Restare esseri umani. I cambiamenti climatici e le migrazioni
12 Ottobre 2016
La Fonte (351 articles)
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Restare esseri umani. I cambiamenti climatici e le migrazioni

[tabs][tab title ="Lee Kwang Su (poeta coreano)"]Non dite che siamo pochi e che l’impegno è troppo grande per noi. Dite forse che due o tre ciuffi di nubi sono pochi in un angolo di cielo d’estate? In un momento si stendono ovunque… Guizzano i lampi, scoppiano i tuoni e piove su tutto. Non dite che siamo pochi, dite solamente che siamo. [/tab][/tabs]

Questa verità incontrovertibile, ma non ovvia, è risuonata il 13 settembre nella sala consiliare di Termoli, durante la presentazione dell’ultimo libro di Bruno Arpaia, Qualcosa, là fuori: un avvincente e inquietante romanzo che ci racconta di mutamenti climatici irreversibili e di un’umanità in fuga verso il Nord Europa, unica parte del Vecchio Mondo rimasta abitabile, attraverso la vicenda personale del protagonista.

bruno-arpaiaAl di là dell’interesse suscitato dai temi, purtroppo attualissimi, della narrazione, quelle parole sul migrare come atto fondante del diventare, e restare, esseri umani sono state come un lampo di luce vivissima. E mentre l’autore spiegava con grande semplicità che il gruppo dei Sapiens, milioni di anni fa, aveva prevalso sui Neanderthal, più creativi e “intellettuali” (a loro dobbiamo la grande arte rupestre), proprio perché migranti, e quindi più flessibili e adattabili a nuove condizioni di vita, io riflettevo sulla desolante inumanità che rimbalza su di noi quotidianamente da televisioni e computer.

Gli sguardi di indicibile tristezza delle migliaia di esseri umani respinti, umiliati, picchiati, rinchiusi in lager come il C.a.r.a. di Foggia, sotto gli occhi di tutti ma a tutti invisibili, non mi lasciano dormire, come diceva il titolo di un bellissimo libro di Alex Zanotelli.

Ma sono loro gli umani, in questa nostra contemporaneità, non noi; sono loro la parte più forte, quella che resisterà, si mischierà in qualche modo con noi e guadagnerà una terra dove vivere: perché la strada della migrazione, anche se punteggiata di morti, è oggi come nella preistoria l’unica possibile.

Fin troppo facile, a questo punto, dire che la storia non ci insegna mai nulla; del resto, un altro libro presentato giorni prima nella stessa sala sfogliava davanti ai nostri occhi l’album desolato della migrazione femminile in Argentina, con le stesse storie di sradicamento e violenza, ma anche con la nascita di una nuova umanità, più sfaccettata, più resiliente, più composita: in una parola, più umana.

E allora, se il futuro che ci aspetta è quello di migranti, come non renderci conto che negare accoglienza è stupido e inutile, prima ancora che criminale e inumano? Come non capire che l’orologio sta ticchettando sempre più veloce: l’indebitamento pubblico, di cui prima sentivamo parlare solo per i paesi “poveri”, è ora tragica attualità anche per noi paesi “ricchi”, e allo stesso modo tutta l’Europa sta per diventare non più solo scenario, ma protagonista della sconvolgente realtà della migrazione.

Non saremo probabilmente migranti per guerra o terrorismo, ma per impossibilità di coltivare la terra, invivibilità climatica, mancanza d’ acqua: saremo rifugiati ambientali, una nuova terribile condizione che già si comincia a cercare di definire giuridicamente. Perché sarà la condizione di milioni di europei, e come negare che la mutazione geografica che impedisce di trarre mezzi di sostentamento dalla propria terra sia motivo sufficiente e legalmente accettabile per chiedere lo status di rifugiato?

Il libro di Arpaia situa il racconto nel 2070, ma questa estate anomala fa temere che la previsione sia fin troppo benevola, e che il punto di non ritorno sia ancora più vicino nel tempo; e come gli orchestrali del Titanic, che suonavano mentre l’iceberg squarciava il transatlantico, Renzi, Holland e la Merkel continuano a giocare a nascondino con le quote di migranti da assegnare a paesi europei sempre più incanagliti nella follia razzista. E Maroni e Salvini ignobilmente ci regalano giornaliere dichiarazioni sul rifiuto a concedere spazi per la sistemazione di chi fugge da guerra e terrorismo.

Anche un bambino, di fronte a litigi e disaccordi con i compagni, capisce che l’unica soluzione è sedersi, discutere e mettersi d’accordo, se si vuole riuscire a giocare: i decisori europei e mondiali no, si illudono di fermare l’inarrestabile (già ora la Caritas prevede 250 milioni di profughi ambientali nei prossimi anni).

Non sarebbe il caso di studiare e mettere un atto un piano mondiale di accoglienza e distribuzione per questi umani che verranno a bussare alle nostre porte? Non è ora di capire che i prossimi a dover fuggire saremo noi, che gli “altri”, quelli su cui scarichiamo sempre la responsabilità di tutto, dall’evasione fiscale alla corruzione, dallo strapotere della casta alla mafia, gli “altri “siamo noi, silenziosi e indifferenti?

Ma soprattutto, è arrivato il tempo di renderci conto che solo la voce collettiva di noi cittadini ha il potere di cambiare l’esistente: se i decisori non vedono oltre il proprio interesse personale e politico, e ci portano sull’orlo di un vulcano che sta per travolgere la vita stessa del pianeta, tocca a noi vedere più lontano.☺

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