quale cultura oggi?   di Franco novelli
28 Ottobre 2012 Share

quale cultura oggi? di Franco novelli

 

Torino, 23 Novembre 1968, dalla rivista “Tempo” alla quale in quel periodo P. P. Pasolini collaborava: “Non comprendo bene questo lottare degli studenti per avere il diritto all’assemblea dentro la scuola. Perché dentro? Perché non tengono le loro assemblee nelle piazze, nei giardini, nelle soffitte? Perché pretendere e ottenere dai “superiori”questa libertà? E attuarla nelle sedi che non sono certamente, per loro natura, luoghi di libertà? Io so questo: che chi pretende la libertà, poi non sa cosa farsene. Penso, perciò, che gli studenti dovrebbero lottare non per pretendere dall’autorità attuazioni di diritti: o perlomeno, non solo per questo. Ma per pretendere, da se stessi, di essere la parte più importante e reale dell’opinione pubblica” (Il Caos a cura di Gian Carlo Ferretti, Edizioni l’Unità/Editori Riuniti, Roma, 1981, pag. 77).

È sicuramente provocatoria la riflessione di Pasolini – in particolare, il rilievo sulla scuola come luogo di “non libertà” -, né più né meno di quelle che egli in precedenza aveva scritto in “Il PCI e i giovani”, in cui contestava fortemente non le ragioni delle lotte studentesche ma chi le attuava, in buona parte giovani della borghesia benpensante italiana, e il modo con cui quelli le portavano avanti. Per lui da un lato c’erano i proletari contestati – ossia le forze dell’ordine – e dall’altro i giovani di una borghesia protestataria e ribellistica ma ricca. Su questo non ci soffermeremo, in quanto ci porterebbe lontano da quello che è invece il senso delle riflessioni di questo intervento. La citazione pasoliniana non è casuale: ci siamo trovati nei giorni scorsi in un istituto secondario e come siamo entrati siamo stati assaliti letteralmente da un silenzio assordante e abnorme per una scuola. Abbiamo chiesto il motivo: c’era stata un’assemblea studentesca, alla quale avevano preso parte poche decine di studenti e un numero molto modesto di docenti. Ecco allora che ha di nuovo un senso la riflessione provocatoria di Pasolini che indicava come luogo adatto per un incontro assembleare di giovani la piazza del paese, dove parlare e tentare di coinvolgere le altre componenti della società, gli adulti, i lavoratori, le donne. Ora ci chiediamo se abbia ancora un senso questo ragionamento alla luce della dilagante incultura, della superficialità e dell’indifferenza che gli adulti hanno “insegnato” alle giovani generazioni, che in questo modo e per queste ragioni si dimostrano sempre più lontane da qualsiasi impegno culturale o politico (è chiaro che parliamo per grandi linee, convinti che ci siano tanti giovani che da persone mature e consapevoli si impegnano nell’ambito delle giovani organizzazioni partitiche, nel volontariato, nelle parrocchie anche, etc.).

Ma vogliamo soffermarci anche su un’altra esperienza che dentro di noi ha lasciato un segno di sconforto: siamo stati invitati come Libera contro le mafie ad un incontro a Mafalda dall’assessore all’ambiente di questo bel centro del basso Molise con all’ordine del giorno la costruzione di una centrale a biomasse che ovviamente l’amministrazione di Mafalda non vuole che si costruisca sul suo territorio.

Infatti, l’impatto ambientale sarebbe molto negativo, sia perché la centrale a biomasse non porterebbe lavoro per i giovani del posto, sia perché essa  potrebbe risultare utile per una comunità numericamente più piccola: in effetti, la produzione di energia di una centrale a biomasse è supposta solo per poche famiglie o per insediamenti produttivi di modesta entità.

Quello che ci ha lasciato perplessi e sconcertati sono state le argomentazioni esposte da alcuni esponenti politici della destra molisana alla quale oggi piace l’ambiente pulito, le energie rinnovabili, la difesa del territorio molisano. Di qui, la sensazione precisa che ci troviamo di fronte ad un revisionismo sfacciato e ad un atteggiamento squisitamente propagandistico, pre-elettorale, che ritiene il cittadino inconsapevole ed incurante delle malefatte della destra molisana e dei preoccupanti livelli del grigiore etico che essa esprime.

Pertanto, a noi presenti è sopraggiunta spontanea una riflessione – che, appena concluso l’incontro, ci siamo reciprocamente comunicato -: esiste ancora un minimo di dignità civile e possiamo parlare di cultura, come bagaglio essenziale per chiunque voglia rapportarsi dignitosamente e con coerenza con gli altri? Noi abbiamo molte perplessità che comunque non ci spingono a fare di “ogni erba un fascio!”; tuttavia, ci pare legittimo chiedercelo.

Qualche anno fa, supponiamo nel 2003, Manuel Vàzquez Montalbàn, prima di morire, in uno scritto in cui parlava di cultura e di politica della sinistra radicale e comunista, ricordava quanto fosse per Lev Trotzskij importante la cultura in un momento rivoluzionario come la Rivoluzione d’Ottobre del 1917, e come si contrapponesse a quanti intendevano distruggere le tradizioni popolari sulle quali la cultura russa poggiava le sue radicate origini. Trotzskij, infatti, riteneva che la cultura “borghese” nella fase rivoluzionaria e violenta cessava di essere la portavoce di una sola classe sociale, divenendo di fatto la cultura di tutto il popolo con al centro l’uomo.

Oggi dinanzi alla vittoria del capitalismo e del liberismo, all’incedere sicuro della globalizzazione della finanza e dell’economia, in Italia come nel resto del mondo, si fa fatica ad individuare un intellettuale (forse è più facile indicare un movimento) che consideri essenziale non disperdere né distruggere la cultura civile, politica, etica propria delle tradizioni democratiche di ciascun popolo o di ciascuna nazione.

Oggi il liberismo sta vincendo la sua guerra e non si vede ancora all’orizzonte chi con determinata energia possa contrastarlo prospetticamente, proponendo una diversa cultura o un differente sistema sociale con al centro non le merci o il dio-danaro, ma l’uomo, come dicevamo poco sopra. Dobbiamo ripartire dal lavoro, come diritto inalienabile e non come dichiarazione di intenti opzionali; dal concetto di democrazia partecipata, dalla difesa del territorio come bene comune, dalla salute, dalla scuola come strumento essenziale di civiltà e di educazione culturale, dal concetto di solidarietà  condivisa e operante, dal processo naturale di integrazione culturale e di osmosi multietnica, oggi, che, al contrario, si dà all’untore, quando si parla di clandestino o di immigrato.

Deve, dunque, tornare ad esserci una condizione essenziale per ripartire: il sogno di una cosa, l’utopia verso cui tendere collettivamente. Accanto a P. P. Pasolini, vorremmo ricordare Paulo Coelho e un suo testo, “Manuale del guerriero della luce”, alter ego dell’intellettuale capace di indicare il sogno di una cosa. “Il guerriero della luce è colui che è in grado di comprendere il miracolo della vita, di lottare fino alla fine per qualcosa in cui crede e di sentire allora le campane che il mare fa rintoccare nel suo letto”.☺

bar.novelli@micso.net

 

 

 

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