Sanità Incurabile
1 Luglio 2015 Share

Sanità Incurabile

Lettera aperta ai pazienti loro malgrado

Per questo numero estivo avevo pensato di indirizzare la mia lettera aperta alle proloco e alle associazioni che si cimentano per rendere piacevoli e allegre le serate estive nei nostri centri. Se è vero che il cibo aggrega e lo spirito di vino scioglie la lingua e le inibizioni, che ben vengano le sagre e le degustazioni preparate con la passione di chi vuole mettere a suo agio ospiti e residenti. I vicoli strariperanno di profumi, basterà farsi guidare dal naso alla ricerca della cucina tipica; la lingua avrà modo di accarezzare antichi sapori e se le orecchie saranno attente a riconoscere suoni e voci un tempo abituali, le mani si premureranno di contenere più del possibile, perché niente resti rifiutato finché, testa leggera e gambe vacillanti, si farà rientro a casa felici di smaltire per essere pronti e recettivi per gli appuntamenti successivi. Ma nei nostri paesi non si vive solo quel mesetto di ripopolamento straordinario e dunque andrebbero elaborate strategie per cui la vitalità dei centri si esprima in diverso modo tutto l’anno. E soprattutto tra grigliate e cavatelli, “pizza e foglie” e granoturco lessato o abbrustolito ci sia spazio per dibattiti e approfondimenti. Si dovrebbero cucinare idee e progetti prima ancora che leccornie tradizionali e moderne in modo che l’acquolina stimoli il cervello ancor prima che la gola. Fucine insomma perché si porti a temperatura la rivolta delle coscienze, assopite e assuefatte troppo spesso a ogni nefandezza. Non ultima gli affari loschi ai danni di persone sputate dal mare sulle nostre coste.

Tra gli argomenti impellenti che richiedono tutta la nostra attenzione e partecipazione, e noi come rivista non possiamo sottrarci perché ne va anche della pelle nostra, c’è senz’altro la sanità. Una gestione allegra e irresponsabile l’ha portata allo sfascio più totale e oggi, con la faccia tosta che li caratterizza, gli stessi che hanno contribuito alla catastrofe osano tornare a galla atteggiandosi a salvatori della patria. Scioperi di precari della sanità e manifestazioni per salvare strutture ritenute eccedenti, con tutte le loro ragioni da vendere, hanno un vizio di fondo: mettono al centro delle rivendicazioni non il malato e le sue esigenze, quanto la tutela del posto di lavoro e campanilismi ormai di altri tempi. Le due cose troppo spesso non sono correlate. Il malato che ha la possibilità di scegliere non si chiede qual è l’ospedale più vicino, ma in quale ha qualche possibilità di uscirne non con i piedi davanti, ma con i propri e possibilmente meglio di come ci è entrato.

Per essere più chiaro, incisivo e soprattutto per non fare un pistolotto che lascia il tempo che trova, parto da una drammatica esperienza che mi vede coinvolto. Mia mamma, ultranovantenne, in una tarda mattinata di maggio cade fratturandosi il femore. Ambulanza, pronto soccorso di Termoli, analisi, radiografia, ricovero in reparto: una successione meravigliosamente veloce da non credere, conoscendo gli interminabili tempi di attesa nei pronto soccorso dei nostri ospedali di tanti pazienti. La mettono pronta per operarla il giorno dopo, ma per mancanza di tempo, loro naturalmente non dell’ammalata che era in perfette condizioni, salta l’intervento. Il reparto di ortopedia avrà a disposizione la sala operatoria solo quattro giorni dopo. Per noi sani non è la fine del mondo. Ci siamo detti che in fondo sono cose che capitano, anche se non dovrebbero. Per chi sta con la gamba ciondoloni, immobilizzata in un letto, l’attesa manda quanto meno in confusione. Arriva il giorno sospirato, la preparano, ma ancora per mancanza di tempo, sempre loro naturalmente, non accade nulla e l’appuntamento successivo è dopo altri cinque giorni. Comincio a comprendere perché il malato viene comunemente appellato paziente! Tornano per la terza volta a prepararla ma, essendo un sabato, la sala operatoria chiude prima che arrivi il suo turno e così passano ancora due giorni. Finalmente alla quarta preparazione e dopo solo (!) dodici giorni trovano il tempo per operare la frattura femorale. L’operazione, a detta dei medici, è perfettamente riuscita, ma il piede della ricoverata ha perso definitivamente la libertà di movimento, se non ci sarà l’intervento divino di supporto. Per esserle vicina ai pasti prima dell’operazione già abbiamo percorso circa tremila chilometri, per non parlare del tempo e inoltre dei costi e dei patimenti di chi le è rimasta accanto su una sdraio tutte le notti, perché è bene che ci sia qualcuno vicino ad accudirla, sussurrano al ricovero.

Se fosse una infelice eccezione sarebbe un caso di malasanità, possibile ovunque, anche se non dovrebbe accadere, perché ogni volta a pagare sono persone non oggetti, ma poiché è prassi consolidata l’indecente attesa la domanda è d’obbligo: è da tutelare una simile struttura o la salute del malato? Perché medici e paramendici, infermieri e portantini – umorali come divinità greche nei loro reparti – scioperano e chiedono solidarietà per la tutela del loro posto e mai una volta per i danni, a volte irreversibili, che vengono arrecati ai degenti a causa di ritardi e inefficienze?

Altri con più competenza potranno entrare nel merito del decreto Balduzzi sulla riforma della sanità, sul rapporto pubblico-privato, su posti letto in rapporto alla popolazione, ma un fatto è lapalissiano: reparti così sono dannosi e andrebbero smantellati da subito. Se i nostri politicanti, anziché essere succubi di interessi clientelari, di baronie e altre nefandezze, scendessero dall’olimpo e si facessero carico veramente del benessere dei cittadini, forse la sanità tornerebbe ad essere un servizio per i malcapitati e non una iattura. Il mio auspicio è che vivano in perfetta salute o abbiano sempre il potere di imboccare corsie preferenziali perché per i poveri mortali la salute è un bene di cui gran parte degli ospedali non ha alcun merito!☺