riprendiamoci la politica   di Famiano Crucianelli
30 Dicembre 2011 Share

riprendiamoci la politica di Famiano Crucianelli

 

La sede politica e parlamentare del Partito democratico è stata nei giorni passati sommersa da telefonate di protesta a causa della manovra del governo, pur tuttavia tutti i sondaggi indicano un incremento dei voti del PD. La manovra economica e finanziaria del governo Monti è di rara asprezza nei confronti dei ceti sociali medio – bassi, mentre è molto tollerante nei confronti dei settori “forti” della società, pur tuttavia il presidente Monti cala, ma gode ancora di un buon consenso nell’opinione pubblica.

Questa istantanea permette a tanti che sono progressisti, democratici e persino di sinistra di sorridere compiaciuti: “abbiamo cacciato Berlusconi, il PD avanza e il governo tecnico che per primi abbiamo chiesto naviga in buone acque”. La mia convinzione è che siamo di fronte a una vittoria di Pirro che chiede cari prezzi per l’oggi e non prepara nulla di buono per il futuro. Il processo politico che sta investendo il PD è solo apparentemente contraddittorio: in realtà queste ultime vicende politiche stanno consumando l’ultima enclave di passione politica e di militanza di quel partito,  ciò che rischia di residuare è una nebulosa dominata da comitati elettorali e interessi particolari, con una ragione sociale debole e priva di un orizzonte ideale. I sondaggi nell’immediato possono anche far sorridere, né questo dovrebbe sorprendere considerato che l’incubo del cavaliere è ancora vicino, ma una volta terminata la transizione berlusconiana e l’esperimento di Monti sul campo, rischiano di restare il peggio: una democrazia mercatista, in quanto dominata dalle leggi e dalle speculazioni dei mercati; una democrazia mediatica, perché manipolata dai media e in balia degli affabulatori mediatici; una società senza partiti, spoliticizzata e suggestionata dal virus dell’antipolitica.

Il lascito berlusconiano rischia di essere ben più grave del debito pubblico e può intossicare gravemente il nostro futuro. Né ci deve sfuggire – per capire la profondità dei problemi – che la crisi della Politica, la dispersione del valore civile e pedagogico della Politica e dei partiti è iniziato ben prima dell’era Berlusconiana. La decadenza dei Partiti negli anni ’80, come inutilmente denunciò Berlinguer, lo Stato e le istituzioni colonizzati da un ceto politico spregiudicato, un mondo imprenditoriale in grandissima parte affaristico e senza lo spirito di classe dirigente, lo scioglimento frettoloso del PCI  in nome di un vuoto e velenoso nuovismo sono tutti fattori che hanno minato ben prima di Berlusconi le ragioni della politica e della democrazia. La tempesta giudiziaria di tangentopoli dei primi anni ‘90 certificò la degenerazione e l’implosione politica del sistema e, per paradosso, Berlusconi “il principe dei corruttori” – come lo definì una persona che ben lo conosceva – ereditò il capitale.

Ora siamo a un nuovo capitolo di questa storia e potrebbe essere quello decisivo. La caduta di Berlusconi ha alimentato  speranze, ha ridato senso a quella parte importante della sinistra che ha resistito in anni di grande difficoltà, ma se con il cavaliere se ne va anche l’idea che questo mondo si può cambiare, e se tutto appare scritto nei dogmi del mercato e nei diktat della Merkel, allora la diaspora politica di quanti hanno politicamente resistito e combattuto è certa. Questo è l’enorme problema che solleva il governo Monti e la questione va ben al di là dei sondaggi dell’oggi. La crisi c’è ed è grave, l’intreccio fra il debito pubblico e la recessione economica possono precipitarci entro una depressione socialmente devastante; negare questo stato di cose, come pure taluno fa a sinistra, è semplicemente miope e irresponsabile, il quesito è un altro: il governo Monti ha le idee giuste e la forza per tirarci fuori da questa situazione e quale eredità ci lascia? 

La manovra che il Parlamento ha approvato non va nella giusta direzione: non è socialmente giusta, né aiuta lo sviluppo e l’occupazione. Il problema non è solo il capitolo delle pensioni che pure poteva essere affrontato con diversa gradualità e sensibilità sociale, nessuno neanche il nuovo “direttorio europeo” ci aveva chiesto di diventare sulla previdenza i più rigoristi e virtuosi in Europa. La questione più spinosa, però, è un’altra: si è confermata la sostanziale intangibilità dei grandi patrimoni e delle grandi ricchezze. Si è fatta una campagna straordinaria e legittima sui privilegi della casta politica, più di 1200 articoli in un anno, mentre abbiamo avuto poco più di 200 articoli, metà dei quali giustificativi, su quel vergognoso scandalo italiano (140 miliardi) che è l’evasione fiscale, e poco o nulla si dice e si fa per portare alla luce quanti hanno accumulato ricchezze prima della crisi e dentro la crisi. Questa manovra non solo non riduce, al contrario rischia di aumentare le già grandi diseguaglianze esistenti. Il che è discutibile eticamente e politicamente, ma anche sul terreno della razionalità economica, perché, soprattutto in una fase di recessione , una redistribuzione equa della ricchezza è condizione essenziale per una ripresa dell’economia e dello sviluppo. Non solo, se si accetta di ammainare la bandiera dei diritti sociali e del lavoro, che è poi il cuore della civiltà europea del secolo passato, allora diviene impossibile una battaglia universale, perché lo “statuto dei diritti dei lavoratori” possa valere allo stesso modo a Roma, a Varsavia e a Pechino. Non un passo indietro, ma tre passi avanti bisogna fare per affermare “i diritti” in ogni continente, è poi questa la sola arma democratica per affrontare quella diseguaglianza fra lavoratori e cittadini nel mondo che è uno dei grandi problemi che sta dietro la stagnazione economica e la debole competitività dell’Occidente.

Ha la forza il governo Monti per affrontare questi nodi in Italia come in Europa, per non essere semplicemente il notaio delle scelte fatte a Bonn e a Parigi? È lecito dubitare: dietro la forza dei numeri parlamentari non c’è un progetto politico condiviso, non c’è una maggioranza politica. Cosa saggia sarebbe, una volta bevuta l’amara medicina di questa manovra finanziaria, ridare la parola ai cittadini, ridare voce e forza alla Politica, ma così non sarà. Allora per evitare il peggio, per evitare che i prossimi mesi possano dissolvere sondaggi e ciò che resta di organizzato e militante a sinistra sono essenziali tre scelte: non pagare altri pegni sociali al governo Monti, far emergere con forza nel mondo del lavoro e nella società un progetto alternativo per affrontare la crisi economica che non finirà certo domani e, infine, bonificare la Politica, ridare dignità, passione e autonomia ai Partiti, tagliare con la spada quell’intreccio perverso fra mediocri interessi personali e la missione autentica della Politica. Deve, inoltre, essere chiaro che il campo fondamentale di questa strategica partita non è nei palazzi romani del potere, bensì nel territorio, nei comuni, nelle regioni, là dove i lavoratori e i cittadini ogni giorno portano la loro croce. Per questo l’iniziativa che sta prendendo forma in Molise sui privilegi del ceto politico e sulla crisi della Politica è preziosa, e il fatto che fra i protagonisti vi sia una pubblicazione come La Fonte, povera e vestita unicamente del saio di San Francesco, aggiunge valore a valore. ☺

famiano.crucianelli@tiscali.it

 

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