Ricostruire la casa di dio
16 Luglio 2019
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Ricostruire la casa di dio

“Riflettete bene sul vostro comportamento! Avete seminato molto, ma avete raccolto poco… l’operaio ha avuto il salario, ma per metterlo in un sacchetto forato… Ricostruite la mia casa” (Ag 1,5.6.8).

Il Libro del profeta Aggeo (nome che molto probabilmente significa “figlio della festa”) è un libro che inaugura l’ultima fase della predicazione profetica, quella che segue immediatamente il travaglio dell’esilio. Del profeta Aggeo non possediamo altra notizia se non che nel libro di Esdra (5,5; 6,14) egli è ricordato insieme al profeta Zaccaria in occasione dell’inizio dei lavori di rifacimento del tempio di Gerusalemme nel 520 a.C..

Se prima dell’esilio, la parola d’ordine dei profeti era “punizione” e durante l’esilio “consolazione”, in questo tempo nuovo in cui profetizza Aggeo la parola d’ordine è “ricostruzione” o “restaurazione”. Con Aggeo siamo infatti nel tempo in cui nasce la nuova comunità di Palestina, quella dei primi Giudei rientrati in Palestina da Babilonia. Ed è proprio in mezzo a questa comunità che il profeta, come pure Zaccaria, si adopera per animare il popolo e risvegliarne le energie necessarie per ricostruire il tempio. L’interesse per il tempio e il culto, così centrale per Aggeo, lascia supporre che egli fosse molto vicino all’ambiente sacerdotale.

Tutti gli interventi profetici presenti nel Libro si sintetizzano essenzialmente sulla necessità di ricostruire il tempio di Dio. I capi politici e religiosi e tutto il popolo trascurano Dio anteponendogli ogni altro interesse. Ognuno cerca i propri interessi e le proprie comodità e nessuno fa più le scelte secondo Dio. Questo sfrenato antropocentrismo sfocia in un devastante egoismo che ha effetti deleteri: i cieli trattengono la rugiada e diminuisce la produttività della terra fino alla siccità (cf. Ag 1,10-11).

Perché è così importante allora la ricostruzione del tempio? Per Aggeo non si tratta solo di una questione di spazio. Il tempio non è solo un luogo fisico, ma è soprattutto un simbolo che rimanda al dimorare di Dio in mezzo al suo popolo, fattore altamente coesivo per una comunità che rischia di vedere compromessa la propria identità. Il tempio è il luogo identitario per eccellenza perché rimanda all’alleanza e alla comunione tra Dio e il suo popolo. È uno spazio dove i due partner si danno appuntamento e dove Dio riversa le sue copiose benedizioni. È ciò che più di ogni altra cosa materiale scrive l’identità giudaica, ne esprime l’essenza intima. Il tempio è lo specchio dell’anima giudaica.

Pensare al tempio non è dunque un’operazione accidentale o facoltativa, ma prioritaria che dice la necessità di riconsegnare a Dio il primo posto. Secondo la parola profetica di Aggeo mettere Dio al primo posto, attraverso il processo della ricostruzione dello spazio deputato alla sua abitazione, permetterebbe al popolo di sperimentare non solo un rapporto più vivo e dinamico con il Signore ma anche un legame di coesione sociale, cosa che purtroppo non accade quando ognuno cerca un tornaconto personale e smarrisce la sensibilità nei confronti degli altri.

Costruire il tempio allora non è solo un affare che riguarda l’architettura, ma la fede in Dio e la comunione con il prossimo. È un evento da cui, secondo Aggeo, dipende la prosperità del popolo e la fioritura del presente verso la pienezza del futuro. Per il profeta mettere i propri interessi al primo posto porta alla carestia, mentre mettere al centro Dio e la sua casa assicura all’intero popolo la benedizione e l’abbondanza. Egli è certo che la gloria futura del tempio sarà più grande di quella di una volta e che in questo luogo Dio stabilirà la pace (cf. Ag 2,9).

La ricostruzione del tempio è infine presentata come la condizione della visita del Signore e dell’istaurarsi del suo regno. La speranza di ricentrare la propria identità di popolo nel Dio che in mezzo a questo popolo si è fatto una casa fa esplodere nella profezia di Aggeo la speranza dell’avvento ormai prossimo del Messia.

Nell’attuale momento di “carestia” che stiamo vivendo in Italia e in Europa, a causa di un presentismo che strappa consensi ma non ossigena l’orizzonte del futuro, è importante anche per noi credenti ridisegnare gli spazi interiori ed esteriori e risuscitare quel tempio di carne che è l’essere umano. Incontrare la carne degli altri con il suo denominatore comune e con i suoi elementi allogeni è la sfida a creare spazi comunionali dove possa tornare ad abitare quel Dio che è Padre di tutti gli uomini e che li sogna tutti fratelli.                              

 

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