Rifiuti indifferenziati
8 Giugno 2017
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Rifiuti indifferenziati

Dal rapporto “Ecosistema urbano” di Legambiente XXIII edizione del 2016 si osserva che, a livello nazionale, la percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti si attesta su un valore medio italiano del 45,15%. Ciò significa che, al momento, nonostante tutti gli sforzi profusi dai vari attori chiamati a gestire il problema, siamo ancora lontani dal conseguimento di percentuali che potrebbero restituire a tutti noi un minimo di tranquillità. D’altra parte, per quanto il dato possa continuare a salire verso percentuali che alcune aree urbane hanno già conseguito, prima che possa affermarsi in modo consistente e definitivo il principio della circular economy, permarrà per tempi difficilmente determinabili il problema del doverci disfare di quantitativi non trascurabili di rifiuti indifferenziati.

La storia degli ultimi decenni, almeno fino a quando non ci si rese conto che non era più possibile continuare a smaltire l’insieme degli scarti domestici e/o industriali che fossero, sia per i volumi occupati che per lo spreco energetico e le ricadute inquinanti, fornisce un’ampia gamma di applicazioni tecnologiche, finalizzate al loro trattamento/smaltimento. Si trattava di avvalersi di quanto più utile i principi che il mondo delle scienze applicate potessero rendere disponibile, al fine di minimizzare, inertizzare e/o comunque poter ricavare il massimo di positività da una tale importante e voluminosa massa indistinta.

L’insieme dei rifiuti indifferenziati, tradizionalmente, era sottoposto al puro e semplice processo di incenerimento o, in alternativa, razionalmente interrato in luoghi adeguatamente attrezzati, sempre più numerosi nel corso degli anni su tutto il territorio nazionale, non sempre, purtroppo, laddove le condizioni geo-ambientali ne consentissero la giusta e corretta allocazione. Altre soluzioni, per il trattamento e l’utilizzo di tali materiali aumentati considerevolmente, in peso e in volume nel corso del tempo, sono state offerte e rese disponibili dall’industria specializzata nel ramo.

Storicamente, a partire dai primi anni settanta, uno dei metodi suggerito per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, quando il concetto di differenziazione era di là da venire, fu il giapponese Tezuka, concepito per comprimere, senza alcuna preparazione preliminare, i rifiuti solidi urbani e industriali, nonché i fanghi di fogna, in blocchi cubici, tramite l’impiego di presse oleodinamiche. Gli stessi, avvolti con rete metallica e immersi in un bagno di bitume e all’occorrenza, ricoperti con uno strato di calcestruzzo, ormai ermeticamente isolati, erano considerati costituiti da materiale inerte e stabile.

Un altro metodo che la ricerca scientifica, nei decenni seguenti, pose all’attenzione degli operatori interessati del settore fu quello detto della criodistruzione, basato su una serie di operazioni che a partire da una preliminare deumidificazione dei rifiuti, allo scopo di aumentare il potere calorifico della frazione adatta alla combustione, continuava con la loro immersione in un bagno di azoto liquido, per passare alla frantumazione in appositi mulini. Le bassissime temperature dell’azoto liquido (-196 °C), rendendo i rifiuti estremamente fragili, avrebbero permesso di vagliare, con i mezzi comunemente disponibili, le varie frazioni presenti, da quella combustibile o fertilizzante, a quella inerte come vetro, metalli e quant’altro.

In tempi più recenti pare che l’ENEA abbia individuato nella pirolisi e nella gassificazione, tra le varie ipotesi possibili, la soluzione tecnologica in grado di trasformare una questione ambientale in risorsa ovvero in energia termica ed elettrica. Il fine di ambedue i processi è quello di trasformare il quantitativo energetico, contenuto nella frazione solida dei rifiuti, in combustibili gassosi e/o liquidi più pregiati e maneggevoli. L’assenza di ossigeno, come nella tradizionale produzione del carbone di legna, molto diffusa fino a qualche decennio fa sia sulle Alpi che sugli Appennini, riduce l’impatto ambientale, sottraendo, invece che aggiungere, CO2 all’atmosfera. ☺

 

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