Santi fascisti?
3 Dicembre 2014 Share

Santi fascisti?

Che cosa è successo veramente il 9 ottobre scorso a Boves (Cn) e a Cuneo, dove una nutrita delegazione molisana (assessore regionale, vescovo, rappresentanti dell’Anpi) ha partecipato alle celebrazioni in memoria di cinque partigiani e due sacerdoti morti tragicamente dopo l’8 settembre del ’43?

Se si leggono le cronache “ufficiali” e prudenti la cerimonia appare una delle tante. Se invece si dà credito a un servizio apparso su www.primonumero.it si apprende che “tra gli iscritti all’Anpi ci sarebbe qualcuno che non ha gradito (anzi, ne ha preso totalmente le distanze) l’accostamento tra partigiani che hanno dato la vita lottando contro fascisti e nazisti e un vescovo … morto fortuitamente sotto le bombe”.

Ma non è tutto. Perché dopo la documentatissima biografia di mons. Bologna, opera di Luigi Picardi, il maggiore storico del cattolicesimo molisano contemporaneo, non si può ignorare che il giovane vescovo di origine piemontese fu leale sostenitore del fascismo, almeno fino alla primavera del ’43. Nell’aprile di quell’anno, mentre già tutto crolla, consacrando Campobasso al Cuore Immacolato di Maria, mons. Bologna esorta ancora a pregare “per la grandezza d’Italia, per la Vittoria”. Ma dietro l’angolo c’è ormai il 25 luglio. Soltanto in un documento del settembre successivo il vescovo auspicherà, finalmente, non più una guerra vittoriosa (come aveva auspicato per anni) ma la “pace”.

Mons. Bologna, questo è noto, morirà il 10 ottobre ’43, colpito dal fuoco degli alleati mentre stava pregando nella cappella del seminario insieme ad una suora (perché così poco rilievo per lei?).

Ora cosa è accaduto per il vescovo Secondo Bologna dopo la sua morte? Il fatto che egli abbia pronunciato una frase di offerta della propria vita per la salvezza della città poche ore prima di soccombere, ha creato intorno alla sua figura l’aureola del “martirio”: il pastore che dà la vita per le sue pecore.

Ma il vescovo Bregantini vi ha innestato un’altra, improbabile aureola: quella di martire della pace. Egli, infatti, con una forzatura sprovvista di documentazione storica, ha fatto di mons. Bologna un’icona della Pace, a cominciare dalla Marcia campobassana del 31 dicembre scorso, e continua a presentarlo come “martire della pace”, dovunque gli si presenti una propizia occasione, accostandolo addirittura a papa Francesco.

È evidente che in un clima ecclesiale imbarazzante, in cui i papi regnanti si affrettano a beatificare i predecessori, l’esaltazione di un vescovo, anche fuori misura e sopra le righe, è funzionale al rafforzamento mediatico della figura episcopale, un po’ ingrigita in Italia dopo decenni di vescovi (lo ricordava a Campobasso proprio Cettina Militello) piuttosto burocrati obbedienti che profeti. Invece non guasterebbe il senso della misura, anche se, forse, il vescovo officiante non disdegna che qualche lampo di luce proveniente dalle due aureole illumini anche la sua mozzetta. Se dunque, in una lettura religiosa (quella laica è tutt’altra) degli eventi, la generosa offerta della propria vita può essere collegata alla morte quasi contemporanea (anche se, a ben vedere, offrire la propria vita a Dio per salvarne altre comunica l’immagine di un Dio che “vuole” comunque un tributo di sangue) non c’è alcun elemento che possa giustificare una “promozione” di Secondo Bologna a martire della pace.

Il vescovo proveniva sì da un Piemonte non del tutto prono al fascismo, ma, una volta a Campobasso, egli condivise sostanzialmente l’atteggiamento della chiesa locale (che con il suo predecessore Romita aveva toccato punte di pirotecnico fanatismo filofascista) verso il regime. E fu vescovo zelante, operoso, fedele alla sua missione, ma anche affidabile collaboratore delle autorità locali e nazionali, meritando i complimenti dei prefetti e i ringraziamenti dello stesso Duce. Il distacco lento, circospetto, felpato dal fascismo non venne per una revisione profonda delle ragioni “politico-morali” del fiancheggiamento ecclesiale al regime (“il manganello e l’aspersorio”) ma scaturì dallo sfacelo dello stato, dalla fame disperata del popolo, dalla perdita di ogni speranza di vittoria.

Questo, lo ha magistralmente dimostrato Picardi, in un libro, tra l’altro, edito a cura della Diocesi di Campobasso e introdotto dallo stesso Bregantini. A proposito, perché a Cuneo la folta delegazione molisana mancava dell’unica persona che avrebbe potuto con adeguata competenza parlare di mons. Bologna? Colpevole dimenticanza o timore che sarebbe stata più difficile la forzatura in senso pacifista? ☺

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