riforme strutturali
24 Febbraio 2010 Share

riforme strutturali

Dal fondo della crisi emerge un quadro economico chiaramente difficile caratterizzato da pesanti recessioni, disoccupazione diffusa, consumi e investimenti al palo, debiti pubblici lievitati. Le due leve di politica economica, monetaria e fiscale, sono ormai praticamente ingessate: Banche Centrali e Governi nazionali sono ormai degli spettatori che si limitano a rilevare dati macroeconomici drammatici e ad interpretarli comunque con inspiegabile ottimismo. Sarà la forza della speranza come scritto in qualche libro! D’altro canto l’iniziativa privata è depressa dalle pessime aspettative e dalle limitate capacità di investimento frutto sia dell’irrigi- dimento del mercato creditizio ma anche, badate bene, dalla consueta scarsa propensione alla capitalizzazione aziendale nonché dal carente autofinanziamento degli anni passati.

In un recente discorso il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, aveva concluso rammentando un suo aneddoto: “Se hai perso i soldi ti potrai rifare investendo in un nuovo affare, se hai perso l’onore ti potrai rifare compiendo un atto eroico, se hai perso il coraggio allora sei finito!” Siamo così passati da fattori economico-aziendali a valori morali che il capitalismo corrente ha  ampiamente dimenticato e rinnegato nel corso dell’ultimo ventennio. Ma, tutti siamo consapevoli, che per investire non basta solo il coraggio ma sono necessarie quantomeno aspettative positive tali da prospettare sufficienti livelli di profitto e  un accettabile periodo di recupero dei capitali investiti.

Le attuali politiche monetarie sono asimmetricamente bloccate da tassi nominali prossimi allo zero e le capacità di spesa pubblica sono inibite da livelli di debito appesantiti dai sussidi disoccupazione post-crisi. In questo contesto fortemente vincolato assume ancora più importanza la via dei mercati liberi ed efficienti. Diventano fondamentali le riforme strutturali volte a facilitare l’accesso di nuovi operatori nei mercati dell’economia reale in modo da favorirne la concorrenza ed un loro miglior funzionamento. Pensiamo alla liberalizzazione nel settore dell’energia, all’apertura del mercato bancario del credito, della produzione dei beni e servizi primari che migliorerebbero l’offerta a prezzi più contenuti. Fare ciò significa scardinare degli equilibri forti già esistenti, andare contro gli interessi di pochi e favorire gli interessi di molti, consumatori, investitori e Stato.

Si tratta di dare qualche pennellata di colore in questo quadro macroeconomico a tinte scure. Dobbiamo, infatti, fare una riflessione per capire che il capitalismo non è finito, come molti sostengono per mano della crisi, ma è profondamente cambiato. Prima l’imprenditore investiva per acquisire una quota di mercato dominante e garantirsi una stabile rendita di profitti. L’imprenditore emergente osannava il libero mercato ma una volta raggiunta una posizione di rilievo finiva per rinnegare quel libero mercato da cui era partito ed ostacolava l’accesso di nuovi concorrenti. Oggi, lo schema può essere lo stesso ma la quota di mercato non è più protetta anzi la posizione dominate è costantemente minacciata da nuovi concorrenti, nazionali e globali. Ciò può sembrare come un grande danno per gli imprenditori. Ma non si pensa mai al danno che per anni hanno pagato i consumatori, in termini di alti prezzi. Inoltre nel vecchio schema di mercato protetto le imprese si sono cullate sulle rendite facili tanto da trascurare gli importantissimi impulsi innovativi, linfa vitale dei mercati competitivi globali. E’ vero, prezzi concorrenziali più bassi complicano la vita all’imprenditore ma l’imprenditore è un operatore evoluto e deve essere in grado di ricercare nuovi prodotti da cui generare nuova redditività e sviluppare le leve del marketing così da rendere i prodotti e i servizi davvero vincenti. Da un lato fare impresa oggi è diventato davvero più complicato ma dall’altro fare impresa ieri, in un mercato eccessivamente protetto, era davvero troppo facile e troppo costoso per il sistema economico nel suo insieme.

Le riforme strutturali possono così essere quella terza leva di politica economica, l’unica attualmente praticabile, che però richiede vero impegno e coraggio politico. Ma qualsiasi impulso di politica economica si trasmette all’economia attraverso gli operatori di mercato, consumatori, imprenditori e lavoratori. E, in un momento così difficile, appare necessario individuare alcuni aspetti che ostacolano il pieno sviluppo economico nazionale. Da un lato le lobby di potere, quei pochi che comandano sono proprio coloro che dovrebbero essere “scardinati” dalle auspicabili riforme. Non sono da meno i lavoratori dipendenti che, forti delle loro solide tutele contrattuali, tendono a cadere facilmente nella “trappola dell’improdut- tività” ispirati al motto “lavoro meno a parità di salario”. Manca spesso un senso di responsabilità e di vera professionalità che trae le sue origini dal livello di istruzione della massa e dalla limita considerazione del “merito e delle competenze”. Del resto, in Italia, per raggiungere obiettivi personali e lavorativi non conta la preparazione ma la “conoscenza”. Conoscere è più importante che essere preparati, competenti e puntuali. Ma ci sentiamo di dire che una cosa è conoscere, altra cosa è “farsi conoscere” perché bravi e professionali ed emergere per qualità e competenza. Ma ciò interessa davvero a pochi. Il tutto si traduce in un problema di approccio e di mentalità, una mentalità non competitiva e fortemente perdente a priori.

Quindi come possono emergere le potenzialità di un paese quando è così radicata e diffusa questa mentalità ristretta? Così facendo, avremo sempre un tessuto nazionale di imprese e lavoratori mediocri, di uno Stato lassista dove non c’è politica economica o riforme che tengano.

Spesso siamo soliti accusare gli altri, le opposizioni, la Cina, i bamboccioni senza guardare criticamente a noi stessi. Ognuno cerca di difendere la propria posizione dominate e le rendite da essa derivanti. E chi ha il potere o una poltrona ci riesce sicuramente meglio ma a danno dell’intero sistema economico del paese. Forse ognuno si illude che l’inefficienza dei mercati convenga comodamente a ciascuno di noi. Ma in momenti così difficili tutti, proprio tutti e dal primo all’ultimo, dovrebbero impegnarsi professionalmente nella stessa direzione e a vantaggio di tutti. ☺

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