Salario minimo
11 Luglio 2022
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Salario minimo

È in via di promulgazione la Direttiva comunitaria sul salario minimo. Gli Stati dovranno, poi, recepirla nel loro ordinamento. Tale Direttiva, correttamente, non quantifica l’ammontare di tale salario. Propone criteri che garantiscano adeguatezza e governo della contrattazione salariale tra le parti sociali. Essa è cogente solo per i Paesi comunitari che dispongono di una normativa sul salario minimo. Non ne sono, perciò, rigidamente vincolati, al momento, Italia, Svezia, Finlandia, Danimarca, Austria e Cipro. È una Direttiva che dà forza a chi, in Italia, si batte per un salario minimo e segnala la necessità quando – si legge – che la “diminuzione strutturale della contrattazione collettiva” incide, negativamente, sulla tutela salariale di molti lavoratori/trici, porta a ignorare molti lavori e a dare spazio alla proliferazione di lavori a salari bassi/bassissimi. Sono salari che incidono pesantemente sulle condizioni di vita del lavoratore singolo o con un carico famigliare.

È documentata la forte diffusione, in Italia, di lavori a bassa remunerazione e di lavoratori poveri che vivono soli o in famiglie povere. Il dibattito sul salario minimo, nonostante ciò, è molto debole sia tra i sindacati che tra gli imprenditori. Cominciano a discuterne i sindacati. La Confindustria si oppone. Sono comprensibili le ‘difficoltà’ dei sindacati. Temono un indebolimento del proprio ruolo contrattuale anche se vanno prendendo sempre più coscienza che molti lavori e lavoratori/trici sfuggono alla loro tutela. È poco comprensibile, invece, l’opposizione della Confindustria. Vuole, forse, tenersi libera per ogni sorta di social dumping e di ricatto salariale. Dimentica in tal modo che la politica di bassi salari ha inciso negativamente sugli investimenti e sulle innovazioni intaccando la competitività di molte aziende nel mercato internazionale.

Il solo salario minimo legale è, però, uno strumento di contrasto della povertà da lavoro debole. Tale condizione è, infatti, spesso fissata anche al numero dei componenti familiari. Il salario, anche non minimo, deve far fronte al loro sostentamento. Il salario minimo dà risposte forti ai/lle lavoratori/trici part-time involontari/e, ai lavoratori/trici precari/e. Sono, poi, poveri/e o vivono in famiglie povere anche molti lavoratori/trici autonomi/e. È, però, anche vero che un salario minimo contribuisce a ridurre la frammentazione dei contratti e l’area del lavoro sottopagato e incide sulle diseguaglianze tra i lavoratori dipendenti. Difende, soprattutto, le categorie più esposte allo sfruttamento salariale: giovani, donne, immigrati, stranieri. Riduce la competizione strutturata attorno a bassi salari piuttosto che sugli investimenti in innovazioni e capitale umano: un ‘male’ presente nel sistema produttivo italiano. Fa, però, anche incorrere nel rischio di un allargamento del lavoro nero: un fenomeno da combattere con maggiori ed efficaci controlli sia da parte dello Stato che delle organizzazioni sindacali e datoriali. È un rischio che si ostacola con regole omogenee e trasparenti.☺

 

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