quale accompagnatore?
3 Settembre 2013 Share

quale accompagnatore?

 

A giorni la ripresa dell’anno lavorativo. La scuola, le classi, i singoli, le loro storie.

Un denominatore comune appiattisce la vita dei nostri allievi: il digitale. Quanto sia difficile intercettare i volti, stimolare il dialogo e l’ascolto in chi privilegia ormai dei cinque sensi solo quello visivo, e in più unicamente orientato in un’unica direzione, lo schermo appunto, può saperlo solo chi per duecento giorni all’anno, quasi quotidianamente, incontra gli adolescenti dai quattordici ai diciotto anni.

Cambia dunque necessariamente la percezione del proprio ruolo e la sfida diventa quella di porsi non al di sopra ma al fianco, come accompagnatore di percorsi di formazione, non più come detentore assoluto di sapere. Tornare, in pratica, ad essere quello i greci chiamavano mèntore, guida che tenta, in base alla propria esperienza di vita e di esercizio, di intuire i bisogni e gli orizzonti di chi decide di compiere insieme a lui un percorso, e durante il cammino, riconoscersi e confrontarsi per stabilire ogni tanto nell’itinerario, quasi significative pietre miliari, traguardi raggiunti ma anche errori compiuti.

Il mèntore di socratica memoria e chi gli si affiancava si sentivano legati, piacevolmente obbligati direi, da un atteggiamento di intesa profonda e da fiducia incondizionata. Ora intesa e fiducia sono riposte non in una persona, ma nella “rete”.

Come dunque imparare e praticare nuove forme di attenzione nell’era digitale? Come favorire forme significative e innovative di collaborazione? Come acquisire il senso di ciò che la rete estesa è e di ciò che essa può realizzare? E soprattutto, come fare per favorire l’interazione e la partecipazione significativa?

Sono interrogativi di non facile soluzione, che impegnano il mondo della scuola e i nuovi media, perché il problema, in classe, non risiede unicamente nella sostituzione della lezione frontale con le tecnologie informatiche, bensì nella trasformazione della dimensione stessa dell’apprendere: una nuova modalità, certamente più complessa e articolata che coinvolga alla pari tutti i soggetti, docente compreso. Al nativo digitale che si muove con estrema velocità tra le risorse di rete deve affiancarsi chi, pur talvolta inesperto della moderna tecnologia, conosce però le strategie per recuperare l’informazione desiderata, conservarla e all’occorrenza ritrovarla.  Venendo meno questa relazione significativa di mutuo soccorso, il nativo digitale rimane intrappolato in una sorta di ariostesco palazzo incantato, illuso prigioniero di una libertà illimitata, privo però della sicurezza che sola può essergli garantita dalla comunità reale, in questo caso quella della classe di appartenenza.

“Sulla comunità si può contare come su un vero amico”- ammonisce Zigmunt Bauman – “È più affidabile. Ma anche più vincolante. Ti controlla. La rete è libera”. Perché dà l’illusione che, senza muoversi da comode postazioni, si possa valicare la quotidianità del proprio piccolo mondo per stabilire o riallacciare contatti. A discapito delle emozioni, che giacciono latenti, sopite, mortificate. Lo riconoscono del resto gli stessi adolescenti: “Non c’è serata trascorsa con gli amici che si concluda senza scattare una foto da postare su Facebook” – dice V. – “La foto mi fornisce un’ identità, mi aiuta a capire chi sono, mi fa sentire inclusa nel mondo”. Ed F.: “Provo spesso una grande solitudine, eppure ho tanti amici su Facebook. Però ogni tanto vorrei sentire una pacca sulle spalle e il suono di una parola che mi incoraggi nei giorni no”.

 Alla solitudine dello schermo deve necessariamente affiancarsi il nuovo mèntore, per arginare la tendenza, sempre più dilagante tra i giovani, di abdicare al tentativo di stabilire contatti, di impegnarsi in un mutuo scambio di ricevere e dare fiducia.

Solo fino a due generazioni fa abbiamo sognato, inciampato, sbagliato, sempre ridimensionando il senso di onnipotenza che inevitabilmente ci travolgeva. Era possibile perché qualcuno era disposto a farsi carico della nostra esperienza e, anche se silenzioso, pur sempre al nostro fianco, nel bene o nel male. Oggi l’onnipotenza dilaga, ognuno ritiene di sapere tutto solo perché confermato dalla rete, al punto che anche la domanda più banale, quella magari rivolta per intercettare uno sguardo, riceve la seguente stereotipata risposta: “Puoi consultare Internet!”.

Ritengo una vera fortuna appartenere ad una delle due generazioni precedenti, così da potermi concedere di rievocare di tanto in tanto, forse anche idealizzando, i suggerimenti ricevuti dai tanti mèntore che sinora ho incontrato. Quello che apprezzo in ciascuno di loro è il non dimenticare mai che servono le parole pronunciate a dire i sentimenti, a fare la verità. ☺

 

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