Mai come oggi parole come beni comuni e pace giusta sono così vitali ed attuali. I beni comuni sono minacciati da un nemico interno costruito da noi: il sistema economico capitalistico imperante che li vuole fagocitare per renderli commerciabili economicamente, spendibili e acquistabili sul mercato. Si tratta di cose veramente importanti per tutti noi, ovvero dai diritti umani all’acqua potabile, all’aria pulita, alla terra coltivabile, al territorio, alla bellezza del paesaggio, all’energia, alla formazione, alla salute e a tanti altri beni. L’idea dominante è che tutto dev’essere privatizzato; ci deve essere un padrone, un proprietario (o affidatario esclusivo e per lungo tempo) che li rende disponibili a pagamento, quindi per profitto. In queste condizioni la pace giusta è difficile da raggiungere se il sistema di cui siamo testimoni si basa su un’ ingiustizia, quella che prevede l’accesso ai beni primari vitali solo se si è abbastanza ricchi per permetterselo.
Siamo stati inondati per mesi dalle notizie sulla Grecia, corredate dallo spettacolo di un continente europeo incapace di risposte. Un titolo di Avvenire: “La Grecia si taglia le ali. Via alle privatizzazioni. E 14 aeroporti vanno in gestione a una società tedesca per 40 anni”. L’articolo apre sottolineando la sequenzialità dei fatti: “Alla vigilia del voto del Bundestag… la prima privatizzazione greca vede in campo un acquirente del principale Paese creditore”. Sembra essere tornati alle civiltà arcaiche: quando l’ uomo era in balia degli elementi diceva “la divinità sarà arrabbiata, allora sacrifichiamo dieci buoi”. Poi i problemi continuavano e allora “sacrifichiamo cento buoi”. Più o meno siamo nella stessa situazione: i mercati (meglio dire “i mercanti esattori”) sono imperscrutabili, lo spread sale e scende … e noi facciamo sacrifici, sacrifici umani, per vedere se queste divinità si placano. La cronaca mediatica ci ricorda che dobbiamo fare sacrifici. Come la Grecia i nostri comuni cominceranno a vendere (o ad affidare per 20/40 anni) i beni comuni (acqua, boschi, territori ecc.) a privati per ripagare i debiti finanziari, ma lo Stato italiano ed altri nell’Europa non sono lontani dal subire stessa sorte.
beni comuni e debito ecologico
In generale il debito ecologico può essere definito il debito storico ed attuale accumulato dai paesi industrializzati del nord verso i paesi del sud, a causa della depredazione delle loro risorse naturali, dello sfruttamento di quelle popolazioni, dell’ inquinamento e della distruzione del loro patrimonio naturale e culturale e delle fonti di sostentamento. Le forme principali di debito ecologico sono quattro: 1) il debito di carbonio, 2) i passivi ambientali, 3) l’ esportazione di rifiuti tossici originati nei paesi industrializzati e rilasciati nei paesi poveri e 4) la biopirateria.
Il debito di carbonio è un debito contratto dai paesi industrializzati attraverso le massicce emissioni di gas a effetto serra, che generano un aumento della temperatura media del pianeta. Nel Nord lo sviluppo economico e l’uso di combustibili fossili seguono analoghi ritmi di crescita. È possibile perciò misurare quanto la crescita economica dipenda dall’uso di queste risorse non rinnovabili.
Negli anni Novanta il valore della produzione economica dei Paesi del G7, costruita su tale crescente debito di carbonio, sarebbe stata di circa 13-15mila miliardi di dollari USA all’anno. Nello stesso tempo i Paesi indebitati finanziariamente avevano un credito di carbonio valutabile intorno al triplo dei loro debito estero. Tuttavia, mentre quest’ultimo è riconosciuto dalla comunità economica e politica internazionale e riscosso con piglio usuraio, il debito ecologico è solo rivendicato da organizzazioni e gruppi della società civile ma non esigibile dai popoli che ne subiscono le conseguenze depauperanti.
Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ ha il coraggio, per primo, di mettere in correlazione paritaria il debito finanziario, che strozza nazioni povere ed ora le popolazioni anche nei paesi ricchi, con il debito ecologico, che l’occidente accumula verso i paesi poveri, senza che questi possano costringerlo a ripagarne i danni forzatamente subìti circa i loro beni comuni. “L’inequità non colpisce solo gli individui, ma paesi interi, e obbliga a pensare a un’etica delle relazioni internazionali. C’è infatti un vero ‘debito ecologico’, soprattutto tra il Nord e il Sud, connesso a squilibri commerciali con conseguenze in ambito ecologico, come pure all’uso sproporzionato delle risorse naturali compiuto storicamente da alcuni paesi” (n.51). Ed ancora “Il debito estero dei Paesi poveri – scrive il Papa – si è trasformato in uno strumento di controllo, ma non accade la stessa cosa con il debito ecologico. In diversi modi, i popoli in via di sviluppo, dove si trovano le riserve più importanti della biosfera, continuano ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro. È necessario che i Paesi sviluppati contribuiscano a risolvere questo debito limitando in modo importante il consumo di energia non rinnovabile, e apportando risorse ai Paesi più bisognosi per promuovere politiche e programmi di sviluppo sostenibile” (52).
Le conseguenze delle decisioni finanziarie – scrive Zygmunt Bauman – sono immuni da responsabilità oggettive, al di sopra di ogni etica che non sia l’etica del profitto, alla quale solo rispondono. Come gli antichi re e despoti non si curano della vita dei loro sudditi mandati a morire in battaglia per soddisfare il loro capriccio, così gli anonimi signori della finanza virtuale non hanno responsabilità per i danni provocati dal loro operato. La riaffermazione della responsabilità in alternativa all’interesse, la rottura degli angusti schemi utilitaristici per fare nuovo spazio a valori come la solidarietà e l’ecologia sono momenti coerenti con una situazione mondiale in cui per ogni abitante del pianeta esistono ormai migliaia di miliardi di dollari di liquidità in circolazione ma, in più del 50% dei casi, soltanto poche centinaia di dollari all’anno di reddito reale.☺
Mai come oggi parole come beni comuni e pace giusta sono così vitali ed attuali. I beni comuni sono minacciati da un nemico interno costruito da noi: il sistema economico capitalistico imperante che li vuole fagocitare per renderli commerciabili economicamente, spendibili e acquistabili sul mercato. Si tratta di cose veramente importanti per tutti noi, ovvero dai diritti umani all’acqua potabile, all’aria pulita, alla terra coltivabile, al territorio, alla bellezza del paesaggio, all’energia, alla formazione, alla salute e a tanti altri beni. L’idea dominante è che tutto dev’essere privatizzato; ci deve essere un padrone, un proprietario (o affidatario esclusivo e per lungo tempo) che li rende disponibili a pagamento, quindi per profitto. In queste condizioni la pace giusta è difficile da raggiungere se il sistema di cui siamo testimoni si basa su un’ ingiustizia, quella che prevede l’accesso ai beni primari vitali solo se si è abbastanza ricchi per permetterselo.
Siamo stati inondati per mesi dalle notizie sulla Grecia, corredate dallo spettacolo di un continente europeo incapace di risposte. Un titolo di Avvenire: “La Grecia si taglia le ali. Via alle privatizzazioni. E 14 aeroporti vanno in gestione a una società tedesca per 40 anni”. L’articolo apre sottolineando la sequenzialità dei fatti: “Alla vigilia del voto del Bundestag… la prima privatizzazione greca vede in campo un acquirente del principale Paese creditore”. Sembra essere tornati alle civiltà arcaiche: quando l’ uomo era in balia degli elementi diceva “la divinità sarà arrabbiata, allora sacrifichiamo dieci buoi”. Poi i problemi continuavano e allora “sacrifichiamo cento buoi”. Più o meno siamo nella stessa situazione: i mercati (meglio dire “i mercanti esattori”) sono imperscrutabili, lo spread sale e scende … e noi facciamo sacrifici, sacrifici umani, per vedere se queste divinità si placano. La cronaca mediatica ci ricorda che dobbiamo fare sacrifici. Come la Grecia i nostri comuni cominceranno a vendere (o ad affidare per 20/40 anni) i beni comuni (acqua, boschi, territori ecc.) a privati per ripagare i debiti finanziari, ma lo Stato italiano ed altri nell’Europa non sono lontani dal subire stessa sorte.
beni comuni e debito ecologico
In generale il debito ecologico può essere definito il debito storico ed attuale accumulato dai paesi industrializzati del nord verso i paesi del sud, a causa della depredazione delle loro risorse naturali, dello sfruttamento di quelle popolazioni, dell’ inquinamento e della distruzione del loro patrimonio naturale e culturale e delle fonti di sostentamento. Le forme principali di debito ecologico sono quattro: 1) il debito di carbonio, 2) i passivi ambientali, 3) l’ esportazione di rifiuti tossici originati nei paesi industrializzati e rilasciati nei paesi poveri e 4) la biopirateria.
Il debito di carbonio è un debito contratto dai paesi industrializzati attraverso le massicce emissioni di gas a effetto serra, che generano un aumento della temperatura media del pianeta. Nel Nord lo sviluppo economico e l’uso di combustibili fossili seguono analoghi ritmi di crescita. È possibile perciò misurare quanto la crescita economica dipenda dall’uso di queste risorse non rinnovabili.
Negli anni Novanta il valore della produzione economica dei Paesi del G7, costruita su tale crescente debito di carbonio, sarebbe stata di circa 13-15mila miliardi di dollari USA all’anno. Nello stesso tempo i Paesi indebitati finanziariamente avevano un credito di carbonio valutabile intorno al triplo dei loro debito estero. Tuttavia, mentre quest’ultimo è riconosciuto dalla comunità economica e politica internazionale e riscosso con piglio usuraio, il debito ecologico è solo rivendicato da organizzazioni e gruppi della società civile ma non esigibile dai popoli che ne subiscono le conseguenze depauperanti.
Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ ha il coraggio, per primo, di mettere in correlazione paritaria il debito finanziario, che strozza nazioni povere ed ora le popolazioni anche nei paesi ricchi, con il debito ecologico, che l’occidente accumula verso i paesi poveri, senza che questi possano costringerlo a ripagarne i danni forzatamente subìti circa i loro beni comuni. “L’inequità non colpisce solo gli individui, ma paesi interi, e obbliga a pensare a un’etica delle relazioni internazionali. C’è infatti un vero ‘debito ecologico’, soprattutto tra il Nord e il Sud, connesso a squilibri commerciali con conseguenze in ambito ecologico, come pure all’uso sproporzionato delle risorse naturali compiuto storicamente da alcuni paesi” (n.51). Ed ancora “Il debito estero dei Paesi poveri – scrive il Papa – si è trasformato in uno strumento di controllo, ma non accade la stessa cosa con il debito ecologico. In diversi modi, i popoli in via di sviluppo, dove si trovano le riserve più importanti della biosfera, continuano ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro. È necessario che i Paesi sviluppati contribuiscano a risolvere questo debito limitando in modo importante il consumo di energia non rinnovabile, e apportando risorse ai Paesi più bisognosi per promuovere politiche e programmi di sviluppo sostenibile” (52).
Le conseguenze delle decisioni finanziarie – scrive Zygmunt Bauman – sono immuni da responsabilità oggettive, al di sopra di ogni etica che non sia l’etica del profitto, alla quale solo rispondono. Come gli antichi re e despoti non si curano della vita dei loro sudditi mandati a morire in battaglia per soddisfare il loro capriccio, così gli anonimi signori della finanza virtuale non hanno responsabilità per i danni provocati dal loro operato. La riaffermazione della responsabilità in alternativa all’interesse, la rottura degli angusti schemi utilitaristici per fare nuovo spazio a valori come la solidarietà e l’ecologia sono momenti coerenti con una situazione mondiale in cui per ogni abitante del pianeta esistono ormai migliaia di miliardi di dollari di liquidità in circolazione ma, in più del 50% dei casi, soltanto poche centinaia di dollari all’anno di reddito reale.☺
Mai come oggi parole come beni comuni e pace giusta sono così vitali ed attuali. I beni comuni sono minacciati da un nemico interno costruito da noi: il sistema economico capitalistico imperante che li vuole fagocitare per renderli commerciabili economicamente, spendibili e acquistabili sul mercato.
Mai come oggi parole come beni comuni e pace giusta sono così vitali ed attuali. I beni comuni sono minacciati da un nemico interno costruito da noi: il sistema economico capitalistico imperante che li vuole fagocitare per renderli commerciabili economicamente, spendibili e acquistabili sul mercato. Si tratta di cose veramente importanti per tutti noi, ovvero dai diritti umani all’acqua potabile, all’aria pulita, alla terra coltivabile, al territorio, alla bellezza del paesaggio, all’energia, alla formazione, alla salute e a tanti altri beni. L’idea dominante è che tutto dev’essere privatizzato; ci deve essere un padrone, un proprietario (o affidatario esclusivo e per lungo tempo) che li rende disponibili a pagamento, quindi per profitto. In queste condizioni la pace giusta è difficile da raggiungere se il sistema di cui siamo testimoni si basa su un’ ingiustizia, quella che prevede l’accesso ai beni primari vitali solo se si è abbastanza ricchi per permetterselo.
Siamo stati inondati per mesi dalle notizie sulla Grecia, corredate dallo spettacolo di un continente europeo incapace di risposte. Un titolo di Avvenire: “La Grecia si taglia le ali. Via alle privatizzazioni. E 14 aeroporti vanno in gestione a una società tedesca per 40 anni”. L’articolo apre sottolineando la sequenzialità dei fatti: “Alla vigilia del voto del Bundestag… la prima privatizzazione greca vede in campo un acquirente del principale Paese creditore”. Sembra essere tornati alle civiltà arcaiche: quando l’ uomo era in balia degli elementi diceva “la divinità sarà arrabbiata, allora sacrifichiamo dieci buoi”. Poi i problemi continuavano e allora “sacrifichiamo cento buoi”. Più o meno siamo nella stessa situazione: i mercati (meglio dire “i mercanti esattori”) sono imperscrutabili, lo spread sale e scende … e noi facciamo sacrifici, sacrifici umani, per vedere se queste divinità si placano. La cronaca mediatica ci ricorda che dobbiamo fare sacrifici. Come la Grecia i nostri comuni cominceranno a vendere (o ad affidare per 20/40 anni) i beni comuni (acqua, boschi, territori ecc.) a privati per ripagare i debiti finanziari, ma lo Stato italiano ed altri nell’Europa non sono lontani dal subire stessa sorte.
beni comuni e debito ecologico
In generale il debito ecologico può essere definito il debito storico ed attuale accumulato dai paesi industrializzati del nord verso i paesi del sud, a causa della depredazione delle loro risorse naturali, dello sfruttamento di quelle popolazioni, dell’ inquinamento e della distruzione del loro patrimonio naturale e culturale e delle fonti di sostentamento. Le forme principali di debito ecologico sono quattro: 1) il debito di carbonio, 2) i passivi ambientali, 3) l’ esportazione di rifiuti tossici originati nei paesi industrializzati e rilasciati nei paesi poveri e 4) la biopirateria.
Il debito di carbonio è un debito contratto dai paesi industrializzati attraverso le massicce emissioni di gas a effetto serra, che generano un aumento della temperatura media del pianeta. Nel Nord lo sviluppo economico e l’uso di combustibili fossili seguono analoghi ritmi di crescita. È possibile perciò misurare quanto la crescita economica dipenda dall’uso di queste risorse non rinnovabili.
Negli anni Novanta il valore della produzione economica dei Paesi del G7, costruita su tale crescente debito di carbonio, sarebbe stata di circa 13-15mila miliardi di dollari USA all’anno. Nello stesso tempo i Paesi indebitati finanziariamente avevano un credito di carbonio valutabile intorno al triplo dei loro debito estero. Tuttavia, mentre quest’ultimo è riconosciuto dalla comunità economica e politica internazionale e riscosso con piglio usuraio, il debito ecologico è solo rivendicato da organizzazioni e gruppi della società civile ma non esigibile dai popoli che ne subiscono le conseguenze depauperanti.
Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ ha il coraggio, per primo, di mettere in correlazione paritaria il debito finanziario, che strozza nazioni povere ed ora le popolazioni anche nei paesi ricchi, con il debito ecologico, che l’occidente accumula verso i paesi poveri, senza che questi possano costringerlo a ripagarne i danni forzatamente subìti circa i loro beni comuni. “L’inequità non colpisce solo gli individui, ma paesi interi, e obbliga a pensare a un’etica delle relazioni internazionali. C’è infatti un vero ‘debito ecologico’, soprattutto tra il Nord e il Sud, connesso a squilibri commerciali con conseguenze in ambito ecologico, come pure all’uso sproporzionato delle risorse naturali compiuto storicamente da alcuni paesi” (n.51). Ed ancora “Il debito estero dei Paesi poveri – scrive il Papa – si è trasformato in uno strumento di controllo, ma non accade la stessa cosa con il debito ecologico. In diversi modi, i popoli in via di sviluppo, dove si trovano le riserve più importanti della biosfera, continuano ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro. È necessario che i Paesi sviluppati contribuiscano a risolvere questo debito limitando in modo importante il consumo di energia non rinnovabile, e apportando risorse ai Paesi più bisognosi per promuovere politiche e programmi di sviluppo sostenibile” (52).
Le conseguenze delle decisioni finanziarie – scrive Zygmunt Bauman – sono immuni da responsabilità oggettive, al di sopra di ogni etica che non sia l’etica del profitto, alla quale solo rispondono. Come gli antichi re e despoti non si curano della vita dei loro sudditi mandati a morire in battaglia per soddisfare il loro capriccio, così gli anonimi signori della finanza virtuale non hanno responsabilità per i danni provocati dal loro operato. La riaffermazione della responsabilità in alternativa all’interesse, la rottura degli angusti schemi utilitaristici per fare nuovo spazio a valori come la solidarietà e l’ecologia sono momenti coerenti con una situazione mondiale in cui per ogni abitante del pianeta esistono ormai migliaia di miliardi di dollari di liquidità in circolazione ma, in più del 50% dei casi, soltanto poche centinaia di dollari all’anno di reddito reale.☺
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