Qualcosa di diverso
2 Gennaio 2014 Share

Qualcosa di diverso

Sulla quarta di copertina del libro c’è una frase che recita “Non giudicare un libro dalla copertina”. Io, per fortuna, invece l’ho fatto e mi sono imbattuta in un piccolo gioiello narrativo che, a ragione, sta spopolando in libreria. Sarà che il celeste (e tutte le sue sfumature) è il mio colore preferito, sta di fatto che Wonder, di R. J. Palacio (Giunti, 2013), è veramente un delicato, garbato prodigio, come già il titolo dice da sé.

August Pullman, per tutti Auggie, è un ragazzino americano che vive nel quartiere di North River Heights, a New York: ha Daisy, un cane affettuoso e giocherellone, ha la Xbox, tutta la collezione dei film di Guerre Stellari, di cui è un fan accanito, ha una sorella più grande, Olivia (per tutti “Via”), un padre e una madre amorevoli e premurosi, ed infine una nonna di origini brasiliane che lo adora. Da poco ha compiuto l’età per iscriversi in prima media e presto entrerà nella prestigiosa Beecher Bep. È una ragazzino sveglio e sensibile, con un talento per le materie scientifiche fuori dal comune, ma è terrorizzato dal primo giorno di scuola. Perché? Semplice, perché lui a scuola non c’è mai andato, non ha frequentato le elementari come ogni bambino? Per “colpa” della Sindrome di Treacher-Collins, una malattia rara ed ereditaria che colpisce le fattezze di una persona lasciando inalterato tutto il resto. Nonostante fin dalla nascita abbia affrontato delicatissime e dolorosissime operazioni di ricostruzione facciale (i chirurghi, per dirne una, gli hanno tolto un pezzo di anca per ricostruirgli la mandibola), il suo viso è deforme, sfigurato. L’autrice ci accompagna, dunque, nella sofferenza di questo bambino (che i compagni di classe più “cattivi” chiameranno E.T.), nella faticosa presa di coscienza di scoprirsi un diverso, un “mostro”, quel mostro che gli altri vedono in lui. Eppure, proprio a partire da questo doloroso cammino di Auggie, attraverso le vicende narrate nel romanzo, incontriamo la speranza: per lui, quella di essere accettato e accettarsi, per noi, invece, quella di diventare migliori, liberi dalla prigionia della diffidenza, liberi dal pregiudizio che mette etichette a chi è “diverso”. Diversi, l’uno dall’altro, lo siamo tutti. È questo che, alla fine, comprendono August, Via, il suo ragazzo Justin, Summer, Jack e Miranda, i molteplici autori che raccontano la vicenda in un alternarsi sapiente, leggero, persino ironico di voci di diverse sfumature e colori. Scopriamo allora, attraverso i diversi punti di vista dei personaggi, che tutti abbiamo qualcosa di “diverso”, di “mostruoso” (per Jack è la sua povertà, per Miranda l’anaffettività dei genitori), e il talento dell’autrice sta nel far crescere questa consapevolezza, nei personaggi così come nei lettori, senza falso perbenismo, senza retorica, senza ipocrisia. Con leggerezza.

August è un bambino diverso dagli altri, che però affronta la vita con coraggio e ironia, in una società dove conta più l’apparenza che la sostanza, e che fa del bell’aspetto lo status symbol del vincente.

Ma August è anche un bambino uguale a tanti altri: “Per me, però, io sono solo io. Un ragazzo come tutti gli altri”.

Dove finisce la diversità? Dove comincia? Cos’è che ci fa sentire tutti uguali o tutti diversi? Pare che i buoni libri, come si dice dei buoni insegnanti, siano quelli che, più che fornire risposte, suscitano domande.

Buona lettura. Ai nostri studenti piacerà. .J

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