Quel regno lontano, anzi vicino
5 Ottobre 2015 Share

Quel regno lontano, anzi vicino

La tentazione più insidiosa che mi coglie, avviando la recensione de Il Regno di Emannuèle Carrère (Adelphi 2015), è quella di mutuarne lo stile, apparentemente svagato e digressivo, ma resisto, anche perché non ne sono capace. È un libro che non è un romanzo, ma ha la leggibilità di un romanzo, nato per essere bevuto tutto d’un fiato (e sì che conta 425 pagine!) in attesa di un finale che dovrebbe sciogliere i nodi accumulati fin lì.

L’autore è un francese di successo (let- teratura, cinema, tv) che racconta un episodio centrale della sua vita: la conversione al cattolicesimo, dopo decenni di ateismo sfrontato. Ma la nuova esperienza termina dopo tre anni. La fede si spegne nella stanchezza grigia della routine, come un matrimonio andato a male. Anni dopo, lo scrittore ritrova le tante pagine riempite commentando il vangelo negli anni del fervore religioso, e, convinto che quel passato non sia del tutto sfiorito, si avventura in una “inchiesta” sulle origini del cristianesimo: gli Atti, Paolo, Giacomo, Pietro, Luca, Marco, Timoteo, Lidia ecc. E di tanto in tanto, Gesù, che a tutta quella complicata, misteriosa, fantastica avventura di venti secoli fa, dà senso e vigore. Legge, studia, commenta, ricostruisce, interpreta, ipotizza; ma soprattutto sceneggia e racconta, andandosene spesso per la tangente e intervallando il “saggio” con l’autobiografia, sincera, impietosa, cruda fino a parlarci di cose quasi inconfessabili.

La fede non c’è più, ma la folgorazione di quell’incontro con quella Parola resta come una malìa incancellabile (“Qual è la realtà? Che Cristo non è risorto? Io ti abbandono, Signore. Tu non abbandonarmi”). Emergono, durante l’inchiesta, le contraddizioni, le incongruenze, le ‘favole’ dei testi religiosi esaminati, ma Carrère sta in guardia contro l’albagia dell’intellettuale che spregia il volgo credulo e ignorante. Ad ogni svolta di questo cammino tortuoso e forse infinito ritorna però la questione centrale: cosa era, cosa è, quel Regno che Gesù proclamava ormai vicino? Ed è in quei momenti che si accende una luce e viene illuminata quella segreta piega.

Fino alle pagine conclusive. Il libro si chiude col racconto degli ultimi momenti della sua composizione, quando l’autore, sempre non credente (ma non convinto del tutto di non esserlo), rievoca un’esperienza forte presso l’Arca, la comunità di accoglienza di Jean Vanier, che ospita i reietti dell’umanità, i rifiutati da tutti: seduti in circolo un gruppo di uomini e donne si lavano reciprocamente i piedi. Sarà quella la vera eucaristica che solo Giovanni tramanda? Sarà questo “darsi” senza se e senza ma al povero, al malato, al dimenticato il vero Regno annunciato, vicino, ma mai compiutamente realizzato?

L’autore “non lo sa”. Però sa dirci questo: “Quando istituisce l’Eucaristia Gesù si rivolge a tutti e dodici i discepoli insieme. Ma quando si inginocchia e lava i piedi, lo fa a ciascun discepolo individualmente, chiamandolo per nome …”. Proprio come i volontari dell’Arca fanno con i poveri “scarti” umani loro affidati. Ma il contatto è ugualmente importante per chi tocca e per chi è toccato: “è questo il grande segreto dell’Arca, come del Vangelo: all’inizio si vuole fare del bene ai poveri, e a poco a poco si scopre che sono loro che fanno del bene a noi … e allora si ricomincia a diventare più umani”. Carrère sa che se cominci a darti ai poveri essi piano piano ti aiutano a trovare la tua verità, a diventare quello che puoi essere, proprio come la Chiesa, che, lui dice, (forse) ha tradito la sua origine ma sempre al suo Maestro amico dei diseredati ritorna se e quando vuole sfuggire alla palude del potere e riallacciare il dialogo col futuro.

Carrère è stato il “caso” dell’annata letteraria in Francia l’anno scorso. E il giudizio di Enzo Bianchi da un lato (“una ricerca che non si ferma di fronte all’apparente mancanza di risposte, ma scava più in profondità, magari smuovendo montagne di terra arida per giungere a un piccolo seme ancora fertile”) e della Civiltà Cattolica dall’altro (“uno specchio della nostra epoca: un’epoca disincantata, completamente dubbiosa per quanto riguarda la religione, senza che possa dimenticare questo cristianesimo”) ci garantiscono che non è un romanzo stagionale.

Un libro vivace, percorso da humour finissimo, tremendamente serio sotto le specie del divertissement, un libro che continuamente ti costringe a chiederti da che parte stai, ti costringe ad ammettere che anche tu pensi e/o fai questo e quello, ma “è meglio non farlo sapere”, insomma non ti lascia in pace. Per fortuna ce ne sono ancora.☺

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