Quale futuro per l’Europa?
3 Maggio 2014 Share

Quale futuro per l’Europa?

Le ultime tornate elettorali per il rinnovo del parlamento europeo sono state accompagnate da un confronto politico tutto centrato sulle questioni interne al nostro paese. Per una serie di ragioni, questa volta le cose potrebbero e dovrebbero andare diversamente, ma non è il caso di scommettere molto su una tale evenienza.

Le elezioni del 25 maggio ci consegneranno un parlamento europeo che non potrà continuare ad essere testimone importante ma silente della tragedia sociale ed economica che ha sconvolto molte delle certezze sul vecchio continente. Interi paesi, regioni, territori, gruppi sociali e realtà imprenditoriali hanno subìto gli effetti di uno sconvolgente corto circuito. I più sanno che è urgente abbandonare la linea del solo rigore per varare una strategia europea di sostegno alla crescita ed al rafforzamento della coesione sociale, economica e territoriale. E sanno bene che dal Consiglio europeo, composto dai Capi di Stato o di Governo dei paesi membri dell’UE, non potranno aspettarsi molto. Costoro hanno già certificato abbondantemente la loro inadeguatezza e la loro inaffidabilità.

La speranza di far ripartire il processo di costruzione di un’Europa unita, democratica e solidale, immaginato e attivato nel secolo scorso, può essere affidata alle urne che a breve saranno aperte per il rinnovo del parlamento europeo. Un parlamento europeo impegnato a riprodurre al suo interno la rincorsa agli interessi nazionali, che ha caratterizzato fin qui il Consiglio europeo, non serve più. Non serve più un parlamento che annovera tra i suoi risultati maggiori la perenne concordia di quasi tutte le forze politiche che lo compongono su quasi tutti i provvedimenti, spesso irrilevanti, che vengono adottati.

Quello che serve è un organismo rappresentativo sensibile alle tragedie umane in atto, capace di spingere per la realizzazione di un’architettura istituzionale nuova e di tipo federale, nella quale il parlamento stesso possa svolgere il ruolo centrale che gli spetta. Sappiamo bene che sulla prospettiva federale dell’Unione europea non c’è accordo e che, al contrario, le forze schierate per un’Europa intergovernativa sono consistenti. Non accettiamo, però, l’assenza di un confronto parlamentare aperto tra le diverse posizioni ed il conseguente pantano politico ed istituzionale che ne deriva.

Per andare oltre il pantano bisogna partire da una campagna elettorale che chiarisca le opzioni politiche in campo e che consenta ai cittadini europei di fare, nelle urne, una scelta consapevole. Al momento possiamo individuare, in una sintesi estrema e pertanto insufficiente e imprecisa, quattro posizioni in campo.

Partiamo dalla posizione espressa dai partiti che aderiscono al PPE. Se vinceranno le elezioni, il loro candidato alla presidenza della Commissione europea sarà Jean-Claude Juncker, personalità politica rilevante che però ha detto, con riferimento agli eurobond che egli stesso riteneva indispensabili per far ripartire lo sviluppo, “non ci sono le condizioni per emetterli”. Una domanda preliminare da porgli, prima di decidere se votare per uno dei partiti del suo gruppo, è la seguente: intende impegnarsi per creare quelle condizioni o si è già arreso?

Il PSE ha scelto, come candidato alla presidenza della Commissione europea, Martin Schulz, Presidente uscente del Parlamento europeo, noto più come tedesco che come socialista. A lui tocca chiarire, qui ed ora, con argomenti forti, se da Presidente della Commissione sarà pronto a contrastare la Merkel e una buona parte dell’ opinione nordica sulla ristrutturazione del debito dei paesi in difficoltà e su una lotta efficace alla disoccupazione e agli squilibri socio-economici in Europa. A Juncker e a Schulz, rappresentanti dei due schieramenti maggiori, bisogna domandare se hanno un piano, possibilmente condiviso e completo di road map, per riformare e rafforzare le istituzioni europee o se, sotto sotto, anche loro sono un po’ euroscettici.

Di certo, nella situazione attuale, gli euroscettici autentici abbondano ovunque e non mancano certo in Italia. Il Movimento Cinque Stelle, la Lega Nord, ma anche i Fratelli d’Italia ed altri esprimono una contrarietà all’euro che non fa bene all’Europa e ancora meno all’Italia. Ma, per essere sinceri fino in fondo, all’Europa e all’Italia non serve neanche un europeismo minimalista e di facciata. A tutti serve una dialettica sincera e forte tra tesi opposte, nella società come nel Parlamento europeo rinnovato.

Tra le posizioni chiare c’è quella espressa da Tzipras in favore di un’Europa solidale. È una posizione minoritaria ma importante perché recupera parte di quell’aspirazione ad un orizzonte comune per i popoli europei che fu concepita a Ventotene e che in questo inizio di nuovo secolo trova difficoltà a circolare nel vecchio continente.

In vista del 25 maggio, sarebbe assai utile assistere ad un serrato confronto tra tutti i principali leader europei chiamati ad assumere precisi impegni su questi temi, ma bisogna essere realisti e prepararsi al peggio. In quest’ultima, malaugurata ipotesi, l’Europa verrebbe utilizzata, per l’ennesima volta, come sfondo lontano e discreto, per non disturbare troppo gli attori/candidati nostrani che recitano il loro copione in vernacolo.☺

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