le finanziarie e le banche. Proprio ora che nessuno è disposto a pagare la crisi economica sistemica è importante trovare una soluzione pacifica del conflitto sociale regolamentando ciò che era stato deregolamentato, accogliere personalmente e collettivamente nuovi stili di vita ed introdurre nuovi diritti ai beni comuni perché la pace è un cammino che non termina mai ed ogni generazione è chiamata a percorrerne un po'.☺

adelellis@virgilio.it

 

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